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31 ottobre 2013

Da dove vengono Issa e Ibra?
di Ella Baffoni

Da dove viene Amadou, che è finito nel Cie di Agrigento? E Ibra, sbarcato a Lampedusa? E Issa, Djallo, Mamadou... quelli che ce l'hanno fatta, sono arrivati in Europa e si sono dispersi in mille destinazioni. E quelli che non ce l'hanno fatta, che sono annegati in mare o morti di sete nei deserti: da dove vengono, tutti?

Migliaia di giovani africani passano per Agadez, in Niger, per cercare di passare il Sahara. Vengono dal Benin, dal Burkina Faso, dalla Nigeria, dal Gambia, dalla Sierra Leone. A volte i trafficanti di uomini raccolgono la tariffa per il trasporto, li caricano su camion vetusti e li scaricano ancora lontani dalla meta, in balia della sete e dei predoni. A volte – è avvenuto qualche giorno fa tra Niger e Algeria – i camion si rompono, se almeno non è anche questa una scusa criminale, e i migranti vengono scaricati in pieno deserto. A scamparla sono stati in 19, che hanno marciato senza cibo e acqua e hanno avuto la fortuna di ottenere alcuni passaggi. Gli altri, era ormai troppo tardi quando è stato dato l'allarme dai sopravvissuti, sono cadaveri nel deserto.

Da cosa fugge chi cerca l'Europa a tutti i costi, e a quello della vita soprattutto, lo racconta Matteo Fraschini Koffi, che da tempo fa il giornalista in Africa. Lavora per diverse testate, dalla Radio Televisione Svizzera all'Avvenire. Proprio sull'Avvenire riporta la testimonianza di Abdullahi che ha raggiunto la Libia marciando senza cibo né acqua per tre giorni nel deserto: “Osservavo i resti dei cadaveri di chi aveva cercato di traversare il deserto prima di me, è stato terribile. Io stesso sono quasi morto... Comunque sarei disposto a rifarlo. Come si può vivere senza lavoro?”.

Fraschini Koffi ha raccolto le testimonianze di chi cerca di fuggire dalle guerre, dalla fame e dall'assenza di futuro. Bambini schiavizzati, giovani che conoscono inaudite sofferenze. Ma non disperati, no: i disperati restano, chi ha speranza combatte per il suo futuro. Per il suo e per quello dei suoi cari.

Chi riesce a vedere cosa c'è dall'altra parte del Mediterraneo, e al di là dei campi libici, quelle frontiere pagate da denaro italiano che armano i bastoni di miliziani e esercito contro chi coltiva la speranza trova lunari i discorsi del tipo “aiutiamoli a casa loro”. L'intervento degli europei in Africa - oggi come nell'altro secolo - è sicuramente una delle ragioni del declino di quel continente che era ricco, che potrebbe esserlo ancora, ma che è stato preda di ogni appetito speculativo.

Matteo Fraschini Koffi non fa alate analisi. Parla con i suoi testimoni, a volte piccolissimi. Piccole storie di piccoli bambini.

Cosa succede in Africa lo racconta il dodicenne Kossi, a cinque anni ceduto a una zia, il padre aveva abbandonato la madre e i figli. La zia ne ha fatto il suo servo: “Così sono rimasto a casa - racconta Kossi - lavoravo per mia zia senza però essere pagato, facevo quello che mi diceva e se lo facevo male venivo picchiato. Mangiavo 2 volte al giorno, la mattina alle 9 e la sera verso le 8. Questa era la mia giornata, botte se servizi erano mal fatti”. Poi la fuga, la vita nomade, la sopravvivenza con la raccolta del ferro. Dopo anni di vita di strada – racconta Fraschini Koffi - finalmente incontra a Cotonou in Benin un’organizzazione che lavora contro la tratta degli esseri umani, una forma di schiavitù moderna che può valere fino a 12 mld di dollari all’anno. Secondo le Nazioni Unite, solo in Nigeria, sono 12 mln i bambini coinvolti nel lavoro forzato”.

Cosa succede in Africa lo racconta Mack Adodo, direttore dell’organizzazione togolese “Espaces Fraternité” che ha sede nella capitale Lomé. La sua organizzazione ha trovato una ragazzina nata in Benin, venduta a 13 anni come domestica in Nigeria. Dopo sei anni di lavoro, maltrattamenti e violenze è riuscita a fuggire, e si è trovata sulla strada a 19 anni. Avrebbe potuto cadere ancora in cattive mani, per fortuna la ong l'ha riaccompagnata a casa e stanno seguendo il suo rientro in famiglia. Due storie finite bene. Ma le altre?

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