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26 giugno 2014

Troppa microplastica nel ghiaccio del Mare Artico che si scioglie

Nello studio “Global warming releases microplastic legacy frozen in Arctic Sea ice” pubblicato daEarth’s Future, un team di ricercatori statunitensi del  Dartmouth College e britannici dell’università di Plymouth, rivelano un nuovo rischio conseguenza del global warming e della nostra pessima gestione delle materie prime: trilioni di minuscoli pezzi di plastica sono stati imprigionati dai ghiacci antartici ed ora stanno per essere rilasciati.

Secondo Plastics Europe, nel solo 2012 gli esseri umani hanno prodotto 288 milioni di tonnellate di plastiche e il nuovo studio ha fatto una scoperta sorprendente: molta della plastica che non riusciamo/vogliamo a recuperare, riciclare e riutilizzare finisce intrappolata nei ghiacci dell’Artico. Con il cambiamento climatico però sorge un grosso problema: lo scioglimento del ghiaccio marino potrebbe restituire la microplastica all’ambiente.

Gli scienziati sapevano già che le microplastiche – polimeri, fibre o frammenti di meno di 5 millimetri – possono essere trasportate dal vento negli oceani, vicino alle coste o nei vortici di rifiuti  come il Great Pacific Garbage Patch, ma  Rachel Obbard, una scienziata della  Thayer School of Engineering  del Dartmouth College, è rimasta davvero sorpresa nello scoprire che le correnti avevano trasportato questi materiali fino all’Artico.

Su Earth’s Future la Obbard ed il suo team spiegano che quando nell’Artico si forma il ghiaccio intrappola le micro-plastiche galleggianti, che i carotaggi dicono essere centinaia per m3, con densità più alte addirittura di quelle trovate in alcune “isole di rifiuti” del Pacifico. «Trovarla in una regione così isolata  è stata per me davvero una sorpresa – ha detto la Obbard – Questo particolato ha fatto un lungo viaggio».

Non si conoscono ancora i potenziali pericoli delle microplastiche ma quelle catturate dal ghiaccio potrebbero aiutare i ricercatori a risolvere un mistero: negli ultimi 50 anni  la produzione industriale di plastica è aumentata considerevolmente ma nessuno è in grado di quantificare quale sia l’eliminazione finale di una gran parte di questi materiali.  Lo studio rivela che i ghiacci marini potrebbero essere un in mportante “pozzo”, ma  è un pozzo che si sta sciogliendo velocemene e queste microplastiche potrebbero presto tornare a galleggiare liberamente.

Secondo gli autori dello studio, «Nel quadro delle attuali tendenze di scioglimento, più di un trilione di frammenti di plastica potrebbero essere rigettati nel prossimo decennio». La Obbard ed il suo team basano le loro previsioni su 4 carote di ghiaccio prelevate durante spedizioni artiche nel 2005 e 2010. I ricercatori hanno fatto sciogliere una parte di queste carotaggi, poi hanno filtrato l’acqua e messo i sedimenti sotto un microscopio, selezionando le particelle che per forma e colore sembravano artificiali. Poi è stata fatta un’analisi chimica del particolato utilizzando uno spettrometro ad infrarossi.

Il 54% delle particelle presenti era rayon, che tecnicamente non è un polimero sintetico visto che deriva da cellulosa naturale, ma il 37% era costituito polipropilene, il 21% da poliestere, il 16% da nylon ed il  2% da polistirene, acrilico e polietilene.

Uno degli autori dello studio, Richard Thompson, del Marine Biology and Ecology Research Centre della  School of Marine Science and Engineering dell’università di Plymouth  ha detto che «E’ difficile individuare la fonte di questi materiali. Il rayon per esempio è un componente dei vestiti e dei filtri delle sigarette».

Gli scienziati credono che la presenza di microplastiche nei ghiacci artici possa essere ancora più alta se si passasse a filtri più fini, ma non sanno dire quali possano essere le conseguenze di tutto questo sull’oceano. I ricercatori fanno notare che la plastica è chimicamente inerte, ma può assorbire gli inquinanti organici in forte concentrazione. Mark Browne, un ecologo dell’università di California-Santa Barbara, ha effettuato dei test in laboratorio con organismi marini che dimostrano che non solo che le plastiche possono essere ritenute nei tessuti ma che gli inquinanti possono essere rilasciati dopo la loro ingestione. «Cominciamo a preoccuparci sempre di più», ha concluso.

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