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18/04/2014

Soldati ucraini: non si può morire per Donetzk
di Tommaso Canetta

Kiev non può rispondere alle provocazioni russe, in caso di guerra l’Occidente non la salverebbe

Un accordo sull’Ucraina, proprio quando la situazione stava per sfuggire di mano, alla fine è stato trovato. I rappresentanti di America, Russia, Unione europea e Ucraina, riuniti il 17 aprile a Ginevra, hanno concordato il disarmo delle milizie filo-russe e la restituzione al governo degli edifici occupati, l’amnistia per gli insorti, il non intervento da parte della Russia e il rinvio del prossimo round di sanzioni da parte dell’Occidente nei confronti di Mosca.

Rimangono dei punti deboli, in particolare non è chiaro chi si occuperà del disarmo delle milizie e cosa dovrebbe succedere se queste dovessero opporre resistenza. Nella auto-proclamata Repubblica Popolare di Donetzk gli insorti hanno già fatto sapere di non essere disposti a consegnare le armi a Kiev. Il sedicente presidente Denis Pushilin ha spiegato che la firma del ministro degli Esteri russo Lavrov non li vincola. Dal canto suo il presidente Ucraino ad interim Arsenyi Yatsenyuk - le elezioni si dovrebbero svolgere il 25 maggio - ha dichiarato di non avere «nessuna ragionevole aspettativa» sugli esiti che potrebbero scaturire dall’accordo.

Le premesse non sembrano molto incoraggianti, ma il compito principale svolto dall’accordo è stato secondo gli analisti quello di guadagnare tempo. Il merito di questo piccolo successo viene attribuito soprattutto alla condotta tenuta dal governo ucraino, abile - al di là delle dichiarazioni propagandistiche - a non far precipitare la situazione. O forse, entro certi limiti, costretto dalla prudenza dell’Europa e dell’America a dover fare realisticamente conto con i rapporti di forza in campo.

Nella fallimentare “operazione antiterrorismo” lanciata da Kiev contro gli insorti filo-russi nelle province Est del Paese è apparsa evidente una scarsa propensione a impiegare la forza da parte dei soldati ucraini. Alcuni blindati dell’esercito regolare sono stati “sequestrati” dalle milizie filo-russe senza che si verificassero violenze e il bilancio delle vittime nel complesso dell’operazione è stato contenuto: tre morti e una dozzina di feriti.

Dietro questo atteggiamento ai limiti del remissivo da parte delle forze regolari ucraine c’è sicuramente una grave carenza organizzativa - alcuni dei soldati che si sono arresi ai manifestanti filo-russi hanno raccontato di essere a digiuno da giorni -, ma anche una precisa intenzione di non esasperare la crisi. Il governo di Kiev era consapevole che se Mosca avesse trovato un pretesto per intervenire l’Occidente non avrebbe risposto militarmente per impedire l’invasione dell’Est del Paese. Il pericolo di scatenare una guerra in Europa è un rischio che - apparentemente - il Cremlino è disposto a correre ben più di quanto non lo siano Washington o Bruxelles. Insomma, “morire per Donetzk, no”.

In un convegno organizzato il 14 aprile dall’Istituto italiano di studi strategici (IISS) - prima che “l’operazione antiterrorismo” avesse inizio - l’ambasciatore Ucraino Yevhen Perelygin aveva sottolineato quanto fosse urgente e accorata la richiesta di aiuto di Kiev all’Europa: «Il futuro dell’Ucraina è nell’Unione europea, e la prima sfida che ci aspetta è quella di garantire l’integrità territoriale e la sovranità del popolo ucraino contro l’aggressività della Russia. La priorità è evitare un qualsiasi attacco da parte delle truppe di Mosca e arrivare a un loro ritiro dai confini». Ma nei conciliaboli privati era già emersa la consapevolezza in primo luogo da parte degli ucraini di essere relativamente soli contro la Russia.

«Quello che sta accadendo nel Donbass (la regione di Donetzk e Luhansk, ndr) è la replica di quanto già visto in Crimea», spiega a margine del convegno Maria Zolkina, ricercatrice ucraina della Democratic Imitatives Foundation. «Probabilmente Putin tenterà di annettere alla Russia altre parti del territorio ucraino, ma non credo che l’Occidente farà molto per impedirglielo. Siamo tradizionalmente considerati come il giardino di casa della Russia».

Secondo diversi analisti italiani non far sentire all’Ucraina le spalle coperte dall’Occidente è stata una strategia per ridurre il rischio che Kiev finisse nella trappola di Mosca e, magari rispondendo a delle provocazioni, desse il pretesto alla Russia per invadere l’est del Paese. I pochi scontri che si sono verificati non sono stati sufficienti a Putin, che pure già parlava di «guerra civile», per giustificare un intervento. L’accordo raggiunto ha allungato i tempi ma il rischio di un’invasione non si può considerare scongiurato.

In un report del Royal United Services Institute (Rusi), gli analisti inglesi hanno preso in considerazione i tre scenari più probabili per il futuro dell’Ucraina. Nel primo la pressione sui confini che sta esercitando Mosca ancora adesso è una strategia per forzare l’Occidente e Kiev a riconoscere l’annessione della Crimea alla federazione russa e per trattare in generale da una posizione di forza. Nel secondo scenario, più aggressivo, le truppe russe invaderebbero le tre province sud-orientali di Donetsk, Zaporizhia e Kherson, creando in questo modo un collegamento anche da ovest con la Crimea. Il terzo scenario, quello considerato più estremo, prevede che la Russia approfitti della situazione di crisi attuale per spaccare in due l’Ucraina, lungo la linea del fiume Dniepr. In questo caso l’Est verrebbe annesso alla Russia e, secondo diversi analisti, l’ovest entrerebbe nella Nato. Un esito questo molto pericoloso che rischia di riproporre logiche della Guerra Fredda in una situazione completamente diversa, mancando il presupposto del “equilibrio di potere” che invece esisteva tra Usa e Urss.

Fino alla sera del 17 aprile sembrava che il secondo e il terzo scenario diventassero più probabili ad ogni ora che passava. Dopo il raggiungimento dell’accordo ha ripreso quota il primo. «Putin potrebbe aver bluffato il pericolo di un’invasione per poter ottenere il massimo vantaggio possibile poi nella trattativa sulla Crimea, sul tasso di autonomia delle province dell’est e sulle sanzioni, magari preoccupato per le conseguenze che avrebbero l’isolamento politico e soprattutto quello economico se la Russia occupasse l’est dell’Ucraina», spiega Claudio Neri, direttore scientifico dell’IISS. «Oppure, altra possibilità che non si può escludere, Putin sta solo aspettando il momento giusto per riprendere le sue manovre e riconquistare quanto più terreno possibile. Questo scenario si dà però alla condizione che il presidente russo non ritenga possibile che gli Stati europei trovino la forza - in un momento di difficoltà economica - per bloccare le esportazioni di gas dalla Russia», conclude Neri. «In quel caso Mosca - per cui è più vitale esportare di quanto non sia per la Ue nel suo complesso importare - andrebbe sicuramente in crisi».


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