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31 March 2014 - Press Release: IPCC Report

Originale: Systemic Disorder
http://znetitaly.altervista.org
31 marzo 2014

Etica e moralità alla fine della storia
di Pete Dolack
traduzione di Giuseppe Volpe

Strano, non è vero?, che il sistema che dovrebbe rappresentare l’apice dello sviluppo umano – persino la fine della storia – non abbia spazio per l’etica o la moralità.

Forse ciò diviene inevitabile quando un’ideologia si sviluppa al punto in cui l’economia è considerata estranea all’ambiente. Da quella posizione di vantaggio dubbia – per dirlo in modo eccessivamente sobrio – il percorso per arrivare a considerare l’ambiente, e le risorse naturali e la vita che esso contiene, come null’altro che una mucca da mungere a volontà, non è molto lungo. Una foresta non vale nulla se non può essere monetizzata, il che spesso significa abbattuta. Aria pulita? Acqua pulita? Articoli di lusso per quelli che possono permetterseli, e dunque profitti per quelli che possono imbottigliarli e creare un mercato per essi.

Un ponderato articolo del maggio 2009 della Monthly Review mi ha indotto a riflettere maggiormente su questo. Gli autori di tale articolo, “Capitalism in Wonderland” [Il capitalismo nel paese delle meraviglie], scritto da Richard York, Brett Clark e John Bellamy Foster, discutono i modelli usati dagli economisti convenzionali, che variano solo quanto alla misura in cui ignorano la vita futura. Sì, la faccenda è esattamente spietata così.

Gli economisti neoclassici basano le loro conclusioni sempre più folli che il riscaldamento globale non è questo gran problema e che, al peggio, causerà pochi danni economici, sul comodo e interessato presupposto che le generazioni future saranno più ricche e che pertanto per i nostri discendenti sarà meno costoso che per noi far pulizia dei nostri macelli.

Gli autori scrivono:

“Dove principalmente differiscono non è nelle idee sulla scienza riguardante il cambiamento climatico, bensì nei loro assunti valoriali a proposito della convenienza del trasferire oneri a carico di generazioni future. Questo denuda l’ideologia incorporata nell’economia neoclassica ortodossa, un campo che si presenta regolarmente come utilizzatore di metodi oggettivi, persino naturalistici, per plasmare l’economia. Tuttavia, a parte tutte le equazioni e il gergo tecnico, il paradigma economico dominante è costruito su un sistema di valori che premia l’accumulazione del capitale nel breve termine, svalutando contemporaneamente tutto il resto nel presente tutto in assoluto nel futuro.” [pag. 9].

Da qui gli economisti ortodossi scendono lungo una china scivolosa in qui alcuni esseri umani valgono e altri sono privi di valore. Tale mentalità è esemplificata dal famigerato documento di Lawrence Summers quando era capo economista della Banca Mondiale, in cui ha scritto:

“Penso che la logica economica alla base dello scaricare una quantità di rifiuti tossici nei paesi a salari più bassi sia impeccabile e che noi dovremmo ammettere questo … I costi dell’inquinamento probabilmente non sono lineari, poiché gli incrementi iniziali dell’inquinamento probabilmente hanno un costo molto basso. Ho sempre pensato che i paesi sottopopolati dell’Africa sono ampiamente sotto-inquinati.”

L’atteggiamento di Summers, anche se normalmente non espresso in modo così diretto, non è in disaccordo con la sua professione. Gli autori di “Capitalism in Wonderland” mettono a nudo le ramificazioni di questo modo di pensare:

“La vita umana vale in effetti solo quanto ogni persona contribuisce all’economia utilizzando come metro di misura la moneta. Dunque se il riscaldamento globale aumenta la mortalità in Bangladesh, come pare probabile farà, ciò si riflette nei modelli economici solo nella misura in cui le morti degli abitanti del Bangladesh hanno un impatto sull’economia [globale]. Poiché il Bangladesh è molto povero, i modelli economici … non stimerebbero valga la pena di prevenire le morti in quel paese perché quelle perdite risulterebbero minuscole nelle misure … Questa ideologia economica, naturalmente, si estende oltre la semplice vita umana, cosicché tutti i milioni di specie della terra sono valorizzati solo nella misura in cui contribuiscono al PIL. Così le preoccupazioni etiche circa il valore intrinseco della vita umana e delle vite delle altre specie sono del tutto invisibili nei modelli economici standard. L’aumento della mortalità umana e l’accelerazione del tasso delle estinzioni sono problemi per la maggior parte degli economisti solo se compromettono il “saldo di bilancio”. Sotto altri aspetti sono invisibili: così come lo è il mondo naturale nel suo complesso.” [pag. 10].

Questa è l’irrazionalità e l’immoralità che è alla base della spinta degli industriali e dei finanzieri a consentire al “mercato” di prendere tutte le decisioni sociali. I mercati non sono altro che gli interessi aggregati dei più grandi e più potenti industriali e finanzieri. Essi a loro volta, grazie alla morsa che esercitano sulle vette dell’economia mondiale, sono in grado di avere un’influenza decisiva sui governi, che non sono entità disincarnate che in qualche modo fluttuano sopra la società, ma sono piuttosto un riflesso delle forze e delle debolezze relative delle parti sociali.

L’impresa moderna ha come dovere legale soltanto di garantire il massimo profitto ai propri azionisti. In altre parole ci si aspetta che agisca per promuovere i propri interessi senza alcuna considerazione per nient’altro. L’impresa è considerata una persona giuridica negli Stati Uniti, una persona che non ha limiti biologici alla propria crescita. Joel Bakan, nell’introduzione al suo libro ‘The Corporation: The Pathological Pursuit of Profit and Power’  La società per azioni: il perseguimento patologico del profitto e del potere, ha così riassunto l’istituzione dominante del capitalismo:

“Il mandato definito giuridicamente della società per azioni consiste nel perseguire, incessantemente e senza eccezioni, il proprio interesse, indipendentemente dalle conseguenze spesso dannose che ciò può avere per altri. In conseguenza, sostengo io, la società per azioni è un’istituzione patologica, un possessore pericoloso del grande potere che esercita sui popoli e sulle società.”

Anche senza la “personalità giuridica”, tuttavia, l’incessante competizione del capitalismo indurrebbe tale comportamento e i vincitori di tale competizione sono quelli più disposti ad abbattere tutti gli ostacoli, umani e ambientali, scaricandone i costi sugli altri.

Davvero non siamo in grado di far nulla di meglio?


Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://zcomm.org/znetarticle/ethics-and-morality-at-the-end-of-history/

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