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16 maggio 2013

Dopo 65 anni, la Nakba continua

Degli 11.4 milioni di palestinesi nel mondo, il 66% sono stati forzatamente trasferiti (rifugiati o Internally Displaced Persons) e oltre la meta vive in esilio. Invece di essere un evento relegato nella memoria, la Nakba continua da 65 anni.

Nell’ultimo anno, ad esempio, la colonizzazione, l’occupazione e l’apartheid israeliane hanno colpito la presenza indigena palestinese, in particolare a Gerusalemme, nell’Area C della Cisgiordania, nella buffer zone di Gaza e nel Negev. Il 6 maggio 2013, Israele ha approvato il Piano Prawer che minaccia di trasferire con la forza oltre 70mila beduini palestinesi del Negev. Lo stesso giorno, Israele ha emesso undici ordini di demolizioni di case palestinesi nel villaggio di Deir Nidham, vicino Ramallah, che – se portati avanti – lascerebbero 40 palestinesi senza un tetto. Su grande e piccola scala, il trasferimento continuo ripete il crimine originario della Nakba e la tragedia che trasforma ogni anno i palestinesi in rifugiati e Internally Displaced Persons.

Il trasferimento forzato attuale colpisce i palestinesi che risiedono in entrambi i lati della Linea Verde: nei territori occupati nel 1967 e nel lato israeliano della “Linea dell’Armistizio”, così come quelli che vivono in esilio forzato. Nonostante ciò, il popolo palestinese resiste e prosegue la lotta per porre fine alle sistematiche violazioni dei loro diritti umani, politici e nazionali e per realizzare il diritto al ritorno.

Nel 1948, l’Assemblea Generale dell’ONU ha votato la risoluzione 194, che stabilisce per i rifugiati palestinesi speciale protezione e afferma il diritto al ritorno nelle loro case da cui sono stati cacciati dalle forze israeliane, la restituzione delle loro proprietà e un risarcimento per i costi e i danni subiti. Nel 1967, il Consiglio di Sicurezza ha approvato la risoluzione 237 che chiede a Israele di permettere il ritorno dei rifugiati trasferiti dalle forze di occupazione dalla Cisgiordania, da Gaza, dalle Alture del Golan e dal Sinai. La comunità internazionale, tuttavia, non ha mai messo in pratica misure per costringere Israele a rispettare tali decisione, provocando così il fallimento delle due risoluzioni.

All’interno di questo contesto, l’escalation della guerra in Siria espone i rifugiati palestinesi che vivono lì in esilio alla possibilità di una seconda espulsione, oltre all’imminente pericolo per le loro vite e la loro salute. Oggi, queste sono le condizioni dei rifugiati palestinesi in Siria:

- 400mila su 500mila hanno immediato bisogno di assistenza. Inoltre, i palestinesi esiliati in Iraq e ora residenti in Siria sono ancora privi di uno status definito e quindi dei minimi livelli di protezione a cui hanno diritto;

- I profughi palestinesi fuggiti dalla Siria in Giordania vengono detenuti al confine, non vengono autorizzati ad entrare o vivono nella costante minaccia di deportazione. Il Ministero degli Interni giordano ha esplicitamente detto che la Giordania non affronterà la questione dei rifugiati palestinesi dalla Siria, “li tratteremo solo come ospiti”;

- I palestinesi entrati in Libano si sono fermati in campi profughi sovraffollati. Le autorità libanesi applicano leggi discriminatorie che differenziano i rifugiati siriani da quelli palestinesi, favorendo i primi e quindi esacerbando le condizioni di vita della popolazione palestinese;

- In Egitto nessun rifugiato palestinese ha ottenuto un permesso di residenza. Non vengono loro garantiti i diritti di rifugiato da una burocrazia che non li riconosce e che manca totalmente di flessibilità.

La mancanza di una protezione adeguata è la conseguenza peggiore sulla condizione dei rifugiati palestinesi. Per questo, noi organizzazioni firmatarie di questo appello celebriamo il 65esimo anno di Ongoing Nakba chiedendo alla comunità internazionale e all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina di:

- Assicurare reale protezione ai rifugiati palestinesi, alle Internally Displaced Persons e a coloro che sono a rischio di espulsione attraverso istituzioni come UNCCP, UNRWA, Comitato Onu per l’Esercitzio dei Diritti Inalienabili del Popolo Palestinese e UNHCR, perché si mettano in pratica le risoluzioni numero 194 e 237;

- Promuovere iniziative che costringano Israele a rispettare il diritto internazionale comprese inchieste giudiziarie, risarcimento per le vittime palestinesi e soluzioni durevoli alla questione dei profughi;  

- Realizzare meccanismi di risposta nei Territori Palestinesi Occupati, in Israele e nei Paesi di esilio attraverso misure di emergenza per un aiuto immediato;

- Fornire assistenza a tutte le comunità palestinesi rifugiate e in particolare quelle in fuga dalla Siria;

- Riunire le forze dei Paesi arabi, della Lega Araba e dei partiti politici e le organizzazioni palestinesi perché assumano iniziative concrete per proteggere i diritti umani palestinesi e promuovano attivamente il diritto al ritorno palestinese nei luoghi di origine e nelle loro case.

 

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