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12-03-2013

Il boicottaggio del losar
di Tsering Woeser

Da un mese, in Tibet, siamo entrati nell’anno 2140, che secondo il calendario tradizionale corrisponde all’anno del serpente d’acqua. Dal 2009, i festeggiamenti per il capodanno tibetano - il losar - sono sponsorizzati dalle autorità e boicottati dalla popolazione tibetana, in segno di protesta. Ce ne parla Tsering Woeser.

La protesta che nel 2008 ha colpito tutte le regioni del Tibet è stata davvero “il ruggito del leone delle nevi nell’anno del topo” (l’anno del topo sta a indicare il calendario lunare cinese, il leone delle nevi simboleggia invece il Tibet). Tuttavia, dopo il 2008, ogni cosa è cambiata in peggio. È come se al subbuglio sotterraneo faccia eco la quiete in superficie e viceversa. Di volta in volta, i casi di mancata collaborazione da parte della gente comune e degli strati più umili della popolazione stanno lentamente prendendo la forma di un incendio abbagliante.

Prendiamo il losar (il capodanno tibetano) del 2009. Dentro e fuori dalla Cina, i tibetani decisero di non festeggiare e organizzarono delle commemorazioni silenziose. In quell’occasione, in Amdo, in Kham e in altri luoghi, circolarono segretamente alcuni manifesti, su cui era scritto: «negli incidenti del 10 marzo a Lhasa migliaia di compagni sono finiti in prigione, migliaia hanno sofferto la persecuzione e di altri si sono perse le tracce. Se le nostre coscienze non si sono ancora spente e se ancora desideriamo condividere le gioie e i dolori, ai tibetani che come noi conducono una vita pacifica e miserabile chiediamo di ascoltare questi due punti: non intonate canti di gioia e non accendete fuochi d’artificio. Non chiediamo nient’altro, speriamo possiate tutti esaudire queste due richieste, per onorare la memoria dei morti e pregare per la benedizione dei vivi».

Su un altro volantino era scritto: «a tutte le genti delle tre regioni tibetane (Tibet centrale, Kham e Amdo), dotati delle stesse radici e appartenenti alla stessa etnia, ai fratelli e alle sorelle, ai religiosi e ai laici: dobbiamo rimanere tutti uniti, resistere tutti insieme, non abbassare mai la testa davanti al regime che ha occupato la nostra terra. La popolazione delle tre regioni deve essere unita nella gioia e nel dolore, non deve dimenticare i compagni tibetani colpiti a morte, perché non è per il loro interesse, ma per la libertà della nazione e per la giustizia che hanno pagato al prezzo della vita. Per questo chi è davvero un tibetano non celebrerà il losar».

La prima reazione delle autorità fu il ricorso a metodi violenti, con la definizione del rifiuto di festeggiare il losar una grave condotta “separatista”. Ad esempio, a Lhasa, furono arrestati degli “agitatori” che avevano diffuso in segreto il messaggio di non festeggiare il losar, o che avevano fatto appelli sulla rete. In Kham, a Dzogang (oggi contea di Zuogong, regione autonoma tibetana), il 20 gennaio un giovane di nome Pema Tsepak, che aveva iniziato a scandire slogan mentre camminava per strada, fu pestato a morte dalla polizia e dai militari. La seconda reazione fu quella di costringere i tibetani a festeggiare il losar, come accadde a Rebkong, in Amdo (oggi contea di Tongren, nella regione del Qinghai), dove le autorità locali recapitarono un documento porta a porta; nel testo, da firmare con un’impronta delle dita, invitavano i tibetani a garantire che in nessun modo si sarebbe ripetuta la protesta dell’anno precedente, che avrebbero ascoltato il partito e il governo e che si sarebbe dovuto festeggiare solennemente il losar. In Amdo, a Labrang (oggi contea di Xiahe, nella regione del Gansu), a Ngapa (oggi contea di Aba, nella regione del Sichuan) e in altri posti, il governo locale spedì ai quadri i fuochi artificiali, con la richiesta di esploderli nel periodo delle feste. Infine tutti i media ufficiali criticarono il governo in esilio e il Tibet Youth Congress per avere incitato i tibetani in Cina a non festeggiare il losar.

Con l’avvicinarsi del losar, le autorità si sono sforzate al massimo per creare un’apparenza di armonia e gioia. È il caso, ad esempio, del programma di capodanno, realizzato dalla televisione tibetana su imitazione dello spettacolo della CCTV. In confronto con le edizioni passate, lo spettacolo di quest’anno è stato quello che ha avuto più finanziamenti, controlli ed è stato anche il più grande. Ne sono scaturite falsità, parole altisonanti e vuote, ancora più esagerate di quelle dello spettacolo di capodanno cinese. Oltre a questo hanno mobilitato i militari, come è avvenuto nelle aree a maggioranza tibetana del Sichuan. Oltre al corpo della polizia armata del popolo, sono state inviate anche le truppe della settima regione militare, di stanza a Chengdu. Durante tutto il losar sono state organizzate esercitazioni militari su ampia scala nel Nord e nel Sud del Kham, rispettivamente a Tau e a Lithang, in Amdo, a Mewa, e in altri luoghi.

In realtà, l’appello a non festeggiare il losar è stato lanciato dai tibetani in Cina. Il fatto che così tanti contadini, nomadi, cittadini, studenti, monaci e persino persone dentro l’amministrazione abbiano spontaneamente e universalmente compiuto questa scelta dimostra il desiderio di condividere gioie e dolori da parte di tutti i tibetani sparsi nelle cinque unità amministrative cinesi [Regione autonoma tibetana, Qinghai, Gansu, Sichuan e Yunnan, le regioni cinesi con maggiore concentrazione di tibetani, ndt], così come quello di non soddisfare, di non applaudire e di non obbedire alle autorità. 

Il primo giorno del losar del 2009, che cadeva il 25 febbraio, in Amdo, più di cento monaci del monastero di Lutsang a Mangra (oggi contea di Guinan, nella regione del Qinghai) indossarono il kasaya, si fasciarono la testa e si misero in cammino al lume di una candela; all’ingresso del palazzo governativo della contea si sedettero in silenzio. Corsero anche il rischio di essere accusati di “collusione con le cricche separatiste”, diffondendo via mail foto scattate sul posto e inoltrando quattro rivendicazioni: «1. Il governo cinese deve comprendere a fondo i desideri della popolazione laica e religiosa del Tibet, con particolare attenzione alle generazioni più giovani; 2. La protesta pacifica di boicottaggio del losar è stata più estesa di quella dello scorso anno; 3. Il sit-in a lume di candela è il regalo di capodanno per tutti i tibetani dentro e fuori dal Tibet; 4. Preghiamo perché la “questione tibetana” possa essere risolta in tempi brevi». Dopo non molto, tredici monaci del Lutsang vennero prelevati per un interrogatorio, e quattro monaci furono condannati a quattro anni.

In realtà, il “boicottaggio del losar” non si è limitato al 2009, ma, a partire da allora, i tibetani hanno trascorso le feste assumendo un atteggiamento di non collaborazione. Durante il losar del 2013, vale a dire quello che segna l’inizio dell’anno 2140 del calendario tibetano –l’anno del serpente d’acqua-, i tibetani hanno dovuto fare i conti con la violenza insita nel gesto dei centoquattro tibetani, che, dentro e fuori dal Tibet, a partire dal 2009, si sono dati alle fiamme; inoltre, hanno dovuto fronteggiare la disumanità dei metodi del governo cinese che, per colpire i monaci, i familiari e i compaesani di chi si è immolato, è arrivato al punto di architettare ogni tipo di accusa insensata e scappatoia. I tibetani, dopo avere vissuto tutto questo, hanno ancora una volta scelto la via del rifiuto delle feste e della commemorazione silenziosa, per esprimere rispetto verso chi si è sacrificato e protestare contro l’oppressione.

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