di Lettera22 per il Fatto
26 gennaio 2013

Diritti umani, inchiesta Onu sui droni: “Verificare se sono crimini di guerra”
di Joseph Zarlingo

Le Nazioni Unite hanno aperto un fascicolo dopo le sollecitazioni delle diplomazie di Cina, Russia e Pakistan, le cui province sono quasi quotidianamente attraversate dai droni statunitensi che conducono le loro azioni contro la guerriglia islamica sulla frontiera con l'Afghanistan

Un’inchiesta, tecnicamente complicata, giuridicamente scivolosa e politicamente molto rilevante. Dovrà rispondere a una domanda molto semplice: le vittime civili causate dagli attacchi condotti con gli aerei a comando remoto, i droni, sono da considerare crimine di guerra?

L’Ufficio dell’Alto Commissario Onu per i diritti umani ha formalmente lanciato l’inchiesta, sollecitata dai rappresentanti diplomatici di Cina, Russia e Pakistan e affidata a Ben Emmerson, rapporteur speciale dell’Onu su diritti umani e anti-terrorismo. Emmerson, specialista britannico di diritti umani, lavora con l’Onu dal 2005. In Gran Bretagna è famoso per aver convinto l’associazione degli avvocati e quella dei magistrati a fornire ai propri associati un corso obbligatorio di diritti umani, tra il 1998 e il 2000. Più di recente è stato avvocato difensore dell’ex leader dell’Uck Ramush Haradinaj davanti al Tribunale penale internazionale dell’Aja per i crimini di guerra nella ex Jugoslavia.

In qualità di difensore del leader guerrigliero kosovaro, assolto in primo grado, Emmerson ha dichiarato in una intervista al quotidiano britannico The Independent: “Aborro la violenza, ma in una vita di esposizione alla violenza sono arrivato alla conclusione che sia possibile distinguere tra un uso disonorevole della violenza e un suo impiego come estrema risorsa in appoggio a una causa onorevole, come la lotta per la libertà, senza colpire i civili”. Nella sua carriera di avvocato, Emmerson ha anche difeso Abu Qatada, un musulmano radicale di origine palestinese, ripetutamente arrestato in Gran Bretagna, dal 2002 in base alle leggi antiterrorismo, ma mai incriminato formalmente e alla fine, dopo dieci anni di battaglie legali, rimesso in libertà.

Il curriculum di Emmerson dovrebbe essere quindi garanzia di imparzialità. All’emittente panaraba Al Jazeera, Emmerson ha dichiarato che “non si tratta di una inchiesta rivolta contro un Paese in particolare, ma di una indagine sulle possibili conseguenze giuridiche dell’impiego di questo tipo di tecnologia”. Obiettivo dell’indagine, non è quindi, dichiarare o meno legale l’uso dei droni, quanto preparare una relazione per l’Assemblea generale dell’Onu che dovrà poi pronunciarsi.

Nonostante questi caveat, il tema è quantomai sensibile. Innanzitutto per uno dei paesi che hanno sollecitato l’indagine, il Pakistan, le cui province nord-occidentali, le cosiddette Aree tribali ad amministrazione federale sono quasi quotidianamente attraversate dai droni statunitensi che conducono le loro azioni contro la guerriglia islamista a cavallo della frontiera con l’Afghanistan. L’uso dei droni in queste azioni è aumentato durante la prima amministrazione di Barack Obama. Secondo i dati del Bureau of investigative journalism, gli Usa hanno condotto almeno 400 incursioni con i droni in Pakistan ma anche in Yemen e Somalia. Le vittime sono state circa 3 mila, tra cui molti civili.

Emmerson, in una conferenza stampa tenuta giovedì a Londra, ha detto di aspettarsi la collaborazione piena del governo statunitense a cui saranno chiesti i video prodotti dai droni poco prima e poco dopo ogni singola azione. Nel mirino dell’inchiesta, comunque, non ci saranno tutti gli attacchi, ma solo un campione di 25 “casi” che riguardano le aree tribali del Pakistan, la Somalia, lo Yemen e anche la Striscia di Gaza, dove i droni israeliani sono usati per gli assassinii mirati di presunti esponenti dei gruppi armati palestinesi. “In queste incursioni di cui ci occuperemo – ha spiegato Emmerson – crediamo siano stati uccisi forse fino a 500 civili”.

Per quanto siano soprattutto gli Stati Uniti e Israele ad avere finora usato più di altri i droni in missioni di combattimento, anche le forze armate di altri paesi li hanno nei loro arsenali. L’Iran per esempio sta producendo la propria dotazione di velivoli a controllo remoto e così la Cina, ma anche l’Italia è tra i paesi che già schierano questi mezzi, anche se nel caso italiano vengono usati per la ricognizione.

Se l’indagine dovesse produrre un parere “positivo”, cioè indicare che in qualche modo intrinsecamente la tecnologia dei droni espone i civili a rischi maggiori rispetto alle armi tradizionali, allora si potrebbe arrivare a una regolamentazione del loro uso, fino al tecnicamente possibile (ma politicamente improbabile) divieto di impiego, come è stato per le mine antipersona e le munizioni cluster. Il cammino è però solo all’inizio ed è facile immaginare quali e quanti ostacoli Emmerson troverà, sia da parte dei governi che dalle industrie belliche per le quali i velivoli (e poi anche i veicoli terrestri e navali) senza persone a bordo sono uno dei più promettenti e remunerativi campi di ricerca e investimento.

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