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14 Nov 2013

Il lato oscuro del muro
di Melica Rochi

Lo scorso venerdì, l’esercito israeliano è entrato nella comunità di Khalet el-Hmam, distruggendo l’abitazione di Abu Tarbush e dando ordine di demolizione per altre 4 nuove strutture appartenenti alla famiglia di un giovane palestinese, Belal. L’esercito non ha presentato alla famiglia un reale mandato scritto approvato dalla corte. Questi incidenti dimostrano, ancora una volta, si viola l’articolo 53 della Convenzione di Ginevra, per il quale è proibito demolire proprietà private da parte delle forze occupanti.

La comunità di Khalet al-Hmam si trova tra le colonie di Gilo e Har Homa, ed è costantemente sotto l’attenzione dell’autorità israeliane in quanto rappresenta un punto strategico per il collegamento dei due insediamenti.

Ogni costruzione in questa terra, che si tratti di abitazioni private o strutture agricole,  deve essere approvata dall’Amministrazione Civile israeliana, che impone severe restrizioni sull’edificazione - strategia adottata per preventivare l’espansione della crescita della popolazione.  Gli abitanti del villaggio devono fare richiesta per permessi di costruzione o espansione delle proprie abitazioni, che costano caro in termini di tempo e denaro.

La famiglia di Belal, poco più di sette mesi fa, ha provato ad ampliare la sua residenza con quattro nuove stanze dislocate tra le varie strutture. Venerdì mattina, della scorsa settimana, l’esercito israeliano si è presentato con le foto di qualche anno fa, ha fatto rilevamenti e confrontando la nuova situazione, ha imposto la distruzione delle strutture entro due settimane. Dovranno farlo con le loro mani. Lo faranno per non rischiare di dover pagare i bulldozer militari che butterebbero giù tutta la casa. Già nel 2010, Belal è stato costretto a distruggere un metro della sua nuova casa. La comunità in questione fino al 2004 faceva parte del campo rifugiati di Aida, in Betlemme. In questa data lo stato di Israele ha iniziato a costruire la barriera che separa Betlemme da Gerusalemme, per “motivi di sicurezza nazionale”, e 5 famiglie del campo, con oltre  80 persone, si sono ritrovate completamente isolate dalla loro gente e dalla loro vita, costrette a stare in un fazzoletto di terra circondato da barriere fisiche e legali.

Il muro, che avrebbe dovuto seguire la Green Line, ma che di fatto supera di gran lunga il confine stabilito nel 1967, nell’armistizio della guerra arabo-israeliana, condizionando fortemente la vita sociale  e tradizionale delle famiglie palestinesi. L’area tra la barriera di separazione e la Green Line è chiamata “Seam Zone” ed è sottoposta a ristrette regole militari. Tutti i palestinesi, a partire dai 12 anni, che vivono nell’enclave creata all’interno di un’ area militare chiusa, devono richiedere un permesso di “residenza permanente” all’Amministrazione Civile - che ha durata di un anno- per continuare a vivere nella propria casa. Il permesso consente loro di percorrere solamente la strada che dalla barriera di controllo porta all’abitazione, risultando illegali su tutto il restante territorio israeliano. Inoltre, per muoversi in questa area super controllata, i residenti palestinesi sono costretti ad attraversare checkpoint, dove sono soggetti a controlli invasivi

“Tre anni fa sono stato costretto ai domiciliari per 6 mesi perché un giorno, nel check-point, i militari mi hanno negato il rientro a casa per un periodo di tre mesi, per ragioni ancora non specificate” ci ha detto Belal, parlando della sua esperienza. “Fortunatamente conosco queste terre come le mie tasche, quindi sono riuscito a tornare a casa passando altrove, un giro di tre ore. Quando sono venuti a controllare la mia abitazione, trovandomi lì, hanno deciso di prolungare il periodo di internamento di altri 3 mesi per non essere arrestato”. Dopo aver pagato 1000 $ l’avvocato per riavere il permesso, la stessa cosa è successa al fratello.

Proprio nel 2004, la Corte Internazionale di Giustizia ha dichiarato illegale la costruzione del muro poiché viola i diritti fondamentali del popolo palestinese, limitando e il più delle volte impedendo la libertà di movimento, di recarsi al  lavoro, di avere abitazioni in luoghi sicuri e dignitosi e di possedere delle terre.

Tutte queste proibizioni continuano ad esistere mentre Netanyahu ha disposto un ampliamento di 1500 nuove abitazioni per Gerusalemme Est e un progetto di altre 3360 abitazioni nelle colonie ebraiche in Cisgiordania.  

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