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8 novembre 2014

Vladimir Putin al Valdai International Discussion Club – parte 1
di Vladimir Putin
traduzione di Giuseppe Volpe

Vladimir Putin ha partecipato alla riunione plenaria ufficiale dell’undicesima sessione del Valdai International Discussion Club. Tema della riunione è L’ordine mondiale: nuove regole o gioco senza regole.

Quest’anno hanno partecipato ai lavori del club 108 esperti, storici e analisti politici di 25 paesi, compresi 62 partecipanti stranieri.

La riunione plenaria ha riassunto il lavoro del club nei tre giorni precedenti, concentrato sull’analisi dei fattori che erodono il sistema attuale di istituzioni e norme della legge internazionale.

Estratti dalla trascrizione della riunione plenaria finale dell’undicesima sessione del Valdai International Discussion Club

PRESIDENTE DELLA RUSSIA, VLADIMIR PUTIN

Colleghi, signore e signori, amici, è un piacere darvi il benvenuto all’undicesima riunione del Valdai International Discussion Club.

E’ già stato menzionato che quest’anno il club ha nuovi co-organizzatori. Includono organizzazioni non governative, gruppi di esperti e università di spicco russe. E’ stata anche proposta l’idea di allargare le discussioni a comprendere non solo temi relativi alla Russia stessa ma anche alla politica e all’economia globale.

Spero che questi cambiamenti nell’organizzazione e nei contenuti rafforzeranno l’influenza del club come forum di spicco di discussione e di competenze. Al tempo stesso spero che permanga lo “spirito di Valdai”, questa atmosfera libera e aperta e quest’occasione di esprimere ogni sorta di opinioni diverse e franche.

Permettetemi di dire al riguardo che anche io non vi deluderò e parlerò in modo diretto e franco. Parte di quello che dirò potrà sembrare un po’ troppo dura, ma se non esprimiamo direttamente e onestamente quello che pensiamo realmente, allora ha scarso senso addirittura riunirci in tal modo. In tal caso sarebbe meglio attenerci a incontri diplomatici, in cui nessuno dice alcunché di senso concreto e, ricordando le parole di un famoso diplomatico, ci si rende conto che i diplomatici hanno lingue addestrate a non dire la verità.

Noi ci riuniamo per altre ragioni. Ci riuniamo per parlarci con franchezza. Dobbiamo essere diretti e netti oggi non per scambiarci insulti, ma per tentare di arrivare a conclusioni su ciò che sta attualmente avvenendo nel mondo, per cercare di capire perché il mondo sta divenendo meno sicuro e più imprevedibile e perché i rischi stanno dovunque aumentando intorno a noi.

La discussione di oggi verteva sul tema: Nuove regole o gioco senza regole. Penso che questa formula descriva accuratamente il punto di svolta storico che abbiamo raggiunto oggi e le scelte che tutti abbiamo di fronte. Naturalmente non c’è nulla di nuovo nell’idea che il mondo sta cambiando molto velocemente. So che si tratta di qualcosa di cui avete parlato nel dibattito di oggi. E’ certamente difficile non notare le spettacolari trasformazioni nella politica globale e nella vita economica, pubblica e nell’industria, nell’informazione e nelle tecnologie sociali.

Lasciate che mi scusi sin d’ora se finirò per ripetere ciò che alcuni dei partecipanti al dibattito hanno già detto. E’ praticamente impossibile evitarlo. Avete già tenuto discussioni dettagliate, ma io esporrò il mio punto di vista. Coinciderà con le idee di altri partecipanti su alcuni punti e differirà su altri.

Nell’analizzare la situazione odierna non dimentichiamo le lezioni della storia. Innanzitutto i cambiamenti dell’ordine mondiale – e quelli cui stiamo assistendo oggi sono eventi di questa dimensione – sono stati solitamente accompagnati se non da guerre e conflitti globali allora da serie di intensi conflitti a livello locale. Secondo, la politica globale verte innanzitutto sulla guida economica, su temi di guerra e pace e sulla dimensione umanitaria, compresi i diritti umani.

Il mondo è oggi pieno di contraddizioni. Dobbiamo essere franchi e chiederci se abbiamo in vigore una rete di sicurezza affidabile. Sfortunatamente non c’è alcuna garanzia e alcuna certezza che il sistema attuale di sicurezza globale e regionale sia in grado di proteggerci da rivolte. Questo sistema è stato gravemente indebolito, frammentato e deformato. Anche le organizzazioni di cooperazione politica, economica e culturale internazionale e regionale stanno vivendo tempi difficili.

Sì, molti dei meccanismi di cui disponiamo per garantire l’ordine mondiale sono stati creati ormai molto tempo fa, includendo, soprattutto, il periodo immediatamente successivo alla seconda guerra mondiale. Permettetemi di sottolineare che la solidità del sistema creato allora non solo in base ai rapporti di forza e ai diritti dei paesi vincitori, ma anche sul fatto i “padri fondatori” di questo sistema si rispettavano reciprocamente, non cercò di schiacciare altri, ma tentò di raggiungere aggiungere.

La cosa principale è che questo sistema ha necessità di svilupparsi e, nonostante i suoi molti difetti, deve essere almeno capace di mantenere i problemi attuali del mondo entro certi limiti e di regolare l’intensità della competizione naturale tra paesi.

E’ mia convinzione che non potevamo prendere questo meccanismo di pesi e contrappesi costruito negli ultimi decenni, a volte con grandi sforzi e difficoltà, e semplicemente farlo a pezzi senza costruire qualcosa al suo posto. Altrimenti resteremmo senza nessuno strumento che non sia la forza bruta.

Quello che dovevamo fare era attuare una ricostruzione razionale e adattarlo alle nuove realtà del sistema delle relazioni internazionali.

Ma gli Stati Uniti, essendosi dichiarati vincitori della guerra fredda, non hanno visto la necessità di ciò. Invece di stabilire un nuovo equilibrio di poteri, essenziale per mantenere l’ordine e la stabilità, hanno fatto passi che hanno gettato il sistema in un forte e grave squilibrio.

La guerra fredda è finita, ma non è terminata con la firma di un trattato di pace con accordi chiari e trasparenti sul rispetto delle regole esistenti o sulla creazione di nuovi parametri e regole. Ciò ha creato l’impressione che i cosiddetti ‘vincitori’ della guerra fredda abbiano deciso di forzare gli eventi e di rimodellare il mondo in funzione dei loro bisogni e interessi. Se il sistema esistente di relazioni internazionali, legge internazionale e pesi e contrappesi intralciava i loro scopi, tale sistema era dichiarato inutile, obsoleto e bisognoso di immediata demolizione.

Scusate l’analogia, ma questo è il modo in cui si comportano i nuovi ricchi quando improvvisamente finiscono per disporre di una grande fortuna, in questo caso sotto forma di guida e dominio mondiali. Invece di amministrare saggiamente la loro ricchezza, naturalmente anche a loro vantaggio, io penso che abbiano commesso molte follie.

Siamo entrati in un periodo di interpretazioni che differiscono e di silenzi deliberati nella politica mondiale. La legge internazionale è stata costretta ripetutamente al ritiro dalla carica del nichilismo legale. Obiettività e giustizia sono state sacrificate sull’altare del vantaggio politico. Interpretazioni arbitrarie e valutazioni prevenute hanno sostituito le norme legali. Contemporaneamente il controllo totale dei media globali di massa ha reso possibile, quando desiderato, presentare il bianco come nero e il nero come bianco.

In una situazione in cui si è avuto il dominio di un paese e dei suoi alleati, o meglio dei suoi satelliti, la ricerca di soluzioni globali si è spesso trasformata in un tentativo di imposizione delle loro ricette universali. Le ambizioni di tale gruppo sono cresciute tanto che hanno cominciato a presentare le politiche messe insieme nei corridoi del loro potere come la visione dell’intera comunità internazionale. Ma le cose non stanno così.

La stessa nozione di ‘sovranità nazionale’ è diventata un valore relativo per la maggior parte dei paesi. In essenza quella che è stata proposta è stata la formula: quanto maggiore la lealtà nei confronti del solo centro di potere mondiale, tanto maggiore la legittimità di questo o quel regime di governo.

Avremo in seguito una discussione libera e sarò lieto di rispondere alle vostre domande e mi piacerebbe anche avvalermi del diritto di porre io domande a voi. E nel corso del dibattito che seguirà lasciamo che si tenti di dimostrare fallace il ragionamento che ho appena esposto.

Le misure prese contro quelli che si rifiutano di sottomettersi sono ben note e sono state sperimentate e verificate molte volte. Comprendono l’uso della forza, le pressioni economiche e propagandistiche, l’interferenza in affari interni e appelli a una specie di legittimità “sovra-legale” quando hanno bisogno di giustificare interventi illegali in questo o quel conflitto, rovesciando regimi scomodi. Di recente disponiamo anche di prove sempre maggiori che nei confronti di numerosi leader è stato utilizzato il puro e semplice ricatto. Non è per nulla che il “grande fratello” spende miliardi di dollari per tenere sotto sorveglianza il mondo intero, compresi i suoi più stretti alleati.

Chiediamoci: quanto ci sentiamo a nostro agio al riguardo, quanto siamo sicuri, quanto siamo felici di vivere in questo mondo e quanto equo e razionale esso è diventato? Non abbiamo forse motivi reali per preoccuparci, discutere e porre domande imbarazzanti? Forse la posizione eccezionale degli Stati Uniti e il modo in cui attuano la loro posizione di guida sono una benedizione per noi e la loro interferenza in eventi in tutto il mondo sta portando pace, prosperità, progresso, crescita e democrazia e dovremmo semplicemente rilassarci e godere di tutto questo?

Fatemi dire che le cose non stanno così, assolutamente no.

Un diktat unilaterale e l’imposizione dei propri modelli producono il risultato opposto. Invece di risolvere conflitti ne determinano l’intensificazione, invece di stati sovrani e stabili vediamo la crescente diffusione del caos e invece che alla democrazia c’è sostegno a uno schieramento pubblico molto dubbio che va dai neofascisti dichiarati ai radicali islamici.

Perché appoggiano gente simile? Lo fanno perché decidono di usarla come strumento sulla via del conseguimento dei loro obiettivi ma poi si bruciano le dita e indietreggiano. Non smetto mai di meravigliarmi del modo in cui i nostri partner insistono proprio a inciampare nello stesso rastrello, come diciamo qui in Russia, cioè a ripetere in continuazione gli stessi errori.

Una volta hanno patrocinato movimenti estremisti islamici per combattere l’Unione Sovietica. Tali gruppi si sono fatti la loro esperienza da combattenti in Afghanistan e in seguito hanno dato vita ai talebani e ad al-Qaeda. L’occidente, se non li ha sostenuti, ha almeno chiuso gli occhi e, direi, fornito informazioni, sostegno politico e finanziario all’invasione della Russia (non lo abbiamo dimenticato) e dei paesi della regione dell’Asia centrale da parte di terroristi internazionali. Solo dopo orrendi attacchi terroristici commessi sullo stesso suolo statunitense gli Stati Uniti si sono svegliati alla minaccia comune del terrorismo. Permettetemi di ricordarvi che siamo stati il primo paese ad appoggiare allora gli statunitensi, il primo a reagire da amico e partner alla terribile tragedia dell’11 settembre.

Nel corso delle mie conversazioni con leader americani ed europei ho sempre parlato della necessità di combattere insieme il terrorismo, come sfida di scala globale. Non possiamo rassegnarci ad accettare questa minaccia, non possiamo suddividerla in parti separate utilizzando doppi metri. I nostri partner hanno dichiarato di essere d’accordo ma, passato poco tempo, siamo tornati daccapo. Prima c’è stata l’operazione militare in Iraq, poi in Libia, paese che è stato spinto sull’orlo della disgregazione. Perché la Libia è stata spinta in questa situazione? Oggi è un paese a rischio di finire a pezzi ed è diventato un campo di addestramento per i terroristi.

Solo la decisione e la saggezza dell’attuale dirigenza egiziana hanno salvato questo paese arabo chiave dal caos e dal dilagare dei terroristi. In Siria, come in passato, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno cominciato a finanziare e armare direttamente ribelli e a consentire loro di rimpolpare i loro ranghi con mercenari di vari paesi. Permettetemi di chiedere: da dove ricevono questi ribelli i fondi, le armi e gli specialisti militari? Da dove arriva tutto ciò? Come ha fatto il famigerato ISIL a diventare un gruppo così potente, essenzialmente e vero esercito?

Quanto alle fonti di finanziamento, oggi, i fondi non vengono solo dalle droghe, la cui produzione è aumentata non solo di pochi punti percentuali bensì di molte volte da quanto le forze della coalizione internazionale sono presenti in Afghanistan. Lo sapete. I terroristi ottengono fondi anche dalla vendita di petrolio. Il petrolio è prodotto in territorio controllato dai terroristi che lo vendono sottoprezzo, lo producono e lo trasportano. Ma qualcuno acquista tale petrolio, lo rivende e ne ricava utili, non pensando che in tal modo finanzia terroristi che presto o tardi potrebbero arrivare sul suo suolo e seminare distruzione nel suo stesso paese.

Dove prendono nuove reclute? In Iraq, dopo il rovesciamento di Saddam Hussein, le istituzioni statali, compreso l’esercito, sono state lasciate in rovina. Noi dicemmo allora: state molto, molto attenti. State buttando le persone su una strada e che cosa faranno là? Non dimenticate che, giusto o sbagliato che fosse, facevano parte della dirigenza di una grande potenza regionale, e in che cosa le state trasformando adesso?

Qual è stato il risultato? Decine di migliaia di soldati, ufficiali ed ex attivisti del Partito Baath sono stati buttati su una strada e oggi si sono uniti ai ranghi dei ribelli. E’ forse questo che spiega perché il gruppo dello Stato Islamico si è rivelato così efficiente? In termini militari sta agendo in modo molto efficace e dispone di personale molto professionale. La Russia ha ripetutamente messo in guardia sui pericoli delle azioni militari unilaterali, degli interventi in affari di stati sovrani e dell’amoreggiare con estremisti e radicali. Abbiamo insistito perché i gruppi che combattevano il governo centrale siriano, compreso lo Stato Islamico, fossero inseriti nella lista delle organizzazioni terroristiche. Ma abbiamo visto qualche risultato? Ci siamo appellati invano.

A volte abbiamo l’impressione che i nostri colleghi e amici stiano costantemente combattendo le conseguenze delle loro stesse politiche, che impegnino tutti i loro sforzi nell’affrontare i rischi che essi stessi hanno creato, e paghi un prezzo sempre più elevato.

Colleghi, questo periodo di dominio unipolare ha dimostrato convincentemente che avere un solo centro di potere non rende più gestibili i processi globali. Al contrario, questo tipo di costruzione instabile ha dimostrato la sua incapacità di combattere minacce reali, come conflitti regionali, terrorismo, traffico di droga, fanatismo religioso, sciovinismo e neonazismo. Al tempo stesso ha spalancato la via a un orgoglio nazionale gonfiato, alla manipolazione dell’opinione pubblica e a permettere che i forti prevarichino e soffochino i deboli.

Essenzialmente il mondo unipolare è semplicemente un mezzo per giustificare la dittatura su popoli e paesi. Il mondo unipolare si è rivelato anche scomodo, un fardello pesante e ingestibile persino per il leader autoproclamato. Commenti di questo tipo sono stati espressi poco fa e io concordo interamente. E’ per questo che consideriamo tentativi di ricreare una parvenza di un mondo quasi bipolare in questa fase storica un modello comodo per perpetuare la leadership statunitense. Non importa chi occupi il posto di centro del male nella propaganda statunitense, il vecchio posto dell’URSS come principale avversario. Potrebbe essere l’Iran, come paese che cerca di acquisire tecnologia nucleare, la Cina come maggiore economia mondiale o la Russia, come superpotenza nucleare.

Assistiamo oggi a nuovi tentativi di frammentare il mondo, di tracciare nuove linee divisorie, di assemblare coalizioni non costruite per qualcosa bensì dirette contro qualcuno, chiunque, per creare l’immagine di un nemico com’è stato negli anni della guerra fredda e ottenere il diritto a questa guida, o imposizione, se volete. La situazione è stata presentata in questo modo durante la guerra fredda. Tutti lo sappiamo e capiamo. Gli Stati Uniti hanno sempre detto ai loro alleati: “Abbiamo un nemico comune, un antagonista terribile, il centro del male, e stiamo difendendo voi, nostri alleati, da questo nemico e dunque abbiamo il diritto di impartirvi ordini, di costringervi a sacrificare i vostri interessi politici ed economici e a pagare la vostra parte del costo di questa difesa collettiva, ma lungo tutto il percorso saremo noi quelli al comando.” In breve, assistiamo oggi a tentativi, in mondo nuovo e mutevole, di riprodurre i modelli familiari del governo mondiale, e tutto ciò al fine di garantire la loro [degli Stati Uniti] posizione eccezionale e il loro incasso di dividendi politici ed economici.

Ma questi tentativi sono sempre più alienati dalla realtà e sono in contraddizione con la diversità del mondo. Passi di questo genere determinano inevitabilmente scontri e contromisure e hanno l’effetto opposto rispetto agli obiettivi sperati. Vediamo quello che succede quando la politica comincia a interferire avventatamente con l’economia e la logia delle decisioni razionali cede il passo alla logica dello scontro, che non fa che danneggiare le proprie posizioni e i propri interessi economici, compresi gli interessi economici nazionali.

Progetti economici congiunti e mutui investimenti avvicinano oggettivamente i paesi e contribuiscono a smussare i problemi attuali nelle relazioni tra stati. Ma oggi la comunità economica globale affronta una pressione senza precedenti da parte dei governi occidentali. Di quali convenienza e pragmatismo imprenditoriali, economico possiamo parlare quando udiamo slogan come “la patria è in pericolo”, “il mondo libero è minacciato” e “la democrazia è a rischio”? E dunque tutti devono mobilitarsi. E’ questa che è una vera politica di mobilitazione.

Sanzioni stanno già minando le fondamenta del commercio mondiale, le regole e i principi della WTO [Organizzazione Mondiale del Commercio] di inviolabilità della proprietà privata. Stanno assestando un colpo al modello liberale di globalizzazione basato su mercati, libertà e concorrenza, che, permettetemi di notare, è un modello di cui hanno principalmente beneficiato precisamente i paesi occidentali. E oggi stanno rischiando di perdere la fiducia da leader della globalizzazione. Dobbiamo chiederci: perché è stato necessario? Dopotutto la prosperità degli Stati Uniti dipende in larga parte dalla fiducia degli investitori e di detentori stranieri di dollari e di titoli statunitensi. Tale fiducia è chiaramente minata e segnali di delusione circa i frutti della globalizzazione sono oggi visibili in molti paesi.

Il ben noto precedente di Cipro e le sanzioni motivate politicamente hanno soltanto rafforzato la tendenza a cercare di potenziare la sovranità economica e finanziarie e il desiderio dei paesi e dei loro gruppi regionali di individuare modi per proteggersi dai rischi delle pressioni esterne. Costatiamo già che un numero sempre maggiore di paesi cerca modi per diventare meno dipendente dal dollaro e sta creando sistemi finanziari e di pagamento e valute di riserva alternativi. Penso che i nostri amici statunitensi stiano molto semplicemente tagliando il ramo su cui sono seduti. Non si può mischiare la politica con l’economia, ma questo è ciò che sta avvenendo oggi. Ho sempre pensato e continuo a pensare oggi che sanzioni motivate politicamente sono state un errore che danneggerà tutti, ma sono sicuro che in seguito torneremo su questo argomento.

Sappiamo come queste decisioni sono state prese e chi ha esercitato pressioni. Ma fatemi sottolineare che la Russi non ha intenzione di lasciarsi irritare, farsi offendere o andare a mendicare alla porta di nessuno. La Russia è un paese autosufficiente. Lavoreremo all’interno del contesto economico estero che si è formato, svilupperemo la produzione e la tecnologia nazionali e agiremo con maggiore decisione per attuare una trasformazione. Le pressioni dall’esterno, come è successo in occasioni passate, non faranno che consolidare la nostra società, mantenerci all’erta e farci concentrare sui nostri obiettivi di sviluppo principali.

Naturalmente le sanzioni sono un intralcio. Stanno cercando di colpirci mediante queste sanzioni, di bloccare il nostro sviluppo e spingerci in un isolamento politico, economico e culturale, di costringerci all’arretratezza, in altre parole. Ma fatemi dire di nuovo che il mondo è oggi un luogo molto diverso. Non abbiamo intenzione di chiuderci fuori da nessuno e di scegliere un qualche genere di sviluppo chiuso, di cercare di vivere da autarchici. Siamo sempre aperti al dialogo, anche sulla normalizzazione delle nostre relazioni politiche ed economiche. Contiamo, al riguardo, sull’approccio e le posizioni pragmatiche delle comunità degli affari dei principali paesi.

Alcuni oggi vanno dicendo che la Russia sta apparentemente voltando la schiena all’Europa – tali parole sono state probabilmente già pronunciate qui nel corso dei dibattiti – e che sta cercando nuovi partner commerciali, soprattutto in Asia. Lasciatemi dire che le cose non stanno assolutamente così. La nostra politica attiva nella regione Asia-Pacifico non è cominciata ieri e non in reazione a sanzioni, ma è una politica che abbiamo seguito ormai per molti anni. Come molti altri paesi, compresi paesi occidentali, abbiamo visto che l’Asia sta svolgendo un ruolo sempre maggiore nel mondo, in economia e in politica, e semplicemente non c’è modo per noi di permetterci di trascurare tali sviluppi.

Fatemi dire di nuovo che tutti lo fanno e lo faremo anche noi, tanto più visto che gran parte del nostro paese è geograficamente in Asia. Perché non dovremmo far uso del nostro vantaggio competitivo in quest’area? Sarebbe estremamente miope non farlo.

Sviluppare legami economici con questi paesi e realizzare progetti congiunti di integrazione creano anche grandi incentivi al nostro sviluppo interno. Le tendenze demografiche, economiche e culturali odierne suggeriscono tutte che la dipendenza da un’unica superpotenza oggettivamente si ridurrà. Si tratta di qualcosa di cui hanno parlato e scritto anche esperti europei e statunitensi.

Forse gli sviluppi della politica globale rispecchieranno gli sviluppi cui stiamo assistendo nell’economia globale, cioè intensa competizione per specifiche nicchie e frequenti cambiamenti di leader in aree specifiche. Questo è del tutto possibile.

Non c’è dubbio che fattori umanitari, come istruzione, scienza, assistenza sanitaria e cultura, stiano avendo un ruolo maggiore nella competizione globale. Ciò ha anche un forte impatto sulle relazioni internazionali, anche perché questa risorsa di “potere morbido” dipenderà in larga misura da reali risultati nello sviluppo di capitale umano piuttosto che da sofisticati trucchi propagandistici.

Al tempo stesso la formazione di un mondo cosiddetto policentrico (vorrei anche attirare la vostra attenzione su questo, colleghi) non migliora in sé e di per sé la stabilità; in realtà è più probabile il contrario. L’obiettivo di raggiungere l’equilibrio globale si sta trasformando in un rompicapo parecchio difficile, un’equazione con molte incognite.

Dunque che cosa c’è in serbo per noi se scegliamo di vivere non secondo le regole – anche se possono essere rigide e scomode – bensì di vivere senza regola alcuna? E un simile scenario è del tutto possibile; non possiamo escluderlo, considerate le tensioni nella situazione globale. Si possono già fare molte previsioni, tenendo conto delle tendenze correnti e, sfortunatamente, non sono previsioni ottimistiche. Se non creiamo un sistema chiaro di impegni e accordi reciproci, se non costruiamo i meccanismi per gestire e risolvere situazioni di crisi, i sintomi dell’anarchia globale aumenteranno inevitabilmente.

Oggi vediamo già il rapido aumento della probabilità di un intero complesso di conflitti violenti con la partecipazione diretta o indiretta delle maggiori potenze del mondo. E i fattori di rischio includono non solo tradizionali conflitti multinazionali ma anche la stabilità interna di stati separati, specialmente quando parliamo di nazioni situazione all’intersezione di interessi geopolitici degli stati maggiori o al confine di continenti culturali, storici e di civilizzazione economica.

L’Ucraina, di cui sono certo si sia discusso a lungo e di cui discuteremo ancora, è uno degli esempi di tali tipi di conflitti che influiscono sull’equilibrio internazionale di potere e io penso che certamente non sarà l’ultimo. Da qui promana la prossima minaccia reale di distruzione dell’attuale sistema di accordi sul controllo degli armamenti. E questo processo pericoloso è stato avviato dagli Stati Uniti d’America quando si sono ritirati unilateralmente dal Trattato contro i Missili Balistici nel 2002 e hanno avviato e continuano oggi a perseguire attivamente la creazione del loro sistema globale di difesa missilistica.

Colleghi, amici,

voglio puntualizzare che non siamo stati noi a cominciare questo. Ancora una volta stiamo scivolando in tempi in cui, invece dell’equilibrio di interessi e delle garanzie reciproche, sono la paura e il rapporto di mutua distruzione che impediscono alle nazioni di impegnarsi in conflitti diretti. In assenza di strumenti legali e politici, le armi stanno diventando ancora una volta il punto centrale dell’agenda globale; sono usate dovunque e comunque, senza alcuna sanzione da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. E se il Consiglio di Sicurezza si rifiuta di produrre tali decisioni, allora è immediatamente dichiarato uno strumento superato e inefficace.

Molti stati non vedono altro modo per garantire la loro sovranità che ottenere le proprie bombe. Ciò è estremamente pericoloso. Noi insistiamo nel proseguire il dialogo; non solo favoriamo il dialogo ma insistiamo nel proseguirlo per ridurre gli arsenali nucleari. Meno armi nucleari abbiamo nel mondo, meglio è. E siamo pronti alle discussioni più serie e concrete sul disarmo nucleare, ma solo nel caso di discussioni serie senza doppi metri.

Che cosa intendo dire? Oggi molti tipi di armi di alta precisione sono già prossimi a essere armi di distruzione di massa quanto al loro potenziale e nel caso di una piena rinuncia alle armi nucleari o di una radicale riduzione del potenziale nucleare, le nazioni che sono leader nel creare e produrre sistemi di alta precisione avranno un chiaro vantaggio militare. La parità strategica sarà compromessa ed è probabile che ciò determini destabilizzazione. L’uso di un cosiddetto primo attacco globale preventivo può diventare seducente. In breve, i rischi non diminuiscono; si intensificano.

La successiva minaccia evidente è l’ulteriore intensificazione di conflitti etnici, religiosi e sociali. Tali conflitti sono pericolosi non solo in quanto tali, ma anche perché creano zone di anarchia, di assenza di leggi, e di caos attorno a sé; spazi che sono comodi per terroristi e criminali, in cui pirateria, traffico di esseri umani e traffico di droga fioriscono.

Per inciso, all’epoca i nostri colleghi hanno tentato di gestire in qualche modo questi processi, di utilizzare conflitti regionali e di progettare ‘rivoluzioni colorate’ per fare i propri interessi, ma il genio è sfuggito dalla lampada. Sembra che gli stessi padri della teoria del caos controllato non sappiano cosa fare al riguardo; c’è scompiglio nei loro ranghi.

Noi seguiamo da vicino le discussioni sia delle élite dominanti sia della comunità degli esperti. E’ sufficiente osservare i titoli della stampa occidentale dell’anno scorso. Le stesse persone sono chiamate combattenti per la democrazia e poi islamisti; prima scrivono di rivoluzioni e poi le chiamano disordini e rivolte. Il risultato è ovvio: l’ulteriore espansione del caos globale.

Colleghi, considerata la situazione globale, è ora di cominciare a metterci d’accordo su questioni fondamentali. E’ incredibilmente importante e necessario; è molto meglio che tornare ai nostri angoli. Quanto più affrontiamo tutti problemi comuni, tanto più ci troviamo nella stessa barca, per dir così. E la via d’uscita logica sta nella cooperazione tra nazioni, società, nel trovare risposte collettive a sfide in aumento e nella gestione congiunta dei rischi. Poco ma sicuro, alcuni dei nostri partner, per qualche ragione, si ricordano di questo solo quando corrisponde ai loro interessi.

L’esperienza pratica dimostra che risposte congiunte a sfide non sono sempre una panacea e dobbiamo capirlo. Inoltre, nella maggior parte dei casi, sono difficili da concordare; non è facile superare le differenze negli interessi nazionali, la soggettività di approcci differenti, particolarmente quando si tratta di nazioni con tradizioni culturali e storiche diverse. Ma ciò nonostante abbiamo esempi di casi in cui, avendo obiettivi comuni e agendo in base agli stessi criteri, insieme abbiamo conseguito concreti successi.

Permettetemi di ricordarvi la soluzione del problema delle armi chimiche in Siria e l’importante dialogo sul programma nucleare iraniano, nonché il nostro lavoro sui problemi della Corea del Nord che anch’esso ha prodotto alcuni risultati positivi. Perché non possiamo utilizzare questa esperienza in futuro per risolvere contrasti locali e globali?

Quali potrebbero essere le basi legali, politiche ed economiche di un nuovo ordine mondiale che consenta stabilità e sicurezza incoraggiando contemporaneamente una sana competizione senza consentire la creazione di nuovi monopoli che ostacolino lo sviluppo? E’ improbabile che qualcuno sia in grado di offrire oggi soluzioni preconfezionate assolutamente esaustive. Avremo necessità di un esteso lavoro con la partecipazione di una vasta gamma di governi, imprese globali, società civile e di piattaforme di esperti come la nostra.

Tuttavia è ovvio che il successo e risultati concreti sono possibili solo se i protagonisti chiave degli affari internazionali possono mettersi d’accordo nell’armonizzare interessi di fondo, su basi di ragionevole autocontrollo, e creare l’esempio di una guida positiva e responsabile. Dobbiamo identificare con chiarezza dove finiscono le azioni unilaterali e dobbiamo applicare meccanismi multilaterali come parte del miglioramento dell’efficacia della legge internazionale; dobbiamo risolvere il dilemma tra le azioni della comunità internazionale per garantire sicurezza e diritti umani e il principio della sovranità nazionale e della non interferenza negli affari interni degli stati.

Queste stesse collisioni determinano sempre più interferenze esterne arbitrarie in processi interni complessi e più volte provocano conflitti pericolosi tra grandi protagonisti globali. Il problema del mantenimento della sovranità diventa quasi lo stesso del mantenimento e del rafforzamento della stabilità globale.

Chiaramente, discutere i criteri per l’uso della forza esterna è estremamente difficile; è praticamente impossibile separarlo dagli interessi di particolari nazioni. Tuttavia è di gran lunga più pericoloso quando non ci sono accordi che siano chiari a tutti, quando non sono fissate condizioni chiare per l’interferenza legale e necessaria.

Aggiungerò che le relazioni internazionali devono essere basate sulla legge internazionale, la quale dovrebbe a sua volta basarsi su principi morali quali la giustizia, l’uguaglianza e la verità. Forse più importante di ogni altra cosa è il rispetto dei propri partner e dei loro interessi. Questa è una formula ovvia, ma semplicemente rispettarla potrebbe cambiare radicalmente la situazione globale.

Sono certo che se c’è la volontà possiamo ripristinare l’efficacia del sistema delle istituzioni internazionali e regionali. Non abbiamo nemmeno bisogno di costruire qualcosa di nuovo, da zero; non è un “terreno da edificare”, specialmente visto che le istituzioni create dopo la seconda guerra mondiale sono pressoché universali e può essere assegnata loro sostanza moderna, adeguata a gestire la situazione attuale.

Questo vale per il miglioramento del lavoro dell’ONU, il cui ruolo centrale è insostituibile, e di quello dell’OSCE che, nel corso di quarant’anni, si è dimostrato un meccanismo necessario per garantire sicurezza e cooperazione nella regione Euro-Atlantico. Devo dire che anche oggi, nel cercare di risolvere la crisi nell’Ucraina sud-orientale, l’OSCE sta svolgendo un ruolo molto positivo.

Alla luce dei fondamentali cambiamenti nel contesto internazionale, dell’aumento dell’incontrollabilità e di varie minacce, abbiamo bisogno di una nuova unità globale di forze responsabili. Non si tratta di accordi locali o di una divisione di sfere d’influenza nello spirito della diplomazia classica, o del completo dominio globale da parte di qualcuno. Penso che abbiamo bisogno di una nuova versione dell’interdipendenza. Non dovremmo temerla. Al contrario, è un buono strumento per armonizzare posizioni.

Ciò è particolarmente rilevante considerato il rafforzamento e la crescita di certe regioni del pianeta, processo che oggettivamente richiede l’istituzionalizzazione di tali nuovi poli, creando organizzazioni regionali potenti e sviluppando regole per la loro interazione. La cooperazione tra questi centri accrescerebbe considerevolmente la stabilità della sicurezza, politica ed economia globali. Ma al fine di creare un simile dialogo dobbiamo partire dal presupposto che tutti i centri regionali e i progetti d’integrazione che si formano attorno a essi devono avere uguali diritti di sviluppo, in modo che possano completarsi a vicenda e che nessuno possa costringerli artificialmente a conflitti o contrasti. Tali azioni distruttive spezzerebbero i legami tra stati e gli stati stessi sarebbero sottoposti a difficoltà estreme, o forsanche alla distruzione totale.

Vorrei ricordarvi gli eventi dell’anno scorso. Abbiamo detto ai nostri partner statunitensi ed europei che decisioni avventate dietro le quinte, ad esempio, sull’ingresso dell’Ucraina nella UE sono gravide di gravi rischi per l’economia. Non abbiamo detto neppure nulla riguardo alla politica; abbiamo parlato solo dell’economia, affermando che passi simili, fatti senza accordi preventivi, toccano gli interessi di molte altre nazioni, compresa la Russia come principale partner commerciale dell’Ucraina, e che è necessaria una vasta discussioni sui problemi. Per inciso, a questo riguardo, vi ricorderò, ad esempio, che i colloqui sull’accesso della Russia alla WTO durarono 19 anni. Fu un lavoro molto difficile e fu raggiunto un certo consenso.

Perché sto tirando in ballo questo? Perché nel realizzare il progetto di associazione dell’Ucraina i nostri partner arriverebbero da noi con le loro merci e i loro servizi dalla porta sul retro, per dir così, e noi non abbiamo concordato ciò, nessuno ce l’ha chiesto. Abbiamo avuto discussioni su ogni tema legato all’ingresso dell’Ucraina nella UE, discussioni persistenti, ma voglio sottolineare che ciò è stato fatto in modo del tutto civile, indicando possibili problemi, mostrando ragionamenti e argomenti evidenti. Nessuno ha voluto ascoltarci e nessuno ha voluto dialogare. Ci hanno semplicemente detto: questi non sono affari vostri, punto, fine della discussione. Invece di un dialogo complessivo ma, lo sottolineo, civile, tutto si è ridotto a un rovesciamento di governo; hanno precipitato il paese nel caos, nel collasso economico e sociale, in una guerra civile con un numero enorme di vittime.

Perché? Quando chiedo il perché ai miei colleghi non hanno più una risposta, nessuno dice nulla. Appunto. Nessuno ha un’idea; dicono che semplicemente le cose sono andate così. Quelle azioni non avrebbero dovuto essere incoraggiate e allora le cose non sarebbero andate così. Dopotutto (ne ho già parlato) l’ex presidente dell’Ucraina Yanukovich aveva firmato tutto, aveva accettato tutto. Perché farlo? A che pro? Che cos’è questo, un modo civile di risolvere i problemi? Evidentemente quelli che mettono insieme nuove “rivoluzioni colorate” si considerano “artisti brillanti” e non sono semplicemente in grado di smetterla.

Sono certo che il lavoro di associazioni integrate, la cooperazione di strutture regionali, dovrebbe essere costruito su una base trasparente, chiara; il processo di creazione dell’Unione Economica Eurasiatica è un buon esempio di tale trasparenza. Gli stati che partecipano a questo progetto hanno informato in anticipo dei loro piani i loro partner, specificando i parametri della nostra associazione, i principi del suo lavoro, che corrispondono appieno alle norme della WTO.

Aggiungerò che avremmo gradito anche l’avvio di un concreto dialogo tra l’Unione Eurasiatica e quella Europea. Per inciso, anche questo ci è stato rifiutato quasi completamente, e il perché non è chiaro; cosa c’è che fa paura al riguardo?

E, naturalmente, con tale lavoro congiunto noi riterremmo di doverci impegnare nel dialogo (ho parlato molte volte di questo e sentito consenso di molti nostri partner occidentali, almeno in Europa) sulla necessità di creare uno spazio comun e di cooperazione economica e umanitaria che si estenda dall’Atlantico al Pacifico.

Colleghi, la Russia ha fatto la sua scelta. Le nostre priorità stanno ulteriormente migliorando le nostre istituzioni democratiche ed economiche aperte, hanno accelerato lo sviluppo interno tenendo conto di tutte le tendenze positive moderne nel mondo e consolidando la società basata su valori e patriottismo tradizionali.

Abbiamo un programma pacifico, positivo, orientato all’integrazione; stiamo lavorando attivamente con i nostri colleghi dell’Unione Economica Eurasiatica, con l’Organizzazione di Shanghai per la Cooperazione, con i BRICS e con altri partner. Questo programma è mirato a sviluppare legami tra governi, non alla dissociazione. Non stiamo progettando di mettere insieme alcun blocco o di coinvolgerci in scambi di colpi.

Le accuse e le affermazioni che la Russia sta tentando di creare qualche genere d’impero, interferendo con la sovranità dei suoi vicini, sono prive di fondamento. La Russia non ha bisogno di alcun tipo di spazio speciale, esclusivo nel mondo; voglio sottolinearlo. Rispettando gli interessi degli altri, noi vogliamo semplicemente che dei nostri interessi sia tenuto conto e che la nostra posizione sia rispettata.

Siamo ben consci che il mondo è entrato in un’era di cambiamenti e di trasformazioni globali, in cui tutti noi abbiamo bisogno di un grado particolare di prudenza, della capacità di evitare passi avventati. Negli anni dopo la guerra fredda, i partecipanti alla politica globale hanno in una certa misura perso queste qualità. Oggi dobbiamo ricordarcele. Altrimenti le speranze di uno sviluppo stabile e pacifico saranno un’illusione pericolosa, mentre il fermento attuale servirà semplicemente da preludio al collasso dell’ordine mondiale.

Sì, naturalmente, ho già detto che costruire un mondo più stabile è un compito difficile. Stiamo parlando di un lavoro lungo e duro. Siamo stati capaci di sviluppare regole d’interazione dopo la seconda guerra mondiale e siamo stati in grado di raggiungere un accordo a Helsinki negli anni ’70. Il nostro dovere comune consiste nel vincere questa sfida fondamentale in questa nuova fase dello sviluppo.

Molte grazie per la vostra attenzione.


– 8 novembre 2014 – seconda parte

Estratti dalla trascrizione della riunione plenaria finale dell’undicesima sessione del Valdai International Discussion Club

VLADIMIR PUTIN (commentando dichiarazioni dell’ex primo ministro francese Dominique de Villepin e dell’ex cancelliere federale austriaco Wolfgang Schuessel): Vorrei cominciare affermando che nel complesso sono d’accordo con quanto detto sia da Wolfgang sia da Dominique. Appoggio appieno quello che hanno detto. Tuttavia ci sono alcune cose che vorrei chiarire.

Credo che Dominique si sia riferito alla crisi ucraina come al motivo del deterioramento delle relazioni internazionali. Naturalmente questa crisi è una causa, ma non è la causa principale. La crisi in Ucraina è essa stessa una conseguenza di uno squilibrio nelle relazioni internazionali.

Ho già detto nel mio discorso perché questo sta avvenendo e i miei colleghi l’hanno già citato. Posso aggiungere altro, se necessario. Tuttavia questa è principalmente la conseguenza dello squilibrio nelle relazioni internazionali.

Quanto ai temi citati da Wolfgang ci ritorneremo: parleremo delle elezioni, se necessario, e della fornitura di risorse energetiche all’Ucraina e all’Europa.

Tuttavia vorrei rispondere alla frase “Wolfgang è un ottimista, mentre la vita è più difficile per i pessimisti”. Ho già citato la vecchia battuta a proposito di un pessimista e di un ottimista, ma non posso fare a meno di ripeterla. Abbiamo questa vecchia battuta su un pessimista e un ottimista: un pessimista beve il suo cognac e dice: “Puzza di cimici”, mentre un ottimista afferra una cimice, la schiaccia, poi l’annusa e dice: “Un leggero sentore di cognac”.

Preferirei essere il pessimista che beve il cognac piuttosto che l’ottimista che annusa cimici. (Risate).

Anche se pare che gli ottimisti se la passino meglio, il nostro obiettivo comune è vivere una vita decente (senza indulgere all’alcol). A questo fine dobbiamo evitare crisi, gestire insieme tutte le sfide e le minacce e costruire nell’arena globale relazioni tali che ci aiutino a conseguire questi obiettivi.

In seguito sarò disponibile a rispondere alle altre cose citate qui. Grazie.

IL GIORNALISTA BRITANNICO SEUMAS MILNE  (ritradotto dal russo): Vorrei sottoporle una domanda duplice.

Innanzitutto, signor presidente, lei crede che le azioni della Russia in Ucraina e Crimea negli ultimi mesi siano state una reazione a regole infrante e siano un esempio di amministrazione statale senza regole? E l’altra domanda è: la Russia considera queste violazioni globali delle regole un segnale per mutare la sua posizione? E’ stato detto ultimamente qui che la Russia non può dirigere la situazione globale esistente; tuttavia sta dimostrando qualità di leader. Come risponderebbe a questo?

VLADIMIR PUTIN: Vorrei chiederle di riformulare la seconda parte della sua domanda. Qual è esattamente la sua seconda domanda?

SEUMAS MILNE (ritradotto dal russo): E’ stato detto che la Russia non può ambire a posizioni di guida nel mondo, considerate le conseguenze del crollo dell’Unione Sovietica; tuttavia può esercitare influenza su chi sarà il leader. E’ possibile che la Russia modifichi la sua posizione, cambi il suo centro d’attenzione, come lei ha citato, riguardo al Medio Oriente e a temi collegati al programma nucleare iraniano?

VLADIMIR PUTIN: La Russia non ha mai modificato la propria posizione. Siamo un paese con un’attenzione tradizionale alla cooperazione e alla ricerca di soluzioni congiunte. Questo è il primo punto.

Secondo: non abbiamo pretese di guidare il mondo. L’idea che la Russia stia perseguendo un qualche tipo di esclusività è falsa; l’ho detto nel mio discorso. Non stiamo pretendendo un posto al sole; stiamo semplicemente procedendo dalla premessa che tutti i partecipanti alle relazioni internazionali dovrebbe rispettare i reciproci interessi. Siamo pronti a rispettare gli interessi dei nostri partner, ma mi aspettiamo lo stesso rispetto per i nostri interessi.

Non abbiamo cambiato il nostro atteggiamento riguardo alla situazione in Medio Oriente, al programma nucleare iraniano, al conflitto nord-coreano, alla lotta al terrorismo e alla criminalità in generale, compreso il traffico di droga. Non abbiamo cambiato nessuna delle nostre priorità nemmeno sotto la pressione di azioni non amichevoli da parte dei nostri partner occidentali, che sono guidati, in modo molto evidente in questo caso, dagli Stati Uniti. Non abbiamo cambiato le nostre posizioni nemmeno sottoposti alle sanzioni.

Comunque anche qui tutto ha dei limiti. Io parto dall’idea che potrebbe essere possibile che circostanze esterne possano costringerci a modificare alcune delle nostre posizioni, ma sino non c’è stata alcuna situazione estrema di questo genere e non abbiamo intenzione di cambiare nulla. Punto primo.

Il secondo punto ha a che fare con le nostre azioni in Crimea. Ho parlato di questo in numerose occasioni ma, se necessario, posso ripetermi. Si tratta della seconda parte dell’articolo 1 della Carta delle Nazioni Unite, il diritto delle nazioni all’autodeterminazione. E’ tutto scritto, e non solo come diritto all’autodeterminazione ma come obiettivo delle nazioni unite. Leggete questo articolo con attenzione.

Non capisco perché chi vive in Crimea non abbia questo diritto come chi vive, ad esempio, in Kossovo. Anche questo è stato citato qui. Perché in un caso il bianco è bianco mentre in un altro lo stesso è chiamato nero? Non accetteremo mai questa insensatezza. E questa è una cosa.

L’altra cosa molto importante è qualcosa che nessuno cita, perciò vorrei attirare la vostra attenzione su di essa. Che cosa è successo in Crimea? Innanzitutto c’è stato questo rovesciamento antistatale a Kiev. Qualsiasi cosa si possa dire, io trovo questo evidente: c’è stata una presa armata del potere.

In molte parti del mondo ciò è stato festeggiato, senza rendersi conto di ciò cui poteva portare, mentre in alcune regioni c’è stata paura che il potere fosse stato preso da estremisti, da nazionalisti e gente di destra, compresi neonazisti. La gente ha avuto paura per il proprio futuro e per le proprie famiglie e ha reagito di conseguenza. In Crimea il popolo ha tenuto un referendum.

Vorrei attirare la vostra attenzione su questo. Non è stato un caso che noi in Russia abbiamo affermato che c’era un referendum. La decisione di tenere un referendum è stata presa dall’autorità legittima della Crimea, il suo parlamento, eletto alcuni anni fa in conformità alla legge prima di tutti questi gravi eventi. Questo organo dall’autorità legittima ha indetto un referendum e poi, basandosi sui suoi risultati, ha adottato una dichiarazione d’indipendenza, proprio come fece il Kossovo, e si è rivolto alla Federazione Russa con la richiesta di accettare la Crimea nello stato russo.

Sapete, checché si possa dire e indipendentemente da quali sforzi faranno per escogitare qualcosa, sarebbe molto difficile, considerata la formulazione della decisione del tribunale della corte delle Nazioni Unite che afferma chiaramente (nel caso del precedente del Kossovo) che la decisione dell’autodeterminazione non richiede l’approvazione dell’autorità suprema di un paese.

In rapporto a ciò io ricordo sempre quello che hanno detto i saggi del passato. Ricordate il magnifico detto: ciò che è lecito a Giove non è lecito al bove.

Non possiamo accettare un approccio simile. Al bove può non essere permesso qualcosa, ma l’orso non dovrà neppure preoccuparsi di chiedere il permesso. Qui noi lo consideriamo il padrone della taiga e io so per certo che non intende trasferirsi in nessun’altra zona climatica; non ci si troverebbe bene. Comunque non permetterà neppure ad altri di prendersi la sua taiga. Penso che questo sia chiaro.

Quali sono i problemi dell’attuale ordine mondiale? Siamo franchi al riguardo, siamo tutti esperti qui. Parliamo e parliamo, ci comportiamo da diplomatici. Che cosa è successo al mondo? Esisteva un sistema bipolare. L’Unione Sovietica è crollata, il potere chiamato Unione Sovietica ha cessato di esistere.

Tutte le regole che disciplinano le relazioni internazionali dopo la seconda guerra mondiale sono state ideate per un mondo bipolare. Vero, l’Unione Sovietica era definita “l’Alto Volta dotato di missili”. Forse; e c’era una quantità di missili. Inoltre avevamo politici brillanti quali Nikita Krusciov che sbatté la scarpa al banco dell’ONU. E il mondo intero, principalmente gli Stati Uniti e la Nato, pensò: questo Nikita è meglio lasciarlo stare, potrebbe proprio andare a lanciare un missile, ne hanno un mucchio; dovremmo mostrare un po’ di rispetto nei loro confronti.

Oggi che l’Unione Sovietica è scomparsa, qual è la situazione e quali sono le tentazioni? Non c’è bisogno di tener conto delle idee della Russia, è molto dipendente, ha subito trasformazioni durante il crollo dell’Unione Sovietica e noi possiamo fare quel che ci piace, ignorando norme e regolamenti.

E’ esattamente quello che sta avvenendo. Dominique qui ha citato l’Iraq, la Libia, l’Afghanistan e, prima, la Jugoslavia. Tutto questo è stato davvero gestito nel quadro della legge internazionale? Non raccontateci queste favole.

Questo significa che alcuni possono ignorare tutto, mentre noi non possiamo proteggere la popolazione russofona e russa della Crimea. Non andrà così.

Vorrei che tutti capissero questo. Dobbiamo liberarci di questa tentazione e dei tentativi di organizzare il mondo a proprio piacimento e creare un sistema equilibrato di interessi e relazioni che da tempo è stato stabilito nel mondo; dobbiamo solo mostrare un certo rispetto.

Come ho già detto noi comprendiamo che il mondo è cambiato e siamo pronti a prenderne atto e ad aggiustare conformemente il sistema, ma non consentiremo mai a nessuno di ignorare completamente i nostri interessi.

La Russia mira a un ruolo di guida? Non abbiamo bisogno di essere una superpotenza; sarebbe un fardello extra per noi. Ho già citato la taiga: è immensa, sconfinata e proprio per sviluppare i nostri territori abbiamo bisogno di un mucchio di tempo, di energia e di risorse.

Non abbiamo bisogno di coinvolgerci in questioni, di dare ordini ad altri, ma vogliamo che anche gli altri si astengano dai nostri affari e smettano di pretendere di guidare il mondo. E’ tutto. Se c’è un ambito in cui la Russia potrebbe diventare leader è nell’affermare le regole della legge internazionale.

DOMANDA: Il processo di pace tra palestinesi e israeliani è del tutto crollato. Gli Stati Uniti non hanno mai permesso al ‘Quartetto’ di operare in modo appropriato. Al tempo stesso l’aumento degli insediamenti illegali israeliani nei territori occupati rende impossibile la creazione di uno stato palestinese. Abbiamo recentissimamente assistito a un grave attacco contro la Striscia di Gaza. Qual è l’atteggiamento della Russia nei confronti di questa situazione tesa in Medio Oriente? E cosa pensa degli sviluppi in Siria?

Anche un’osservazione per il signor VIllepin. Lei ha parlato di umiliazione. Che cosa può essere più umiliante dell’occupazione che la Palestina ha subito in tutti questi anni?

VLADIMIR PUTIN: Riguardo al conflitto israelo-palestinese: E’ facile per me parlarne perché, innanzitutto, devo dire e credere che tutti possano vedere che le nostre relazioni con Israele si sono trasformate seriamente nel decennio scorso. Mi riferisco al fatto che un gran numero di persone dell’ex Unione Sovietica vie oggi in Israele e noi non possiamo restare indifferenti al loro destino. Al tempo stesso, abbiamo rapporti tradizionali con il mondo arabo, specificamente con la Palestina. Inoltre l’Unione Sovietica, e la Russia come suo successore legale, ha riconosciuto la statalità della Palestina. Non stiamo cambiando nulla su questo.

Infine, a proposito degli insediamenti noi condividiamo l’opinione dei principali partecipanti alle relazioni internazionali. Li consideriamo un errore. L’ho già detto ai nostri partner israeliani. Io credo che si tratti di un ostacolo a relazioni normali e mi aspetto fortemente che tale pratica sarà interrotta e che l’intero processo per una soluzione pacifica tornerà al suo corso normale basato su un accordo.

Noi partiamo dal fatto che il conflitto mediorientale è una delle principali cause di destabilizzazione non solo della regione, ma anche del mondo in generale. L’umiliazione di ogni popolo che vive nell’area, o in qualsiasi altro posto nel mondo, è chiaramente una fonte di destabilizzazione e dovrebbe essere eliminata. Naturalmente ciò dovrebbe essere fatto usando mezzi e misure tali da essere accettabili a tutti i partecipanti al processo e a tutti coloro che vivono nell’area.

E’ un processo molto complicato, ma la Russia è pronta a usare ogni mezzo a sua disposizione per questa soluzione, comprese le sue buone relazioni con le parti in questo conflitto.

MIKHAIL POGREBINSKY, DIRETTORE DEL CENTRO DI KIEV PER GLI STUDI POLITICI E SUI CONFLITTI: Signor presidente, io vengo dall’Ucraina. Per la prima volta in settant’anni sta vivendo tempi molto duri. La mia domanda ha a che fare con la possibilità di una soluzione. In proposito vorrei riandare indietro nella storia. Lei ha citato che c’è stato un momento in cui è stata presa in considerazione una struttura trilaterale: Russia-Ucraina-Europa. Allora l’Europa non l’ha accettata, dopo di che è avvenuta una serie di eventi tragici, compresa la perdita della Crimea, la morte di migliaia di persone e così via.

Recentemente l’Europa, insieme con Ucraina e Russia, ha concordato che dopotutto questa struttura è possibile; inoltre è stata approvata una deliberazione corrispondente. In quel momento c’è stata speranza che la Russia, insieme con l’Europa e l’Ucraina, riuscissero a raggiungere un accordo che avrebbe potuto riportare la pace in Ucraina. Che cosa è successo dopo? Che cosa è successo tra Mosca e Bruxelles, Mosca e Berlino? Perché oggi la situazione appare del tutto folle. Non è chiaro a che cosa potrebbe portare. Che cosa pensa sia successo in Europa?

VLADIMIR PUTIN: Sa, quello che è successo potrebbe essere descritto così: non è successo niente. Sono stati raggiunti accordo ma nessuna delle parti li ha rispettati appieno. Tuttavia un totale rispetto di entrambe le parti poteva essere impossibile.

Ad esempio unità dell’esercito ucraino dovevano lasciare certe località in cui erano state dispiegate prima dell’accordo di Minsk, mentre l’esercito della milizia dove lasciare certi insediamenti che teneva prima di tale accordo. Tuttavia né l’esercito ucraino si è ritirato dalle località che doveva lasciare, né l’esercito della milizia si è ritirato dagli insediamenti da cui doveva andarsene, e con questo mi riferisco  – sarò franco ora – al fatto che le loro famiglie (intendo quelle dei miliziani) restano là e temono per la loro sicurezza. Le famiglie, le mogli e i figli vivono là. Questo un serio fattore umanitario.

Noi siamo pronti a compiere ogni sforzo per garantire l’attuazione dell’accordo di Minsk. Vorrei approfittare delle vostre domande per sottolineare la posizione della Russia: noi siamo a favore di un totale rispetto dell’accordo di Minsk da entrambe le parti.

Qual è il problema? Secondo me il problema chiave è che non vediamo il desiderio da parte dei nostri partner di Kiev, principalmente delle autorità, di risolvere pacificamente, mediante negoziati,  il problema delle relazioni con il sud-est del paese. Continuiamo a vedere la stessa cosa in varie forme: repressione usando la forza. Tutto è cominciato con Maidan, quando hanno deciso di cancellare Yanukovich con la forza. Ci sono riusciti e hanno innescato questa ondata di nazionalismo e poi tutto si è trasformato in alcuni battaglioni nazionalisti.

Quando ciò non è piaciuto alla popolazione del sud-est dell’Ucraina essa ha cercato di eleggere propri organi di governo e di amministrazione e ci sono stati arresti e incarcerazioni a Kiev, di notte. Poi, quando la gente ha visto che succedeva questo e ha preso le armi, invece di fermarsi e ricorrere finalmente a un dialogo pacifico, loro hanno inviato truppe, con carri armati e aviazione.

Per inciso, la comunità globale è rimasta zitta, come se non vedesse nulla di questo, come se non ci fosse una cosa quale l’”uso sproporzionato della forza”. Se n’è totalmente dimenticata. Io ricordo tutta la frenesia quando abbiamo avuto una situazione complessa nel Caucaso. Sentivo ogni giorno la stessa e unica cosa. Oggi niente più parole simili, niente più “uso sproporzionato della forza”. E ciò mentre sono usate bombe a grappolo e persino armi tattiche.

Vedete, in una situazione simile è molto difficile per noi in Russia organizzare la collaborazione con la popolazione del sud-est dell’Ucraina in modo da indurla a rispettare interamente tutti gli accordi. Continuano a dire che nemmeno le autorità di Kiev rispettano interamente gli accordi.

Comunque non c’è altra via. Vorrei sottolineare che noi siamo a favore della piena attuazione degli accordi da parte di entrambi gli schieramenti, e la cosa più importante che voglio dire – e voglio che tutti la sentano – è che se, Dio non voglia, qualcuno fosse nuovamente tentato di usare la forza per risolvere definitamente la situazione nel sud-est dell’Ucraina, ciò la porterà a un totale punto morto.

Secondo me c’è ancora una possibilità di raggiungere un accordo. Sì, Wolfgang ne ha parlato, l’ho compreso. Ha parlato delle imminenti elezioni in Ucraina e nel sud-est del paese. Lo sappiamo e ne stiamo costantemente discutendo. Proprio questa mattina ho avuto un’altra discussione con la Cancelliera tedesca. Gli accordi di Minsk prevedono che le elezioni nel sud-est debbano tenersi in coordinamento con la legislazione ucraina; non in base alla legge ucraina, bensì in coordinamento con essa.

Ciò è stato previsto di proposito, perché nessuno nel sud-est vuole tenere elezioni regolate dalla legge ucraina. Perché? Come si può fare quando si spara ogni giorno, la gente è uccisa da entrambe le parti e si devono tenere elezioni in base alla legge ucraina? Dovrebbe essere definitivamente finita la guerra e i soldati dovrebbero ritirarsi. Capite? Una volta che ciò sia ottenuto possiamo cominciare a prendere in considerazione qualsiasi riconciliazione o cooperazione. Fino a quando ciò non accadrà è difficile parlare di qualsiasi altra cosa.

Hanno parlato della data delle elezioni nel sud-est, ma pochi sanno che c’era stato un accordo perché le elezioni nell’Ucraina sud-orientale si tenessero il 3 novembre. Poi la data è stata modificata dalla legge corrispondente, senza consultare nessuno, senza consultazione con il sud-est. Le elezioni sono state fissate al 7 dicembre, ma nessuno ha parlato con loro. Perciò la gente del sud-est dice: “Vedete, ci hanno ingannato di nuovo, e le cose andranno sempre così”.

Si può discutere di questo in qualsiasi modo si preferisca. La cosa più importante è fermare immediatamente la guerra e ritirare i soldati. Se l’Ucraina vuole conservare la sua integrità territoriale, cosa che vogliamo anche noi, devono capire che non ha senso tenere qualche villaggio o altro; è privo di scopo. L’idea è di fermare il bagno di sangue e avviare un dialogo normale, costruire relazioni basate su tale dialogo e ripristinare almeno qualche comunicazione, principalmente nell’economia, e gradualmente seguiranno altre cose. Io credo che questo dovrebbe essere ottenuto come prima cosa e poi possiamo procedere oltre.

PIOTR DUTKIEWICZ, PROFESSORE DI SCIENZE POLITICHE, DIRETTORE DEL CENTRO PER LA GOVERNANCE E LA POLITICA PUBBLICA ALLA CARLETON UNIVERSITY (OTTAWA): Signor presidente, se mi è permesso vorrei tornare al problema della Crimea, perché è d’importanza cruciale sia per l’Est che per l’Ovest. Vorrei chiederle di fornirci la sua visione degli eventi che hanno portato a ciò, specificamente perché avete preso questa decisione. Era possibile fare diversamente? Come l’avete fatto? Ci sono dettagli importanti: come si è comportata la Russia all’interno della Crimea. Infine, come considera le conseguenze di questa decisione per la Russia, l’Ucraina, l’Europa e per l’ordine mondiale normativo? Glielo chiedo perché credo che milioni di persone vorrebbero ascoltare la sua personale ricostruzione di tali eventi e del modo in cui avete preso la decisione.

VLADIMIR PUTIN: Non so quante volte ne ho parlato, ma lo farò di nuovo.

Il 21 febbraio Viktor Yanukovych ha firmato i ben noti documenti con l’opposizione. Ministri degli esteri di tre paesi europei hanno apposto le loro firme in calce a tale accordo in qualità di garanti della sua attuazione.

La sera del 21 febbraio il presidente Obama mi ha chiamato e abbiamo discusso di questi problemi e di come fornire assistenza all’attuazione di questi accordi. La Russia ha assunto determinati obblighi. Ho sentito che il mio collega statunitense era pronto anche lui ad assumere determinati obblighi. Questo la sera del 21 febbraio. Lo stesso giorno il presidente Yanukovych mi ha chiamato per dirmi che aveva firmato l’accordo, che la situazione si era stabilizzata e che ci sarebbe stato un incontro a Kharkov. Non nasconderò di aver espresso la mia preoccupazione: com’era possibile lasciare la capitale in una situazione simile? Mi ha risposto di averlo ritenuto possibile perché c’era stato il documento firmato con l’opposizione e garantito da ministri degli esteri di paesi europei.

Vi dirò di più: gli ho detto che non ero sicuro che tutto sarebbe andato bene, ma che spettava a lui decidere. Era il presidente, conosceva la situazione, la sapeva più lunga di me. “In ogni caso, non penso che dovresti ritirare le forze di polizia da Kiev”, gli ho detto. Ha detto che capiva. Poi è partito e ha dato ordini di ritirare tutte le forze di polizia da Kiev. Una bella mossa, ovviamente.

Tutti sappiamo che cos’è successo a Kiev. Il giorno successivo, nonostante tutte le nostre conversazioni telefoniche, nonostante le firme dei ministri degli esteri, non appena Yanukovych ha lasciato Kiev il suo governo è stato attaccato con la forza, e così la sede del governo. Lo stesso giorno hanno sparato sul corteo del procuratore generale dell’Ucraina, ferendo uno dei suoi addetti alla sicurezza.

Yanukovych mi ha telefonato e mi ha detto che desiderava c’incontrassimo per parlarne. Ho accettato. Alla fine ci siamo accordati di incontrarci a Rostov, perché era più vicino e lui non voleva allontanarsi troppo. Ero pronto a volare a Rostov. Tuttavia è risultato che lui non poteva recarsi neppure là. Stavano già cominciando a usare la forza contro di lui, tenendolo sotto la minaccia delle armi. Non erano sicuri di dove andare.

Non lo nasconderò: lo abbiamo aiutato a passare in Crimea, dove è rimasto alcuni giorni. Ciò è avvenuto quando la Crimea faceva ancora parte dell’Ucraina. Tuttavia la situazione a Kiev si stava sviluppando molto rapidamente e violentemente; sappiamo che cosa è successo anche se il vasto pubblico può non saperlo: ci sono stati dei morti, sono stati bruciati vivi. Sono andati all’ufficio del Partito delle Regioni, hanno catturato operatori tecnici e li hanno uccisi, bruciati vivi nel seminterrato. In una situazione simile, non c’era modo che egli potesse ritornare a Kiev. Tutti avevano dimenticato gli accordi con l’opposizione firmati da ministri degli esteri e le nostre conversazioni telefoniche. Sì, vi dirò francamente che egli ci ha chiesto di aiutarlo ad arrivare in Russia, cosa che abbiamo fatto. E’ stato tutto.

Vedendo questi sviluppi la popolazione della Crimea ha quasi immediatamente preso le armi e ci ha chiesto aiuto nell’organizzare gli eventi che intendevano attuare. Sarò franco: abbiamo usato le forze armate per bloccare unità ucraine di stanza in Crimea, ma non per costringere nessuno a partecipare alle elezioni. Era impossibile, siete tutti adulti e lo capite. Come avremmo potuto farlo? Portare la gente alle urne sotto la minaccia delle armi?

La gente è andata a votare come se fosse una festa, lo sanno tutti, e hanno votato tutti, persino i tatari della Crimea. Ci sono stati meno tatari, ma l’affluenza totale è stata elevata. Mentre in generale l’affluenza in Crimea è stata tra il 96 o il 94 per cento, si è presentato un numero minore di tatari. Tuttavia il 97 per cento di essi ha votato “sì”. Perché? Perché quelli che erano per il “no” non si sono presentati alle urne, e quelli che si sono presentati hanno votato “sì”.

Ho già parlato dell’aspetto legale della questione. Il parlamento della Crimea si è riunito e ha votato a favore del referendum. Anche qui, come potrebbe dire qualcuno che diverse dozzine di persone sono state trascinate in parlamento a votare? Non è mai successo ed era impossibile: se qualcuno non voleva votare sarebbe salito su un treno o un aereo, o sulla sua auto e se ne sarebbe andato.

Si sono presentati tutti e hanno votato per il referendum e poi si è presentata la popolazione e ha votato a favore dell’unione con la Russia; questo è tutto. Come influenzerà questo le relazioni internazionali? Possiamo vedere che cosa sta succedendo, tuttavia se ci astenessimo dall’usare il cosiddetto doppio metro e accettassimo che tutti i popoli hanno uguali diritti, non avrebbe alcuna influenza. Dobbiamo ammettere il diritto all’autodeterminazione di quella popolazione.

NEIL BUCKLEY, REDATTORE DEL FINANCIAL TIMES PER L’EUROPA ORIENTALE: (ritradotto dal russo): Grazie. Sono Neil Buckley del Financial Times.

Signor presidente, da quanto ho sentito uno dei suoi colleghi internazionali ha affermato che lei non considera l’Ucraina un vero stato. Lei considera l’Ucraina un paese creato con pezzi di altri paesi. Potrebbe confermare questa visione? E’ la sua idea? Pensa che l’Ucraina abbia diritto di esistere  come stato sovrano e indipendente e che sia un paese vero? La Novorossiya  [Nuova Russia] – questa regione di cui si è parlato di recente- fa parte di questo paese? Se è così perché i media, compresi giornalisti del mio stesso giornale, affermano che soldati che indossano uniformi russe sono ora in Novorossiya? Vorrei approfittare di quest’occasione per dire io mi fido dell’autenticità dei fatti riferiti dai nostri giornalisti, anche se so che oggi stanno subendo critiche inaccurate da parte delle autorità russe. Grazie.

VLADIMIR PUTIN: Innanzitutto per quanto riguarda la sovranità dell’Ucraina io non ho mai messo in discussione che l’Ucraino sia a pieno titolo un paese europeo sovrano e moderno.

Ma altra cosa è che il processo storico che ha visto l’Ucraina prendere forma nei suoi attuali confini è stato molto complesso. Forse lei non è a conoscenza che nel 1922 parte del territorio che ha appena citato, terra che storicamente ha sempre avuto il nome di Novorossiya … perché questo nome? Era perché si trattava essenzialmente di un’unica regione con il suo centro a Novorossiisk e fu così che venne a essere chiamata Novorossiya. Quel territorio comprendeva Kharkov, Lugansk, Donetsk, Nikolayev, Kherson e la Regione di Odessa. Nel 1921-22, quando fu creata l’Unione Sovietica, quel territorio fu trasferito dalla Russia all’Ucraina. I comunisti seguirono una logica semplice: il loro obiettivo era aumentare la percentuale del proletariato in Ucraina in modo da garantirsi che avesse più sostegno in vari processi politici, perché nell’ottica comunista, i contadini erano un gruppo piccolo borghese ostile ai loro scopi e perciò avevano necessità di creare un proletariato più vasto. Questo è il mio primo punto.

Secondo: quello che anche accadde, penso, è che durante la guerra civile gruppi nazionalisti in Ucraina cercarono di impossessarsi di queste regioni ma non ci riuscirono e i bolscevichi dissero ai loro sostenitori in Ucraina: vedete cosa potete dimostrare al popolo ucraino. I nazionalisti non sono riusciti a impossessarsi di questo territorio, ma voi sì. Ma all’epoca era tutto un unico paese e dunque non era considerato una grande perdita per la Russia quando comunque era tutto parte di un unico paese.

Nel 1954 Krusciov, cui piaceva sbattere la sua scarpa all’ONU, decise per qualche motivo di trasferire la Crimea all’Ucraina. Ciò violava persino le stesse leggi dell’Unione Sovietica. Fatemi spiegare che cosa intendo. Secondo la legge sovietica del tempo il territorio poteva essere trasferito da una repubblica membra a un’altra solo con l’approvazione dei soviet supremi di ciascuna delle repubbliche interessate. Ciò non fu fatto. Invece i presidium dei soviet supremi russo e ucraino misero il loro timbro sulla decisione di procedere, ma solo i presidium, non i parlamenti. Ciò fu una flagrante violazione delle leggi in vigore all’epoca.

Negli anni ’90, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, la Crimea premette per la proclamazione di un’autonomia con vasti poteri. Sfortunatamente le autorità di Kiev cominciarono allora ad abolire tali poteri autonomi e li ridussero essenzialmente a zero, centralizzando tutti i processi politici, economici e finanziari. Lo stesso vale anche per l’Ucraina sud-orientale.

Quanto all’Ucraina occidentale forse lei non è al corrente che l’Ucraina guadagnò territorio dopo la seconda guerra mondiale. Parte del territorio fu trasferito dalla Polonia e parte dall’Ungheria, penso. Che cos’era Lvov se non una città polacca? Non è al corrente di questi fatti? Perché mi pone questa domanda? La Polonia fu risarcita mediante il territorio che acquisì dalla Germania quando i tedeschi furono cacciati da numerose regioni orientali. Se lei chiede in giro, vedrà che ci sono intere associazioni di questi tedeschi espulsi.

Non posso giudicare qui e ora se ciò fu giusto o sbagliato, ma è questo ciò che è avvenuto. Da questo punto di vista è difficile non riconoscere che l’Ucraina è una formazione statale complessa, dalle molte componenti. E’ semplicemente il modo in cui si sono svolti gli sviluppi storici. La popolazione della Crimea ha temuto per il proprio futuro suo e dei suoi figli dopo un colpo di stato attuato con il sostegno dei nostri partner occidentali e ha deciso di far uso del suo diritto all’autodeterminazione onorato dalla legge internazionale. Tuttavia ciò non significa in alcun modo che noi non rispettiamo la sovranità dell’Ucraina. Rispettiamo la sovranità dell’Ucraina e continueremo a farlo in futuro. Spero molto nella normalizzazione e nello sviluppo di relazioni russo-ucraine e penso si tratti di un processo inevitabile.

DOMANDA: Signor presidente, nel corso delle discussioni qui al club ha parlato un rappresentante delle autorità russe e tra altre cose ha detto che: “Putin è la Russia e la Russia è Putin.” Vorrei sapere che cosa pensa di questo slogan. Grazie.

VLADIMIR PUTIN: Fu il famoso Re Sole, Luigi XIV, che dichiarò che lui era la Francia, ma naturalmente ciò è del tutto sbagliato. E’ del tutto fuori discussione che la Russia sia la mia vita. E’ un fatto.  Non posso immaginarmi nemmeno per un secondo senza la Russia. Ho detto in passato di come ho fatto ricerche negli archivi sulla genealogia della mia famiglia. Venivano tutti da non lontano da Mosca, da 120 chilometri di distanza. C’è un villaggio dove i miei antenati hanno vissuto dal diciassettesimo secolo, recandosi in tutti quei lunghi anni nella stessa e unica chiesa. In questo senso avverto un legame con il suolo russo e il popolo russo e non potrei mai vivere altro che in Russia. Tuttavia la Russia può naturalmente cavarsela anche senza persone come me. Alla Russia non mancano le persone.

Ma visto che sono arrivato dove sono oggi e a questa carica che detengo, considero mio dovere fare tutto ciò che posso per la prosperità e lo sviluppo della Russia e per proteggerne gli interessi.

TOBY TRISTER GATI, CONSIGLIERE CAPO INTERNAZIONALE, AKIN GRUM STRAUSS HAUER & FELD (ritradotto dal russo):  Parlerò nello spirito del convegno Valdai. Spero lei comprenderà la mia domanda allo stesso modo.

Diverse settimane fa mister Obama ha parlato di tre sfide: Ebola, lo Stato Islamico e la Russia, la Federazione Russa, a causa degli eventi in Ucraina.

Tale affermazione ha fortemente irritato i leader russi. E devo dire che quello che ho ascoltato oggi da lei non è stato un discorso di tre sfide, bensì di un singolo problema globale che lei ha delineato: gli Stati Uniti.

Alcuni negli Stati Uniti apprezzeranno ciò che lei ha detto perché non si tratta di dichiarazioni a proposito di “potere morbido”, forse, né a proposito di guerra fredda, bensì a proposito di “guerra calda” nel sistema globale creato dagli Stati Uniti.

Altri saranno sorpresi dalle sue parole e dal suo tono, perché molti negli Stati Uniti non pensano sia una buona idea distruggere completamente i nostri legami, e io sono uno di loro.

Io non penso che la politica estera debba essere basata sul non tener conto degli interessi della Russia, ma penso che anche gli interessi degli Stati Uniti debbano essere rispettati.

Per essere onesto, non riconosco il paese che lei descrive nelle sue dichiarazioni.

La mia domanda è chi sono quei “loro” cui lei si riferisce nelle sue affermazioni? Si tratta del presidente Obama, dell’élite statunitense che decide la politica estera o è il popolo statunitense? Che cosa  descrive come  “codice genetico degli Stati Uniti nel mondo post-bellico”?  Ha detto di non poter collaborare con gli Stati Uniti in generale o con i loro alleati più stretti?

Un’altra domanda: vede qualche ruolo speciale che possano svolgere altri paesi, in particolare la Cina?

Infine, e cosa più importante, quale reazione si attende dagli statunitensi alle sue parole?

VLADIMIR PUTIN: Innanzitutto non ho detto che percepiamo gli Stati Uniti come una minaccia. Il presidente Obama, come lei ha detto, considera la Russia una minaccia. Io non penso che gli Stati Uniti costituiscano una minaccia per noi. Penso che, per usare un’espressione abusata, le politiche della dirigenza dominante siano mal dirette. Credo che tali politiche non siano di nostro interesse e minino la fiducia negli Stati Uniti e in questo stesso minaccino gli stessi interessi degli Stati Uniti erodendo la fiducia nel paese come leader politico ed economico globale.

C’è una quantità di cose che passiamo sotto silenzio. Ma ho già detto, e anche Dominique ha citato la stessa cosa, che azioni unilaterali seguite dalla ricerca di alleati e da tentativi di mettere insieme una coalizione dopo che tutto è già stato fatto non sono il modo per giungere a un accordo. Questo genere di azioni unilaterali è diventato frequente nella politica statunitense e porta a crisi. Ho già parlato di questo.

Il presidente Obama ha parlato dello Stato Islamico come di una delle minacce. Ma chi ha contribuito ad armare quelli che stavano combattendo Assad in Siria? Chi ha creato per loro un clima politico e d’informazione favorevole? Chi ha premuto per forniture di armi?

Davvero lei non è consapevole di chi sta combattendo là? Quelli che combattono sono prevalentemente mercenari. Non è consapevole di chi è pagato per combattere? E quelli vanno a combattere dovunque siano pagati di più.

Così ottengono armi e sono pagati per combattere. Ho saputo quanto sono pagati. Una volta armati e pagati per i loro servizi semplicemente non si riesce a smontare tutto ciò. Poi sentono dire di poter essere pagati di più altrove e così ci vanno e poi catturano campi petroliferi, diciamo in Iraq e in Siria, cominciano a produrre petrolio e altri acquistano quel petrolio, lo trasportano e lo vendono.

Perché non sono imposte sanzioni a chi si dà ad attività simili? Gli Stati Uniti non sanno chi è responsabile? Non sono i loro alleati che lo stanno facendo? Non hanno la forza e l’occasione per influenzare i loro alleati o vogliono che si comportino così? Ma allora perché stanno bombardando lo Stato Islamico?

Hanno cominciato producendo petrolio là e sono stati in grado di farsi pagare di più e alcuni dei ribelli in lotta per la cosiddetta “opposizione civile” sono corsi a unirsi allo Stato Islamico, perché paga meglio.

Penso che questa sia una politica molto miope e incompetente che non ha basi nella realtà. Ci siamo sentiti dire che dobbiamo appoggiare l’opposizione democratica civile in Siria, e così quella ha ottenuto sostegno, ha ottenuto armi. E dopo mezza giornata i ribelli sono corsi a unirsi allo Stato Islamico. Era così difficile prevedere questa possibilità con qualche anticipo? Ci opponiamo a questo tipo di politica. Crediamo sia fuorviata e dannosa per tutti, inclusi voi.

Quanto alla questione di tener conto dei nostri interessi, ci piacerebbe vedere persone come lei al Dipartimento di Stato. Forse ne verrebbe qualcosa per contribuire a capovolgere la situazione. Se ciò non accadrà la prego di far arrivare il nostro messaggio ai nostri partner, al presidente degli Stati Uniti, al Segretario di Stato e ad altri dirigenti, che non vogliamo né cerchiamo alcuno scontro.

Lei pensa che con un certo rispetto per i nostri interessi molti problemi sarebbero risolti. Ma deve trattarsi di azione, non di sole parole. Rispettare gli interessi altrui significa, come ho detto nelle mie osservazioni d’apertura, che non si può soltanto schiacciare gli altri utilizzando il proprio eccezionale peso economico o militare.

Non è bene che si combatta in Iraq e che la Libia sia finita in una condizione tale che il vostro ambasciatore nel paese sia rimasto ucciso. E’ nostra la colpa di queste cose? Il Consiglio di Sicurezza [dell’ONU] a un certo punto ha preso la decisione di dichiarare una zona di non sorvolo in Libia in modo che l’aviazione di Gheddafi non fosse in grado di bombardare i ribelli. Non penso sia stata la decisione più saggia, ma sia come sia. Ma che cosa è successo alla fine? Gli Stati Uniti hanno cominciato a condurre attacchi aerei, mettendo nel mirino anche bersagli a terra. E’ stata una grossolana violazione della risoluzione del Consiglio di Sicurezza ed essenzialmente un atto di aggressione senza nessuna risoluzione a legittimarlo. E’ stata colpa nostra? Lo avete fatto con le vostre mani. E quale il risultato? Il vostro ambasciatore è stato ucciso. Di chi la colpa? Potete biasimare soltanto voi stessi. E’ stata una buona cosa per gli Stati Uniti che un ambasciatore sia stato ucciso? E’ stata una cosa terribile, una tremenda tragedia.

Ma non dovreste cercare capri espiatori se siete voi quelli che hanno commesso gli errori. Al contrario, dovete superare il desiderio di dominare sempre e di agire in base alle vostre ambizioni imperiali. Dovete smetterla di avvelenare le menti di milioni di persone con l’idea che la politica statunitense può essere solo una politica di ambizioni imperiali.

Noi non dimenticheremo mai come la Russia aiutò gli Stati Uniti a ottenere l’indipendenza e non dimenticheremo la nostra collaborazione e alleanza nel corso della prima e seconda guerra mondiale. Penso che il popolo statunitense e quello russo abbiano in comune profondi interessi strategici ed è su tali interessi comuni che dobbiamo costruire le nostre fondamenta.

[segue]


Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/meeting-of-the-valdai-international-discussion-club/

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