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set 4th, 2014

Al vertice Nato chi spinge per la pace, chi per la guerra, chi per le sanzioni. Intanto si studia l’allargamento a est
di Guido Keller

Il vertice Nato in corso a Newport, in Galles, non ha fornito fino adesso i risultati sperati, nonostante il presidente ucraino, Petro Poroshenko, abbia indicato per oggi il giorno possibile per la firma a Minsk, dove è in corso il tavolo delle trattative fra Ucraina, Russia, Osce e separatisti, del cessate-il-fuoco e quindi dell’ “attuazione di un piano di pace per l’Ucraina”.
Anche i ribelli filorussi si sono detti pronti a ordinare la tregua in caso a Minsk si arrivi ad un accordo di pace.
Tuttavia, mentre Poroshenko faceva il suo annuncio, i separatisti filorussi hanno portato il conflitto nei pressi della città di Mariupol, importante per il suo porto e la posizione strategica, da dove diversi testimoni hanno parlato di numerose esplosioni.
A Newport Stati Uniti e Gran Bretagna continuano quindi a spingere per la linea dura di nuove sanzioni verso Mosca e, come ha affermato il Segretario generale dell’Alleanza, “Mentre parla di pace, la Russia non ha fatto neppure un passo” per la de-escalation: “ora la Russia combatte contro l’Ucraina”, ha rincarato la dose Rasmussen. Addirittura si è parlato dell’invio di armi agli ucraini per compensare le forniture ai separatisti da parte della Russia, ma sulla questione “decideranno i singoli Stati”.
C’è, insomma, l’impressione che ci sia chi spinge per la pace e chi per il confronto duro, per cui le sanzioni appaiono un po’ come un compromesso, un male tutto sommato sopportabile nell’attesa che abbia inizio la tanto attesa de-escalation.
A cercare di prendere tempo sono i leader europei, ovvero dei paesi più compromessi con il vicino a oriente, anche se è proprio il presidente di turno dell’Unione europea e premier italiano Matteo Renzi, nonostante l’Italia abbia con la Russia da sempre importanti rapporti commerciali e relazioni ad ogni livello, a spingere per le sanzioni e ad appiattirsi sulle posizioni intransigenti di Barak Obama e David Cameron.
“La nostra reazione all’escalation militare della Russia – ha spiegato Renzi – deve essere ferma e rapida. Noi dobbiamo aumentare la pressione attraverso nuove sanzioni. Siamo pronti ad allargare il campo di misure restrittive nella finanza, nella difesa, tecnologie sensibili e beni ‘dual use’”. ”Spero – ha aggiunto – che un effettivo e durevole cessate-il-fuoco possa realizzarsi presto sulla base dei colloqui del presidente Poroshenko con il presidente Putin. Putin, dal canto suo, deve portare fatti e non parole”.
Oro colato per la politica Usa: Ben Rhodes, consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, ha fatto sapere che “Stiamo lavorando da diverso tempo su un pacchetto di nuove sanzioni contro la Russia”, ma “ci stiamo consultando con l’Europa a riguardo”.
A spingere per la pace potrebbe essere tuttavia lo stesso Vladimir Putin, impressionato non tanto dalle ventilate nuove sanzioni, che il tempo aggiusta sempre, quanto più dal rischio che gradualmente l’Alleanza Atlantica possa avere come confine fisico proprio quello russo: Rep. Ceca, Polonia e Ungheria hanno aderito nel 1999, Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Slovenia nel 2004, Albania e Croazia nel 2009, ma ora si sta parlando dell’allargamento a Macedonia, Montenegro, Georgia, Bosnia-Erzegovina, Serbia. E Ucraina. Tutti paesi (ad esclusione della ex Yugoslavia) un tempo parte dell’Unione sovietica o del Patto di Varsavia.
Certo è che, anche se nel Donbass la situazione dovesse essere disinnescata, rimarrà da sistemare la questione della Crimea. Putin, come aveva detto in occasione dell’incontro italo-russo di Trieste del 26 novembre scorso, non poteva permettere il passaggio dell’Ucraina all’Unione europea, sia per i 30 mld di euro di debito di Kiev con la Gazprom e con le banche russe, sia perché avrebbe rappresentato una sorta di zona franca per il passaggio delle merci dall’Europa all’Unione doganale: l’annessione unilaterale della Crimea, dove Mosca ha la base della Flotta del Mar Nero, appariva probabilmente al capo del Cremlino come una giusta compensazione per la decisione di Kiev di guardare a ovest, e forse gli scontri a Slaviansk, Donetsk e Lugansk avevano lo scopo di rendere definitiva la sovranità di Mosca sulla penisola. La situazione nell’est dell’Ucraina, tuttavia, ha raggiunto livelli evidentemente imprevisti, che ora non risultano più essere convenienti proprio agli interessi di Mosca.

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