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24 dicembre 2013

Abraham e gli altri prigionieri
di Lampedusa, al via lo sgombero
di Khalid Chaouki

Tame, 23 anni. Marhawi, 22 anni, Abraham, 20 anni. Fanus, 18. Tasfit, 31. Natu, 27. Marhawi, 24. Sono loro i sette sopravvissuti alla tragedia di Lampedusa e ancora qui rinchiusi. Giovanissimi, stanchi. Sui loro volti intravedo un cenno di rabbia, ma è soprattutto la disperazione a prevalere. Parlano pochissimo. Fanus, l'unica ragazza del gruppo, piange in continuazione. È disperata e i ragazzi della compagnia cercano di sostenerla. Ma anche loro non ce la fanno più. Uno di loro è sotto osservazione da parte di Paola, la psicologa del centro. Mi confessa la sua preoccupazione: «Continua a ripetermi fino a quando deve rimanere chiuso qui dentro. Dice che vuole suicidarsi». I loro occhi raccontano del dramma che hanno vissuto in quel tragico 3 ottobre...

Hanno visto morire i loro fratelli e le loro sorelle. Hanno assistito alla cerimonia di commemorazione all'aeroporto, in cui ero presente, insieme a loro con la delegazione parlamentare presieduta dalla presidente della Camera Laura Boldrini. Per loro oggi, stare qui a Lampedusa, è peggio di una tortura. Continuare a sentire il profumo di quel mare, che per loro ha significato solo morte, è un incubo permanente. Me lo hanno raccontato loro tramite il mediatore eritreo che è presente qui da anni. Sono stanchi di parlare e di raccontare. Ma di fronte al nostro impegno nel mobilitare il governo italiano e la procura di Agrigento, al fine di accelerare la procedura giuridica per agevolare il loro trasferimento, si mostrano disponibili a crederci ancora.

L'ennesima volta in cui con pazienza mi ricordano i loro nomi, la loro età, la loro nazionalità e i loro sogni. Sogni che si sono ridotti a chiedere semplicemente l'uscita da questo Centro di prima accoglienza. Un centro dove volontari e operatori si alternano per dare il massimo, vittime anch'essi di un sistema che non funziona. Sono disperati il medico e la psicologa, la giovanissima ricercatrice che si occupa di assistere i minori non accompagnati. Sono disperati anche loro, dopo le vergognose immagini trasmesse nei giorni scorsi. Loro giurano che non vi era alcun intento di umiliazione o offesa.

Semplicemente, non avevano alternative in una struttura totalmente inadeguata alla situazione, con la responsabilità di autorità molto al di sopra dei ragazzi che ho imparato a conoscere qui a Lampedusa. Insieme ai profughi e ai sette sopravvissuti alla tragedia del 3 ottobre continuo a pregare per una soluzione di questa triste vicenda. Loro sembrano più entusiasti di me, chiedono aggiornamenti in continuazione e iniziano a capire la differenza tra Bubbico e la Cancellieri, la presidente della Camera e il presidente del Consiglio. Roberto Speranza, Gianni Cuperlo e Matteo Renzi. Solo alcuni dei protagonisti della battaglia di queste ore. Speriamo un giorno, il più presto possibile, possano tutti loro poter abbracciare i nostri sette eroi che noi teniamo rinchiusi qui a Lampedusa. Questo significherebbe che questa fatica sarà servita almeno a ridare una speranza a chi sogna un futuro nella nostra Europa. Domani sarà un nuovo giorno.

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