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15-03-2013

Sogno cinese e sogno tibetano
di Tsering Woeser

A pochi mesi dall’incoronamento di Xi Jinping da parte del diciottesimo Congresso nazionale del Partito comunista cinese e qualche giorno prima del quinto anniversario della grande rivolta del 2008, Woeser guarda al futuro per capire se, come mormorano alcuni, anche il Tibet trarrà beneficio dal grande “sogno cinese”.

È opportuno continuare a sperare che Xi Jinping, il nuovo leader del Partito comunista cinese, muti atteggiamento di fronte alla questione tibetana? La speranza di molti non è limitata al possibile rilassamento della linea dura ma, con un linguaggio simile a quello diplomatico, arriva a prevedere “cambiamenti sensibili”.

Ormai mi viene il mal di testa quando mi interpellano sul futuro della questione tibetana nell’era di Xi Jinping, perché subito dopo, come appendice, spesso viene ritirato fuori un racconto del passato che dovrebbe risultare toccante. La storia racconta che sua santità il Dalai Lama, da poco entrato nei suoi vent’anni, strinse un’amicizia contraccambiata con Xi Zhongxun, padre di Xi Jinping e a quei tempi, nel fiore degli anni, alto funzionario del Partito comunista. Il realtà, sua santità ha davvero rievocato i suoi rapporti con Xi Zhongxun, che gli diede l'impressione di essere una persona moderata e aperta.

Tuttavia, Xi Zhongxun era stato precedentemente acclamato da Mao Zedong come persona «ancora più tenace di Zhuge Liang [antico funzionario cinese famoso per le sue capacità strategiche, ndr]». Il commento aveva a che fare anche in questo caso con i tibetani. In sintesi, la storia racconta che ai tempi del successo del Fronte unito [fase di collaborazione tra autorità tradizionali tibetane e Partito comunista cinese, negli anni Cinquanta, ndr] uno dei capi della resistenza tibetana, Xiang Qian, accettò la resa. Da qui nasceva il parallelo di Mao con le sette catture di Meng Huo ad opera di Zhuge Liang, visto che anche Meng Huo in fondo non era altro che un leader di una minoranza etnica. Storicamente esistono innumerevoli versioni di questa storia ed è impossibile sapere come sia uscito di scena Meng Huo, fatto sta che Xiang Qian morì nell’arco di pochi anni nelle prigioni del Partito comunista cinese.

Per via della sua suprema posizione di potere, le persone azzardano previsioni sulla direzione che prenderà la gestione del Tibet sotto Xi Jinping. Oltre a guardare alla benevolenza del defunto padre nei confronti di sua santità il Dalai Lama e del decimo Panchen Lama, si parla anche dell’anziana madre di Xi e di sua moglie, la cantante Peng Liyuan: entrambe sono “devote buddhiste” e si dice anche che Peng Liyuan abbia aderito proprio al buddhismo tibetano. Tutto ciò come non potrebbe avvicinare Xi Jinping al Tibet? Queste parole lasciano intendere che nel futuro del Tibet possa spuntare un filo di speranza o addirittura maggiore luce.

Ma sarà davvero così? Un celebre detto di Confucio, padre della cultura cinese, recita: «Osserva una persona per ciò che dice e ancor più per ciò che fa». Per quanto riguarda Xi Jinping, cioè colui che si accinge a fare man bassa di tutte le cariche, la frase che ha pronunciato più spesso all’indomani del diciottesimo Congresso nazionale del Partito comunista cinese è stata forse questa: «portare a termine la grande rinascita della nazione cinese». La sintesi di ciò è il “sogno cinese”, che però non è da ritenere una fantasia inarrivabile; infatti Xi Jinping ha enfatizzato con il suo cinese mandarino pulito: «Qual è il sogno cinese? Ritengo che portare a termine la grande rinascita della nazione cinese sia proprio il più grande sogno dell’epoca moderna. Ora, più di quanto lo sia stato in ogni altro momento della storia, questo obiettivo è a portata di mano».

La tradizione del Partito comunista cinese vuole che ogni leader abbia le sue linee guida. Per Deng Xiaoping erano le riforme e l'apertura, per Jiang Zemin le tre rappresentanze, per Hu Jintao la società armoniosa e per Xi Jinping la rinascita della nazione cinese. E allora, la rinascita della nazione cinese in che cosa si tradurrà? Il 28 gennaio di quest’anno la presa di posizione di Xi Jinping sulla situazione delle isole Diaoyu-Senkaku è stata forte. Ha affermato: «In nessun modo rinunceremo ai nostri legittimi diritti e interessi, né sacrificheremo nel modo più assoluto interessi di Stato cruciali. Nessun Paese straniero può pensare che accettiamo contrattazioni su questi temi, né può sperare che ingoiamo il boccone amaro di un attacco alla nostra sovranità e alla sicurezza nazionale o allo sviluppo dei nostri interessi». E questi «interessi cruciali», se ci fosse bisogno di ripeterlo, significano proprio il territorio e la sovranità.

Alcuni analisti hanno già osservato che Xi si distingue dai suoi predecessori in quanto porta avanti posizioni nazionaliste dando risalto alla “rinascita della nazione cinese”. Il “sogno cinese” è il sogno di un grande impero cinese. Da una prospettiva più ampia, i vecchi stati imperialisti sono sul viale del tramonto, ma i nuovi stati imperialisti si stanno sollevando. La sovranità territoriale è la priorità delle priorità e, se è già nelle proprie mani, non va ceduta bensì tenuta stretta con tutte le forze. Due esempi: l’anno scorso, con l’adozione dei nuovi passaporti elettronici è stata proclamata la sovranità sul mar della Cina meridionale, sulle zone contese tra Cina e India, e su Taiwan. Poi, la contesa delle isole Diaoyu-Senkaku ha portato alla nomina di un “gruppo per la gestione delle emergenze relative alla crisi delle isole Diaoyu”, con alla guida lo stesso Xi, il che lo pone al comando degli apparati di controllo dell’esercito, dell’intelligence, della diplomazia e della sorveglianza marina.

Anche i tibetani hanno un sogno. Non più di due vie sono consentite: sua santità il Dalai Lama ha scelto la “via di mezzo”, richiedendo un alto grado di autonomia per il Tibet. Ma anche il desiderio di ottenere l’indipendenza cresce di giorno in giorno. Per il Partito comunista cinese la “via di mezzo” è un’indipendenza mascherata e a crimini come quello dell’indipendenza non vengono fatti sconti, perché hanno a che fare con la territorialità, la sovranità, e toccano gli “interessi cruciali” della Cina. Questo tipo di sogni va infranto a ogni costo.

Alcune persone non credono che Xi Jinping riuscirà a “portare a termine la grande rinascita della nazione cinese”, ritenendo che una nazione privata del proprio spirito e della sua anima non possa a tutti gli effetti rinascere. Ma una cosa è chiara: a prescindere dal fatto che si realizzi o meno, in questo “sogno cinese” non c’è spazio per il sogno tibetano.

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