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4 giugno 2013

E’ ora di una mossa coraggiosa USA in Medio Oriente
Adnan Abu Amer  intervista Marwan Barghouti
traduzione di Giuseppe Volpe

Marwan Barghouti, uno dei leader di maggior spicco di Fatah nella West Bank e attualmente detenuto in un carcere israeliano, afferma che il momento è giusto perché l’amministrazione USA assuma una decisione coraggiosa per realizzare la pace in Medio Oriente quanto prima possibile.

Barghouti, che ha risposto a domande scritte, ha ammonito che l’alternativa alla soluzione a due stati è un “conflitto persistente che non conosce vie di mezzo. Il leader incarcerato ha detto che Israele non è interessata alla pace, aggiungendo che “nessun metodo di resistenza va abbandonato” fintanto che resti in linea con la legge internazionale.

Barghouti, sollecitando le fazioni palestinesi a riconciliarsi, ha affermato che “il processo di pace ha causato gravi danni a Fatah”. Ha anche criticato la recente Iniziativa di Pace araba guidata dal Qatar come “il punto più basso toccato dagli arabi in termini di un accordo storico con Israele”. Segue la trascrizione dell’intera intervista.

Al-Monitor: Dopo undici anni di detenzione, cosa può dirci di questi lunghi anni da lei trascorsi, e che ancora trascorre, in isolamento?

Barghouti: Sono stato sequestrato il 15 aprile 2002, a Ramallah, nel centro della West Bank, dopo diversi tentativi falliti di assassinarmi attuati dalle forze di occupazione israeliane. Sono stato sottoposto a cento giorni di interrogatori in tre centri diversi, a al-Masqubia a Gerusalemme, a Petah Tikva e nella struttura segreta d’internamento No. 1391. Ho passato parecchi anni in isolamento, totalmente isolato dal mondo in una piccola cella dove cadeva sporcizia dal soffitto e c’erano scarafaggi, zanzare e ratti in abbondanza. La cella era priva di finestre, mancava di luce solare diretta e di aerazione. Uscivo ammanettato per un’ora al giorno in un piccolo cortile dove si infiltravano occasionalmente i raggi del sole, a seconda del tempo.

Mi erano concessi sei libri ogni sei mesi attraverso la Croce Rossa, in aggiunta ai giornali ebrei, poiché avevo appreso la lingua durante nel corso dei miei periodi precedenti nelle carceri israeliane.

Dopo un periodo di isolamento individuale sono stato trasferito all’isolamento di massa, dove mi trovo attualmente. Passo il tempo facendo esercizi al mattino, poi leggendo notizie locali, analisi e gli sviluppi in corso sul quotidiano Al-Quds, il solo giornale permesso. Ci sono consentiti dieci canali satellitari, selezionati dal servizio carcerario israeliano, tre dei quali sono in ebraico mentre gli altri sono in arabo. Usiamo questi canali per seguire gli sviluppi politici e gli eventi generali. Inoltre insegno e tengo conferenze a un certo numero di detenuti su politica, economia e storia.

Leggo dalle otto alle dieci ore al giorno e finisco otto libri al mese, poiché a ogni detenuto sono permessi due libri e ce li scambiamo. Ho letto romanzi arabi e internazionali.

Mi sono state inflitte cinque condanne all’ergastolo e una a quarant’anni di carcere. Ho rifiutato di appellarmi a un tribunale israeliano o di essere difeso da un avvocato, perché sono un membro palestinese del parlamento e godo dell’immunità parlamentare dal 1996. Sono stato anche rieletto nel 2006.

Al-Monitor: Come valuta l’attuale situazione politica palestinese e le prospettive di riconciliazione tra i movimenti di Fatah e di Hamas?

Barghouti: La situazione palestinese sta diventando sempre più impegnativa, perché Israele sta facendo deragliare il processo di pace e ne sta assicurando il fallimento, mantenendo nel contempo la politica di occupazione. Gli israeliani hanno eletto ancora una volta un governo che non desidera por fine all’occupazione e agli insediamenti, né raggiungere la pace con i palestinesi. La scena palestinese sta peggiorando a causa della divisione che ha avuto luogo anni fa. Abbiamo già proposto un’iniziativa chiamata “Documento di Riconciliazione Nazionale”, che è stato firmato da tutte le fazioni senza eccezioni, comprese Fatah e Hamas. Sfortunatamente i firmatari non hanno rispettato l’accordo.

Penso che per assicurare la vittoria di tutti i movimenti di liberazione e di tutti i popoli perseguitati sia necessaria l’unità nazionale. Noi speriamo che gli sforzi che sono stati compiuti sfoceranno nella riconciliazione, perché essa è un prerequisito per l’unità del popolo e la creazione di uno stato. Tuttavia la riconciliazione richiede una volontà libera, fede e convinzione circa la collaborazione tra tutte le parti, al fine di gettare le fondamenta per uno stato indipendente, sovrano e democratico.

Sono sicuro che il popolo palestinese si batterà per l’unità e la riconciliazione e, presto o tardi, metterà fine a queste incitazioni alla divisione. Dovrebbe far nuovamente riferimento al “Documento dei Detenuti Palestinesi” e creare un governo basato sul consenso costituito da ministri indipendenti per tenere elezioni parlamentari e presidenziali, oltre a elezioni del Consiglio Nazionale Palestinese, non oltre la fine di quest’anno.

I circoli politici palestinesi che hanno scommesso sui negoziati hanno fallito e sono finiti in una situazione di stallo a causa delle politiche israeliane, che sono contrarie alla pace. Perciò io sollecito una strategia che sia basata sul far riferimento alle Nazioni Unite per ottenere uno status di membri a pieno titolo dell’ONU e di tutte le altre agenzie internazionali, in modo da poter firmare patti e accordi, rivolgersi alla Corte Penale Internazionale, collaborare con la comunità internazionale per isolare e boicottare Israele, imporgli sanzioni perché si ritiri nei confini del 1967, oltre a imporre blocchi economici, di sicurezza, amministrativi, negoziali e politici.  Contemporaneamente dovremmo intensificare ed espandere la resistenza popolare in modo che impegni tutte le fazioni e dirigenze.

Al-Monitor: Come considera la mediazione statunitense nel far avanzare il processo di pace, compresa la ripresa dell’Iniziativa di Pace Araba?

Barghouti: La pacificazione statunitense in Medio Oriente è fallita a causa del totale schieramento degli Stati Uniti dalla parte di Israele. Se gli Stati Uniti vogliono produrre risultati e promuovere la pace nella regione, devono esplicitamente e chiaramente chiedere al loro alleato di cessare l’occupazione delle terre del 1967 per aprire la via alla creazione di uno stato palestinese, la cui capitale sia Gerusalemme Est e che coesista in pace con Israele. Inoltre deve attuare la Risoluzione 194 sul diritto al ritorno e la liberazione di tutti i detenuti.

L’amministrazione statunitense deve riflettere profondamente sui motivi per cui i suoi tentativi sono risultati futili per vent’anni. Scoprirà allora che tale fallimento è stato la conseguenza del suo allineamento con Israele e della sua totale accettazione della posizione di Israele. Oggi è ora che gli Stati Uniti prendano una decisione coraggiosa e attuino la pace in Medio Oriente al più presto possibile, perché è già tardi e se non faranno una mossa, il rischio che la lotta nazionale diventi un conflitto che non conosca vie di mezzo è imminente. L’Iniziativa di Pace Araba è il punto più basso toccato dagli arabi in termini di accordo storico con Israele. La dichiarazione della delegazione ministeriale araba a Washington a proposito della modifica dei confini del 1967 e l’accettazione degli scambi di terre ha inflitto un grave danno alla posizione araba e ai diritti dei palestinesi, e ha stimolato l’appetito di Israele per ulteriori concessioni. Nessuno ha titolo a modificare i confini o a fare scambi di terre; il popolo palestinese insiste sul completo ritiro di Israele nei confini del 1967, oltre alla rimozione degli insediamenti.

Al-Monitor: Poiché non si è ottenuto alcun progresso politico al livello della soluzione a due stati, sono stati avanzati molti suggerimenti tra cui una confederazione Palestina-Giordania o un unico stato binazionale con Israele. Qual è la sua opinione al riguardo?

Barghouti: Finora la sola soluzione possibile  – alla luce delle considerazioni internazionali, regionali e palestinesi – è la soluzione a due stati. Questa soluzione non deve essere abbandonata e dovrebbero essere compiuti sforzi per por fine all’occupazione e creare uno stato sovrano. Gli israeliani devono sapere che il giorno in cui la pace regnerà nella regione, l’occupazione cesserà di esistere. E’ per questo che la prima cosa che è richiesta a Israele è l’annuncio della sua disponibilità a por fine all’occupazione, a ritirarsi nei confini del 1967 e ad accettare il diritto palestinese all’autodeterminazione, compreso il diritto di creare uno stato indipendente e sovrano con Gerusalemme Est come propria capitale.

Tuttavia la soluzione dei due stati ha di fronte la minaccia di essere schiacciata dai blindati dell’occupazione e dai bulldozer degli insediamenti. Politici e intellettuali palestinesi, comprese figure del movimento Fatah, stanno esprimendo opinioni a favore della rinuncia alla soluzione a due stati, in considerazione dell’intransigenza e dell’opposizione israeliana a questo piano. Queste figure sono favorevoli alla concentrazione su una lotta per ottenere un unico stato binazionale, basato sulla cittadinanza, l’uguaglianza e l’eliminazione del regime discriminatorio israeliano basato sull’occupazione, gli insediamenti e la discriminazione.

Io credo ancora che ci sia una possibilità di ottenere la soluzione a due stati, se Israele accetta onestamente ed esplicitamente di ritirarsi nei confini del 1967 e si impegna a ciò e riconosce uno stato completamente sovrano. Se la soluzione a due stati fallisse, l’alternativa non sarà uno stato unico binazionale bensì un conflitto persistente che si estenderà sulla base di una crisi esistenziale, una crisi che non conosce vie di mezzo.

Al-Monitor: Alcuni affermano che la pace con i palestinesi non è più una priorità per Israele, perché si sta ora concentrando sulle minacce dell’Iran, di Hezbollah e della Siria. Cosa si potrebbe fare per convincere Israele dell’importanza di raggiungere una pace finale con i palestinesi?

Barghouti: La realtà è che il popolo palestinese esiste in questa regione e continuerà a esistere in futuro. La chiave per la pace e la stabilità in Medio Oriente è la fine dell’occupazione e la creazione di uno stato palestinese indipendente e totalmente sovrano. La pace con i paesi della regione non porterà a una stabilità totale.

Gli israeliani si sbagliano se pensano che lo status quo non cambierà. Devono rendersi conto che la sicurezza non si può raggiungere senza la pace. Il popolo arabo è cambiato e Israele non può sfidare la regione per sempre. Ha la possibilità di raggiungere la pace con l’attuale Autorità Palestinese (PA) e questa opportunità potrebbe non ripresentarsi.

Inoltre Israele ha evitato di raggiungere una soluzione con i palestinesi e ha ignorato il diritto del popolo palestinese alla libertà, al ritorno e all’indipendenza. Ciò riflette un comportamento coloniale tirannico che assomiglia a quello di un’ostrica che nasconde la testa nella sabbia. Israele ha perso un’occasione storica di raggiungere la pace negli ultimi otto anni, quando Mahmoud Abbas era presidente della PA. Abbas ha attuato tutto ciò che era richiesto dalla road map e c’è stata una certa condizione di pace e sicurezza che gli israeliani non avevano mai sognato negli anni dell’occupazione.

Abbas si è anche opposto a tutte le forme di resistenza armata e ha creato un coordinamento senza precedenti sulla sicurezza con Israele. Cosa ha offerto Israele in cambio ai palestinesi? Ha giudaizzato Gerusalemme, espulso i residenti nella città, preso il controllo delle sue terre, arrestato i suoi bambini e chiuso le sue organizzazioni. Contemporaneamente, nella West Bank, ha ampliato la costruzione di insediamenti e l’esproprio delle terre, distrutto più case e operato più arresti … alla fine questo ha distrutto la soluzione a due stati e le successive speranze di pace.

Al-Monitor: Sembra che ci sia una nuova ondata di proteste pacifiche contro l’occupazione israeliana. Lei appoggia la resistenza pacifica o quella armata?

Barghouti: Il popolo palestinese torturato e oppresso ha il diritto di difendersi con tutti i mezzi approvati dalla Carta dell’ONU e dalla legge internazionale. La resistenza totale è quella più efficace e deve essere attuata secondo una visione strategica che comprenda tutti i fattori del potere. Durante ogni fare è saggio scegliere i metodi di resistenza convenienti che possono differire da quelli usati in altre fasi, a seconda delle circostanze e dei dati specifici. Nessun metodo di resistenza dovrebbe essere abbandonato.

Nel “Documento dei Detenuti Palestinesi” (o “Documento sulla Riconciliazione Nazionale”) tutte le fazioni palestinesi hanno concordato all’unanimità di centrare la resistenza sulle terre occupate nel 1967. In questa fase c’è una concentrazione sulla resistenza popolare nella West Bank e a Gerusalemme. Da molti anni i palestinesi praticano la resistenza popolare pacifica, in mezzo a tentativi continui di calmare la situazione. E tuttavia quale è stata la risposta di Israele?

Al-Monitor: Molti parlano della possibile assenza del presidente Abbas. Lei si considera un potenziale suo sostituto, visto che gode dell’appoggio di larghi segmenti dei sostenitori di Fatah?

Barghouti: Soltanto il popolo palestinese sceglierà liberamente ed equamente, attraverso elezioni democratiche, il nuovo presidente. Quando sarà raggiunto il consenso e sarà fissata la data finale delle prossime elezioni prenderò la decisione giusta. Tuttavia sono davvero orgoglioso della lealtà e della fiducia del popolo palestinese nelle sue figure militanti. Ricambio la fedeltà con la fedeltà e continuerò a lottare perché il mio popolo ottenga i suoi diritti alla libertà, al ritorno, all’indipendenza e alla pace.

Innanzitutto e soprattutto la cosa importante per me è garantire uno stato al mio popolo, oltre alla libertà, al diritto al ritorno e all’indipendenza. Ho dedicato tutta la mia vita a raggiungere quest’obiettivo e ho partecipato ad azioni di militanza e resistenza restando ancorato alla mia assoluta convinzione circa la giustezza di questa causa. Sono sicuro che la libertà arriverà, presto o tardi. L’occupazione è destinata a scomparire e il suo destino non sarà in nessun modo migliore di quello del regime razzista del Sud Africa.

Al-Monitor: In quale misura lei pensa che Fatah sia riuscito a conseguire i suoi obiettivi politici, considerata la sua storia?

Barghouti: Fatah ha rappresentato la prima reazione collettiva alla catastrofe dei profughi e allo stato di dispersione e di costrizione. Ha restituito al popolo palestinese la sua identità nazionale dopo che era stata cancellata  dal peso della Nakba. Ha ricostruito il movimento nazionale, guidato dall’OLP, e fatto enormi sacrifici. Inoltre Fatah ha riportato la Palestina nella mappa politica del Medio Oriente, dopo tentativi di seppellirla e di rimuoverla definitivamente.

Tuttavia il fallimento del processo di pace ha inflitto gravi danni a Fatah, che ha fatto seri tentativi di spingere tale processo alla riuscita e di raggiungere uno stato indipendente e ripristinare la pace. Il movimento non ha ottenuto quest’obiettivo finale per il nostro popolo a causa delle politiche di una successione di governi israeliani e dell’assenza di un serio leader israeliano disposto a por fine all’occupazione. A Israele manca tuttora un “[Charles] de Gaulle” che pose fine al colonialismo in Algeria e un “[F.W.] de Klerk” che smantellò il regime dell’apartheid in Sud Africa.

Il movimento Fatah ha di fronte numerose sfide chiave, tra cui: por fine all’occupazione e creare uno stato indipendente, garantire il diritto al ritorno ai profughi, garantire la liberazione dei prigionieri, sradicare le divisioni, raggiungere la riconciliazione e l’unità nazionale, creare una collaborazione nazionale basata sulla democrazia, svilupparne l’operatività interna, promuovere la democrazia che ha stabilito il quadro e i leader e tenere il proprio settimo congresso l’anno prossimo.

Al-Monitor: Qual è la sua posizione sulla cosiddetta Primavera Araba? Cosa significa per lei e per i palestinesi?

Barghouti: Le rivoluzioni democratiche arabe sono grandi eventi storici per la nazione araba, che si è dimostrata viva e vitale. Le giovani generazioni non accettano l’oppressione, la dittatura, la corruzione e la repressione delle libertà. Rifiutano di vivere sotto regimi arabi paralizzati, impotenti e sottomessi che sono privati della loro libera volontà e che rispondono al dominio e alla subordinazione politica, economica e legata alla sicurezza degli Stati Uniti.

Nei decenni passati le nazioni arabe non sono riuscite – singolarmente o collettivamente  – a costruire un regime politico democratico. Per questo motivo le rivoluzioni arabe hanno dimostrato l’autenticità del nostro popolo. Abbiamo assistito alla prima fase delle rivoluzioni che ha visto la caduta di numerosi regimi. Contemporaneamente altri regimi ne hanno tratto vantaggio muovendo passi notevoli in direzione delle riforme, promulgando nuove costituzioni che hanno posto fine ad anni di dittatura, oppressione e tirannia. In conseguenza, ciò ha posto le fondamenta per un regime arabo democratico che rispetti il pluralismo politico, religioso e intellettuale e per la creazione di uno stato indipendente.

Al-Monitor: Come vede il ruolo di Qatar, Iran ed Egitto in rapporto con la causa palestinese?

Barghouti: C’è un pericoloso rilassamento storico arabo e islamico quando si tratta della terra palestinese e del suo popolo, della sua causa e delle sue sacralità. Nonostante il sostegno che è stato offerto in un campo o nell’altro, non è ancora abbastanza. L’aiuto offerto non è all’altezza del livello del contrasto dei pericoli dell’aggressione, occupazione, degli insediamenti e della giudaizzazione di Gerusalemme, per non parlare delle aggressioni quotidiane a ciò che è sacro per i palestinesi.

Tutti i paesi arabi devono svolgere un ruolo chiave nel sostenere la lotta del popolo palestinese al fine di rafforzarla a ogni livello per por fine all’occupazione e creare uno stato palestinese indipendente e totalmente sovrano, con Gerusalemme come capitale. Dovrebbero svolgere un ruolo anche maggiore, caratterizzato dalla sua serietà e imparzialità, per raggiungere la riconciliazione e l’unità nazionale. Li sollecitiamo a usare le loro capacità e i loro poteri nell’interesse del popolo palestinese e della sua giusta lotta per la libertà, il diritto al ritorno e l’indipendenza.


Adnan Abu Amer è decano della Facoltà di Arti e capo della Sezione Informazione e Stampa, nonché docente di storia del problema palestinese, di sicurezza nazionale, scienze politiche e civiltà islamica presso l’Università Al Ummah per l’Istruzione Aperta. Ha un dottorato in storia politica dell’Università Demashq e ha pubblicato numerosi libri su temi legati alla storia contemporanea della causa palestinese e del conflitto arabo-israeliano. Su Twitter: @adnanabuamer1.

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

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Fonte: http://www.zcommunications.org/time-for-bold-us-mideast-move-by-marwan-barghouti

Originale: Al-Monitor Palestine Pulse

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