Le Monde
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3 settembre 2014

Da Danzica a Donetsk, l’appello degli intellettuali polacchi all’Europa
traduzione a cura di Claudia Bettiol

Pubblichiamo la traduzione dell’appello degli intellettuali polacchi, apparso su Le Monde del 1° settembre 2014, in cui si traccia un parallelo tra l’attuale conflitto in Ucraina orientale e due episodi della storia europa dell’interguerra, la guerra civile spagnola e l’occupazione di Danzica, chiedendo a Germania, Francia ed UE di trarne le conseguenze.

Un testo molto forte, che vale da documento circa le conseguenze che il conflitto in Ucraina ha sulle percezioni della Russia nei paesi dell’Europa centrale ed orientale.

East Journal pubblica dunque questo documento come “fonte primaria” di interesse per l’attualità. I suoi contenuti non riflettono l’opinione della redazione.

Morire per Danzica“. Ecco la frase che simboleggia l’atteggiamento dell’Europa occidentale nei confronti della guerra scoppiata 75 anni fa. La Francia e il Regno Unito diedero il via libera tre volte al dittatore tedesco. Né l’annessione dell’Austria (Anschluss), né l’occupazione dei Sudeti, né lo smantellamento della Cecoslovacchia provocarono conseguenze gravi per Hitler e lo stato tedesco. E quando il 1° settembre 1939, come conseguenza logica della firma del patto Molotov-Ribbentrop, risuonarono i primi spari sulla città di Danzica, le potenze occidentali non si risolsero che ad una “guerra simulata” (drôle de guerre). Ed è così che diedero il via libera a Hitler per la quarta volta, pensando di salvarsi la pelle al solo prezzo della fine di Danzica. Risultato? La capitale successiva sulla lista ad essere occupata fu Parigi; poco dopo le bombe caddero su Londra. Solo allora si cominciò a urlare “Basta” e “Mai più!“.

Questa politica egoista e a breve termine degli europei di fronte all’agressore non deve più ripetersi. Tuttavia, la recente evoluzione della situazione mondiale assomiglia stranamente all’anno 1939. La Russia, stato agressivo, occupa una parte del territorio del suo vicino: la Crimea. L’esercito e i servizi speciali del presidente Putin, che intervengono solitamente in incognito, operano nell’est dell’Ucraina, sostenendo coloro che terrorizzano la popolazione locale e minacciandola apertamente di invasione.

Si nota, tuttavia, una novità rispetto al 1939: l’aggressore in questione è riuscito, nel corso degli ultimi anni, ad attirare nell’orbita dei suoi interessi molti politici e uomini d’affari, mentre i suoi partner occidentali credevano ancora nel suo “volto umano”. La lobby così formatasi influenza e continuerà a influenzare la politica di molti Paesi. Si è parlato di Russia First (“La Russia prima di tutto”) e anche di Russia only (“Solo la Russia”). Oggi, quest’ultima è crollata. L’Europa ha ormai un bisogno urgente di una nuova Ostpolitik. Lanciamo quindi ai nostri vicini e concittadini europei e ai loro governi un appello urgente:

1. François Hollande, presidente della Repubblica francese, e il suo governo si trovano davanti al tentativo di fare un passo che sarebbe molto più grave della passività che ha caratterizzato la Francia nel 1939. Nelle prossime settimane Parigi è sul punto di diventare il solo Paese europeo ad aiutare l’agressore, con l’intenzione di consegnare alla Russia di Putin due navi portaelicotteri “Mistral” nuove di zecca. La cooperazione in questo ambito è iniziata nel 2010, e già all’epoca non mancarono le proteste. Nicolas Sarkozy, il presidente di allora, aveva l’abitudine di tagliar corto ripetendo “la guerra fredda è finita”. Oggi la guerra è aperta, ed è bella e dichiarata. Non c’è quindi alcuna ragione di onorare i vecchi impegni. Alcuni politici e Bernard-Henri Lévy hanno già proposto alla Francia di vendere le sue navi all’ONU o all’Unione Europea. Se il presidente Hollande non cambia idea, i cittadini d’Europa dovranno convincerlo boicottando le merci francesi.

2. Fin dal 1982 la Repubblica Federale Tedesca ha cominciato sempre di più a dipendere dal gas russo. Già all’epoca intellettuali polacchi, tra cui Czeslaw Milosz e Leszek Kolakowski, la misero in guardia contro l’installazione dei nuovi gasdotti, qualificandoli come potenziali “strumenti di ricatto” nei confronti dell’Europa: i presidenti successivi della Repubblica polacca, da Aleksander Kwaniewski a Lech Kaczynski, l’hanno ricordato anch’essi a più riprese. Ma i politici tedeschi, vuoi a causa del famoso complesso di colpevolezza tedesco o perché credevano al “miracolo economico russo” e speravano di trarne profitto, accettarono la cooperazione con il potere russo. Il tutto nel nome di un’infelice tradizione tedesca, secondo la quale all’est si discute esclusivamente con un unico partner: la Russia. Nel corso degli ultimi anni, le imprese appartenenti allo Stato russo o ai suoi oligarchi, nell’ambito delle risorse energetiche, del calcio o del settore turistico, hanno trovato sede in Germania. Berlino dovrebbe frenare questo tipo di dipendenza, dietro la quale si nascondono sempre delle pressioni politiche.

3. Tutti gli europei e ogni Paese individualmente dovrebbero prendere parte alle azioni di sostegno all’Ucraina minacciata. Centinaia di rifugiati dei territori dell’est dell’Ucraina e della Crimea hanno bisogno di aiuti umanitari. L’economia ucraina è stata resa esangue dagli anni del contratto a condizioni draconiane con Gazprom, che occupa una posizione di monopolio sul mercato delle risorse energetiche e che impone all’Ucraina, il suo cliente più bisognoso, la tariffa più alta. L’economia ucraina ha terribilmente bisogno di nuovi partner commerciali e di nuovi investitori. Il settore della cultura, dei mezzi d’informazione e delle iniziative civiche, dinamico e di straordinaria ricchezza, ha anch’esso bisogno di sostegno.

4. Per molti anni l’Unione Europea ha fatto capire all’Ucraina di non avere alcuna chance di farne parte, né tantomeno di beneficiare di un aiuto anche solo simbolico. La politica del “partenariato orientale” non ha cambiato molte cose. Un ripiego? Tuttavia, da un giorno all’altro, tutte queste questioni hanno sviluppato una propria dinamica, principalmente grazie alla determinazione dei democratici ucraini. Per la prima volta nella storia, i cittadini di un paese cadono sotto le pallottole con una bandiera europea tra le mani. Se l’Europa non dimostra alcuna solidarietà verso di essi, questo significa che gli ideali per la libertà e la fraternità, eredi della rivoluzione francese, non rappresentano più nulla per essa.

L’Ucraina ha il diritto di difendere il proprio territorio e i propri cittadini e di rispondere ad un’aggressione esterna tramite l’intervento delle forze di polizia e dell’esercito, anche nelle regioni di confine con la Russia. Poiché nella regione di Donetsk, come in tutto il resto del paese, ha regnato finora una pace stabile, e non si è mai visto un conflitto violento, nemmeno nell’ambito delle minoranze. Vladimir Putin, liberando i demoni della guerra e testando un nuovo tipo di agressione, trasforma l’Ucraina in un campo militare, come è successo alla Spagna durante la guerra civile, quando le unità fasciste, grazie all’appoggio della Germania hitleriana, attaccarono la giovane repubblica. Coloro che oggi non diranno a Putin “no pasarán!” ridicolizzano l’Unione Europea e i suoi valori, permettendo al tempo stesso la destabilizzazione dell’ordine mondiale.

Nessuno sa chi dirigerà la Russia fra tre anni. Nessuno sa cosa ne sarà dell’attuale élite al potere, responsabile di questa politica avventurosa e contraria agli interessi del proprio popolo. Sappiamo, invece, una cosa: colui che continuerà a fare del “business as usual” rischia la morte di migliaia di nuovi ucraini e russi, l’esodo di centinaia di migliaia di nuovi rifugiati, nonché nuovi attacchi dell’imperialismo putiniano nei confronti di nuovi giovani Paesi. Ieri Danzica, oggi Donetsk: non si può permettere che l’Europa viva i prossimi anni con una piaga aperta e sanguinante.

Appello firmato a Danzica il 1.9.2014 da:

Wladyslaw Bartoszewski,

Jacek Dehnel,

Inga Iwasiów,

Ignacy Karpowicz,

Wojciech Kuczok,

Dorota Masłowska,

Zbigniew Mentzel,

Tomasz Różycki,

Janusz Rudnicki,

Piotr Sommer,

Andrzej Stasiuk,

Olga Tokarczuk,

Eugeniusz Tkaczyszyn-Dycki,

Magdalena Tulli,

Agata Tuszyńska,

Szczepan Twardoch,

Andrzej Wajda,

Kazimierz Wóycicki,

Krystyna Zachwatowicz.

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