Originale: New York Times Syndicate
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10 gennaio 2014

Quale è il bene comune?
di Noam Chomsky
Traduzione di Maria Chiara Starace

Questo articolo è l'adattamento di una conferenza tenuta da Noam Chomsky alla Columbia University di New York, il 6 dicembre 2013 e sponsorizzata dalla Fondazione Dewey. 

Gli umani sono esseri sociali, e il tipo di creatura che una persona diventa, dipende fondamentalmente dalle circostanze sociali, culturali e istituzionali  della sua vita.

Siamo perciò portati a ricercare le basi sociali che favoriscono i diritti e il benessere delle persone, e a realizzare le loro le loro giuste aspirazioni – in breve, il bene comune.

Come prospettiva mi piacerebbe citare quelli che mi sembrano autentici assiomi. Si riferiscono a una categoria di principi etici: quelli che sono non soltanto universali, in quanto praticamente sono sempre professati, ma anche doppiamente universali, in quanto allo stesso tempo vengono universalmente rifiutati nella pratica.

Quelli variano da principi molto generali,  come l’assioma che dovremmo applicare a noi stessi gli stessi standard che applichiamo agli altri (se non anche più severi), a dottrine più  specifiche come la dedizione a promuovere la democrazia e i diritti umani, che viene proclamata quasi universalmente, anche dai mostri peggiori – sebbene la reale  documentazione sia triste in tutto lo spettro.

Un buon punto da cui partire è il classico Sulla libertà di John Stuart Mill. La sua dedica è così formulata: “Il grande e massimo principio verso il quale converge ogni argomento  spiegato in queste pagine: l’importanza assoluta ed essenziale dello sviluppo umano nella sua più ricca diversità.”

Queste parole sono prese da Wilhelm vion Humboldt, un fondatore del liberalismo classico. Ne consegue che le istituzioni che limitano questo sviluppo sono illegittime, a meno che possano in qualche modo giustificarsi.

La preoccupazione per il bene comune dovrebbe stimolarci a trovare i modi di coltivare lo sviluppo umano nella sua diversità più ricca.

Adam Smith, un altro pensatore dell’Illuminismo con opinioni analoghe, pensava che non dovrebbe essere troppo difficile istituire politiche umane. Nella sua opera: Teoria dei sentimenti morali ha osservato che “Per quanto qualsiasi tipo di uomo possa essere egoista, ci sono evidentemente dei principi nella sua natura che gli fanno provare interesse per la buona sorte di altri, e che gli rendono necessaria la sua felicità, sebbene non ne ricavi nulla, se non il piacere di vederla.” Smith riconosce il potere di ciò che chiama il “motto meschino dei padroni del genere umano: “Tutto per noi stessi e nulla per le altre persone.” Ma le più  benigne “passioni originarie della natura umana potrebbero controbilanciare quella patologia.

Il liberalismo classico è naufragato sulle secche del capitalismo, ma i suoi impegni e le sue aspirazioni umanistiche non sono morti. Rudolf Rocker, un pensatore ed attivista anarchico del 20° secolo, ha ripetuto idee analoghe.

Rocker  descriveva  quella che chiama “una tendenza ben definita nello sviluppo storico del genere umano” che si batte per “lo svolgimento libero e senza impedimenti di tutte le forze individuali e sociali esistenti.”

Rocker delineava una tradizione anarchica culminante nell’anarcosindacalismo – in termini europei, un tipo di “socialismo libertario.”

Riteneva che questo genere di socialismo, non rappresenta “un sistema sociale fisso, chiuso in se stesso” che abbia una risposta definitiva, a tutte le domande e problemi della vita umana, ma piuttosto una tendenza nello sviluppo umano che lotta per raggiungere gli ideali dell’Illuminismo.

Inteso in questo senso, l’anarchismo è parte di una gamma più varia di pensiero e di azione socialista libertaria che comprende le conquiste pratiche della Spagna rivoluzionaria nel 1936; arriva anche alle imprese di proprietà dei lavoratori che si stanno diffondendo oggi nella zona americana maggiormente industrializzata, nel Messico settentrionale, in Egitto e in molti altri paesi, più estensivamente nella regione basca della Spagna, e comprende i molti movimenti cooperativi di tutto il mondo e buona parte di iniziative femministe, civili e per i diritti umani.

Questa tendenza ampiamente diffusa  nello sviluppo umano cerca di identificare strutture di gerarchia, autorità e dominio che tengano a freno lo sviluppo umano e che poi le esponga a una sfida molto ragionevole: giustificarsi.

Se queste strutture non riescono ad affrontare quella sfida, dovrebbero essere smantellate – e, come credono gli anarchici, “rifatte dal basso con una nuova forma,” come osserva il commentatore Nathan Schneider.

Questo in parte sembra un assioma: perché chiunque dovrebbe difendere le strutture e le istituzioni illegittime? Però gli assiomi hanno almeno il merito di essere veri, cosa che li distingue da una buona quantità di dissertazioni politiche. E penso che forniscano utili gradini per trovare il bene comune.

Secondo Rocker “il problema stabilito per il nostro tempo è quello di liberare l’uomo dalla maledizione dello sfruttamento economico e dalla schiavitù politica e sociale.”

Si dovrebbe notare che il genere americano di libertarianismo differisce nettamente dalla tradizione libertaria, accettando e in effetti sostenendo la subordinazione dei lavoratori ai padroni dell’economia, e la sottomissione di ognuno alla disciplina restrittiva e alle caratteristiche distruttive dei mercati.

L’anarchismo è, notoriamente, contrario allo stato e nel contempo sollecita “un’amministrazione pianificata delle cose nell’interesse della comunità,” nelle parole di Rocker; oltre a questo, federazioni estese di comunità e luoghi di lavoro autonomi.”

Oggi gli anarchici dediti a questi obiettivi, spesso appoggiano il potere dello stato per proteggere le persone, la società e la terra stessa dalle devastazioni della concentrazione del capitale privato. Non è affatto una contraddizione. Le persone vivono, soffrono e resistono, nella società attuale. I mezzi disponibili dovrebbero essere usati per salvaguardarla e per darle dei benefici, anche se l’obiettivo a lungo termine è quello di costruire alternative preferibili.

Nel movimento brasiliano dei lavoratori rurali, parlano di “allargare il ripiano della gabbia” – la gabbia delle istituzione coercitive esistenti che possono essere ampliate dalla lotta popolare – come è successo di fatto per molti anni.

Possiamo ampliare l’immagine per pensare alla gabbia delle istituzioni di stato come a una protezione dalle bestie feroci che vagano all’esterno; le istituzioni capitaliste predatorie sostenute dallo stato, dedicate per principio al vantaggio privato, al potere e al dominio, dove la comunità e l’interesse della gente sono considerate al massimo un dettaglio di poco conto, rispettate nella retorica, ma ignorate nella pratica come un fatto di principio e perfino di legge.

Gran parte dell’opera più rispettata nelle scienza politica accademica, paragona gli atteggiamenti pubblici e la politica del governo. Nel libro Ricchezza e influenza: disuguaglianza economica e potere politico in America,” lo studioso dell’Università di Princeton, Martin Gilen, rivela che la maggioranza della popolazione degli Stati Uniti è di fatto privata dei diritti civili.

Circa il 70% della popolazione, nel punto più basso della scala ricchezza/reddito, non ha influenza sulla politica, conclude Gilens. Salendo nella scala, l’influenza aumenta lentamente. Proprio in cima ci sono coloro che determinano per lo più la politica, con mezzi che non sono oscuri. Il sistema che ne risulta non è democrazia, ma plutocrazia.

O forse, un po’ più gentilmente, è quello che lo studioso di giurisprudenza Conor Gearty chiama “neo-democrazia”, un socio del neoliberalismo – un sistema in cui pochi godono della libertà, e la sicurezza nella sua forma più completa è disponibile soltanto per le elite, ma all’interno di un sistema di diritti formali più generali.

Al contrario, come scrive Rocker, un sistema veramente democratico raggiungerebbe il carattere  di “un’alleanza di gruppi liberi di uomini e donne basati sul lavoro cooperativo, e su un’amministrazione  programmata di cose nell’interesse della comunità.”

Nessuno considerava che il filosofo americano John Dewey fosse un anarchico. Considerate però le sue idee. Ha riconosciuto che “Il potere risiede oggi nel controllo dei mezzi di produzione, scambio, pubblicità, trasporti e comunicazioni. Chiunque li possieda governa la vita del paese,” anche se le forme democratiche rimangono. Fino a quando queste istituzioni sono nelle mani del pubblico, i politici rimarranno “l’ombra  distesa  sulla società  delle grandi aziende” in gran parte come si vede oggi.

Queste idee hanno portato molto naturalmente a una visione di società basata sul controllo dei lavoratori delle istituzioni produttive, come immaginato dai pensatori del 19° secolo, particolarmente Karl Marx, ma anche – - da John Stuart Mill che ci è  meno familiare.

Mill ha scritto: “Tuttavia si deve ipotizzare che la forma di associazione che se il genere umano continua a migliorare, deve predominare – è l’associazione dei lavoratori stessi in termini di uguaglianza, che possiedono collettivamente il capitale, con il quale continuano le loro operazioni, e che lavorano con la guida di amministratori che loro stessi possono eleggere e rimuovere da soli.

I Padri Fondatori degli Stati Uniti erano ben consapevoli dei rischi della democrazia. Nei dibattiti della Convenzione Costituzionale, il principale estensore di questa, James Madison, osservava che “In Inghilterra, attualmente, se le elezioni fossero aperte a ogni tipo di persone, quello che appartiene ai proprietari terrieri sarebbe in pericolo.  Ci sarebbe subito una legge agraria” che indebolirebbe il diritto alla proprietà.

Il problema fondamentale che Madison presagiva, “formulando un sistema che desideriamo duri per anni e anni” era di assicurarsi che i veri governanti sarebbero stati la minoranza ricca in modo da “assicurarsi i diritti   di proprietà davanti al pericolo che proviene da un’uguaglianza e universalità di  diritto di voto, mettendo tutto il  potere sulla proprietà nelle loro mani, senza poterne condividere neppure una parte.”

In generale la cultura è d’accordo con la valutazione dello studioso dell’Università Brown, Gordon S.Woods, che “la Costituzione era di per sé un documento aristocratico designato a controllare le tendenze democratiche di un periodo.”

Molto tempo prima di Madison, Aristotele, nella sua “Politica”, ha riconosciuto che c’era lo stesso problema riguardo alla democrazia. Esaminando una molteplicità di sistemi politici, Aristotele ha concluso che questo sistema era la migliore forma di governo – o forse la meno negativa. Le ha però riconosciuto un difetto: la grande massa dei poveri poteva usare il proprio potere di voto per prendersi le proprietà dei ricchi, il che sarebbe ingiusto.

Madison e Aristotele sono arrivati a posizioni opposte: Aristotele consigliava di ridurre la disuguaglianza, per mezzo di ciò che  questo considereremmo misure dello stato sociale. Madison pensava che la risposta fosse ridurre le democrazia.

Nei suoi ultimi anni, Thomas Jefferson,  l’uomo che ha preparato la Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti, ha colto la natura fondamentale del conflitto, che era lungi dall’essere terminata. Jefferson aveva serie preoccupazioni circa la qualità e il destino dell’esperimento democratico. Distingueva tra “aristocratici” e “democratici.”

Gli aristocratici sono “coloro che temono e  non si fidano del popolo, e vogliono togliere loro tutti i poteri per metterli nelle mani delle classi più alte.”

I democratici, al contrario, si identificano con le persone, hanno fiducia in loro, le amano e le considerano le più oneste e sicure, sebbene non le più sagge depositarie dell’interesse pubblico.”

Oggi, i successori degli “aristocratici di Jefferson, potrebbero discutere su chi dovrebbe avere il ruolo guida: gli intellettuali tecnocratici e orientati alla politica, oppure i banchieri e i dirigenti di azienda.

E’ questa tutela politica che la genuina tradizione libertaria cerca di smantellare e di ricostruire dal basso, mentre cambia anche l’industria, come diceva Dewey, “da un  ordine sociale feudale a un ordine sociale democratico” basato sul controllo dei lavoratori, rispettando la dignità del produttore come persona genuina, non come uno strumento nelle mani di altri.

Come la Vecchia Talpa  di Karl Marx – “il nostro vecchio amico, la nostra vecchia talpa che sa così bene come lavorare sotto terra, per poi emergere improvvisamente” – la tradizione libertaria sta sempre scavando vicino alla superficie, sempre pronta a sbirciare, talvolta in modi sorprendenti e inaspettati, cercando di  produrre quella che mi sembra una ragionevole approssimazione al bene comune.

 


© 2014 Noam Chomsky

Distribuito dal New York Times Syndicate

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://www.zcommunications.org/what-is-the-common-good-by-noam-chomsky

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