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15 gennaio 2013

“Io, migrante bambino, arrivato in Italia sotto un camion”
di Stefano Pasta  

Il sogno Europa può iniziare in luoghi diversi: su una spiaggia, superato il controllo passaporti in un aeroporto, dopo una frontiera terrestre di un Paese ex comunista.

“Ho capito che ero in Europa dalla pubblicità di un cioccolato in caratteri greci”, racconta Daoud, che ora vive a Roma e a 14 anni ha attraversato l’Evros, il fiume che segna il confine tra Grecia e Turchia. La Lampedusa d’Europa. Da qui, fino a quest’estate, è passato il 40-75% degli ingressi illegali nell’Ue: anche 9 mila persone al mese, 300 al giorno. Racconta Daoud: “Sono un hazara dell’Afghanistan, dove mio padre è stato ucciso e dove ripetevano che eravamo dei traditori, che gli hazara erano cani”.

A 11 anni, “insieme ad un amico, ho deciso di partire, con un po’ di cibo e un kurta, il nostro vestito. Non puoi portare molto, se viaggi in montagna o in un camion”. Prima in Pakistan e poi in Iran, “dove ho lavorato due anni in una fabbrica, finché ho avuto i soldi per ripartire per la Turchia”. Per passare quel confine, una marcia di 5 giorni tra montagne e foreste:

“C’erano alcuni bambini più piccoli, tamil dello Sri Lanka, allo stremo, senza neppure la forza di lamentarsi. Solo una bambina curda aveva ancora la forza di piangere tra le braccia del padre”.

A tre anni dall’inizio del viaggio, finalmente l’appuntamento con l’Europa, sulle sponde dell’Evros. Cento metri di corrente e paura, pochi minuti pagati duemila euro. Di notte, per sfuggire ai militari dell’agenzia europea Frontex, che presidiano il confine dotati di visori notturni e armi sofisticate.

Daoud racconta che “il silenzio della notte è rotto dagli spari, non sai più se tremi per la paura o il freddo. Siamo stati caricati in undici su canotti da quattro posti, tirati da una riva all’altra con le funi”.

Alle volte, la manovra è fatale e le autorità di frontiera devono ripescare un cadavere senza nome. La polizia ha un accordo con la comunità del villaggio greco di Sidirò: quando recupera un cadavere, lo sotterrano in una fossa comune, fuori dal cimitero.

Daoud spiega: “Conoscevo il rischio, ma non potevo certo fermarmi. Sapevo anche che un ragazzo era morto congelato”.

Passato il fiume, infatti, inizia una nuova marcia di ore fra terreni arati e campi minati. D’inverno, il freddo è un nemico pericoloso: ogni settimana, alcuni migranti sono ricoverati in ospedale per l’amputazione delle dita dei piedi. Per “presidiare” la frontiera, oltre alle armi e ai visori, servirebbero delle calze di lana pesante. Dopo alcuni mesi a Patrasso, Daoud riprende il viaggio sotto un camion:

“Sopra il penultimo asse dalle ruote posteriori, c’è abbastanza spazio per un uomo magro per appendersi e legarsi fino all’arrivo in Italia”.

Anche qui, il “Grande viaggio” ha i suoi caduti, come il ventitreenne afghano ritrovato senza vita a luglio, sotto un camion sbarcato a Venezia. Racconto a Daoud che a dicembre il Governo greco ha terminato la costruzione del primo tratto di una muraglia anti-immigrati sul confine, 12 km di cemento, fossati e filo spinato, costati tre milioni di euro. Il progetto prevede di arrivare a 150 km lungo tutto il fiume.

“Certo non potranno fermare così i miei coetanei afghani! Troveranno un altro modo”.

Daoud non è un esperto di flussi migratori, ma ha ragione: ora si attraversa il fiume più a sud, oppure si raggiungono le isole greche dalla costa turca, come l’imbarcazione che il 14 dicembre è affondata al largo dell’isola di Mitilene con un bilancio di 20 cadaveri e 7 dispersi. C’è anche un altro dato su cui riflettere: negli ultimi mesi, tra gli immigrati entrati illegalmente in Grecia e alle volte respinti in Turchia, rimangono in testa gli afghani, ma il secondo posto è tristemente occupato dai siriani, in fuga dalla guerra e dai campi profughi.

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