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Venerdì 2 Agosto 2013, 10:46

Quanto costa a Israele la direttiva UE?
di Emma mancini

A rischio enti pubblici e compagnie private su cui Bruxelles ha fatto piovere milioni di euro

La reazione israeliana alla nuova direttiva dell’Unione Europea del 19 luglio non si è fatta attendere. Giovedì scorso il ministro della Difesa, Moshe Ya’alon, ha dato ordine all’IDF (l’esercito israeliano) e all'Amministrazione Civile (l’ente che si occupa della gestione amministrativa dei Territori Occupati) di bloccare ogni progetto di cooperazione con Bruxelles che si svolga in Area C. Tradotto: rifiutare di rilasciare nuovi permessi e di rinnovare quelli vecchi per progetti di costruzione in Area C in Cisgiordania (che rappresenta il 60% del territorio, sotto il controllo civile e militare israeliano). Restrizioni che andranno applicate anche al personale europeo che entrerà in Israele per dirigersi a Gaza e in Cisgiordania: il Ministero ne vieterà l’ingresso al confine e non concederà permessi di lavoro ai dipendenti di Bruxelles impegnati in Area C.

Un vero e proprio giro di vite che appare una reazione a caldo alla decisione forte dell’Unione Europea: con le nuove linee guida entrate in vigore due settimane fa, Bruxelles impone ai 28 Stati membri di interrompere ogni tipo di cooperazione finanziaria, accademica e bancaria con le entità israeliane di Gerusalemme Est, Cisgiordania e Alture del Golan, ovvero i territori occupati militarmente da Tel Aviv con la guerra dei Sei Giorni del 1967.
«Spero che Israele continuerà a reagire contro chi compie passi unilaterali – ha commentato Yigal Delmonti, direttore generale del Consiglio delle Comunità Ebraiche di Giudea e Samaria (ovvero le colonie israeliane in Cisgiordania) dopo l’annuncio del Ministero – Già due settimane fa avevamo avvertito che la UE aveva assunto una posizione pro-palestinese e che non poteva più essere considerata neutrale».

La reazione israeliana è il chiaro segno del 'terremoto' scatenato dalla UE e dalla sua potenziale efficacia: le linee guida emesse da Bruxelles impediranno a ministeri, enti pubblici, banche e compagnie private che operano nelle colonie di ricevere prestiti e finanziamenti dal valore attuale di centinaia di milioni di dollari. A bloccarli sarà la Banca di Investimento Europea che interromperà la pioggia di denaro finora caduta su soggetti attivi nelle colonie. Alcuni esempi: la Banca Hapoalim ha ricevuto nel 2006 una linea di credito dalla UE pari a 75 milioni di euro; la compagnia dell’acqua Mekorot lo scorso anno ha goduto di un prestito da 120 milioni, mentre sono stati 40 quelli rilasciati alla compagnia di auto elettriche Better Place.
Non solo. Come spiegato dal Tribunale Russell per la Palestina, attualmente la UE sta portando avanti il settimo Programma Quadro (2007-2013) che pone tutte le iniziative e i progetti europei sotto lo stesso ombrello: un programma da 220 miliardi di euro, di cui godono – secondo l’accordo di Associazione UE-Israele – anche le compagnie e gli enti pubblici israeliani. Tra i soggetti che hanno richiesto e ottenuto i finanziamenti in questione ci sono compagnie militari come Elbit e Israeli Air-Crafts Industries, i produttori dei droni usati durante l’Operazione Piombo Fuso contro Gaza e i costruttori del Muro di Separazione in Cisgiordania. Le nuove linee guida europee avrebbero fermato un simile finanziamento.

Secondo i dati forniti dalla Commissione Europea, Israele ha partecipato ad oltre 2.300 progetti finanziati dal Programma Quadro europeo negli ultimi dieci anni (55 quelli palestinesi): la maggior parte hanno riguardato e riguardano contro-terrorismo, controllo dei confini, tecnologia di sorveglianza, sicurezza interna. Alcuni esempi di finanziamenti UE finiti nelle casse di compagnie private israeliane: quasi 9 milioni di euro per la sicurezza aeroportuale, quasi 13 al controllo dei confini, oltre 9 per il controllo delle coste (tra cui rientra l’assedio via mare della Striscia di Gaza), oltre 13 milioni per la costruzione di una rete ferroviaria  tecnologica e sicura. Per un totale che sfiora i 100 milioni di euro.

Una cifra considerevole che la nuova direttiva potrebbe concretamente assottigliare. Non sono certo poche le compagnie pubbliche e private che operano attivamente in quelle che la UE definisce “entità israeliane” nei Territori Occupati. I timori di Tel Aviv sono fondati, ma resta da capire se una simile decisione potrà effettivamente modificare l’approccio israeliano, anche in vista dell’avvio dei negoziati bilaterali con la controparte palestinese, iniziati martedì a Washington con la benedizione statunitense.

Ne abbiamo parlato con Tali Shapiro, giovane attivista israeliana del movimento Boycott from Within, parte della campagna globale BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni) contro Israele.

“Penso si tratti di un passo senza precedenti da parte della UE, seppure non sia il primo. Politicamente, cominciamo a vedere le prime sanzioni contro Israele. In questo caso, si tratta di una mossa per privare certi privilegi, estremamente efficace a livello politico. Nessun media o politico israeliano è rimasto indifferente. Credo che questo sia sono l’inizio, ora ne sono necessari altri. Israele ha da sempre avuto governi nazionalistici, per questo la pressione internazionale per fermare la colonizzazione è la giusta via da intraprendere. È anche quello che chiede la società civile palestinese con il movimento di boicottaggio. Israele si trova nel cuore del Medio Oriente, ma ad oggi è un’entità ostile nel mezzo del mondo arabo. Deve rendersene conto e capire l’importanza di un’integrazione”.

“La perdita economica per Israele sarebbe tremenda – prosegue Tali – Non sono un’esperta di economia, per me non è facile dare dei numeri. Ma, come sottolinea il progetto Who Profits, l’economia israeliana è completamente interconnessa con l’occupazione. Israele fornisce speciali vantaggi a chi fa business nella Cisgiordania occupata (o per chi ci va a vivere, i coloni, e che compiono un crimine di guerra), come ad esempio forza lavoro sottopagata e un nuovo mercato per il consumo, lo scippo di terre e così via. Questo crea una bolla economica. Una volta esplosa, gli investitori non perderanno solo denaro, ma anche l’incapacità di proseguire negli investimenti”.

“La società israeliana vive nel buio ed è bombardata da messaggi di panico e terrore. Il movimento BDS esiste ormai da quasi dieci anni, ma solo da due è riuscito a raggiungere il pubblico israeliano attraverso la stampa – conclude la Shapiro – Ma anche così, il possibile danno economico è calcolato da esperti e gli israeliani non comprendono gli effetti economici. E quando accade qualcosa come la nuova direttiva UE, i media riverberano il panico, senza analizzare i benefici per la gente. L’opinione pubblica israeliana non ha le risorse per comprendere e non si forma delle idee fondate su analisi concrete. Fino a quando i media e il governo non saranno onesti con la gente, gli israeliani non conosceranno mai simili campagne, perché esistono e qual è il loro obiettivo. Per loro, la sanzione europea è piovuta dal cielo, in un giorno nuvoloso e ‘antisemita’. Per questo ritengo che un simile passo da parte di Bruxelles vada concepito come una misura di lungo termine che avrà effetto su individui, gruppi e società civile solo con il tempo

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