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venerdì 9 maggio 2014

Ucraina: siamo alla guerra civile
di Eliseo Bertolasi

Il russista Eliseo Bertolasi fa un resoconto del recente viaggio nell'Ucraina sud-orientale. La situazione sta letteralmente esplodendo.

Da poco sono rientrato, da questo intenso, difficoltoso viaggio nell'Ucraina Sud-orientale: Charkov, Donetzk, Lugansk. La situazione sta letteralmente esplodendo, siamo ormai alla "guerra civile", almeno nelle sue zone Sud-orientarli, inutile e fuorviante, quindi, utilizzare altri modi per definire tale situazione! Basta muoversi nella regione per rendersene conto!


La popolazione dell'Ucraina Sud-orientale, sembra non abbia nessun intenzione d'accettare il nuovo potere instauratosi a Kiev lo scorso febbraio.

Qui entrano in gioco delle serie questioni identitarie, lo dico in base a tutta una serie d'interviste, di analisi, da me effettuate. La popolazione (almeno la maggior parte), russa e russofona di queste regioni sta chiedendo a gran voce perlomeno la propria autonomia se non addirittura un'adesione alla "Madre Russia" che continua a sentire come la sua madre patria.

Nelle manifestazioni sventolano tante bandiere russe, la gente canta le canzoni della "Grande Guerra Patriottica", la cui vittoria, ricordo, viene celebrata ogni anno il 9 maggio nel "den pabedi" (il giorno della Vittoria).

La protesta che si sta allargando a macchia d'olio sta inoltre assumendo precise connotazioni ideologiche. In questa guerra fratricida, i separatisti filo-russi vengono chiamati da Kiev "terroristi"; le truppe ucraine mandate da Kiev a soffocare la rivolta vengono chiamate dai filo-russi semplicemente "fascisti". Dicono infatti: "il fascismo non passerà".

Nei cortei, nelle manifestazioni viene riproposta tutta la simbologia sovietica: la bandiera rossa con la falce e martello, l'inno e certamente anche tutta la sua carica antifascista che raggiunge la sua massima esaltazione nei richiami alla grande vittoria sul nazi-fascismo.  

Sono poi stato nelle città di Slaviansk e Kramatorsk, il fulcro di questa vasta sollevazione popolare.

I municipi delle 2 città sono ancora saldamente nelle mani dei miliziani filo russi.

Le due città sono costantemente sotto pressione, quasi ogni notte si susseguono gli attacchi da parte delle forze speciali di Kiev contro i numerosi posti di blocco presidiati dai miliziani filo-russi. Spesso si vedono gli elicotteri delle forze ucraine sorvolare la città e queste postazioni.

I due centri abitati sono isolati dal resto del Paese, non ci sono mezzi pubblici che escono o entrano, né autobus né treni. Entrare od uscire dalla regione, con mezzi privati, implica l'attraversamento di numerosi posti di blocco: quelli più vicino alle città, in mano ai filorussi (riconoscibili dalle bandiere russe che sventolano sulle barriere), e quelli più distanti che circondano e chiudono la regione, in mano alle truppe di Kiev, riconoscibili, questi ultimi, dalle bandiere ucraine e dai numerosi blindati.

Nonostante tutto, Slaviansk e Kramatorsk resistono ad oltranza; ho fatto numerose interviste ai miliziani, tutti mi rispondevano: "Si continuerà fino alla fine! Indietro non si torna!". Quando parlo di miliziani, parlo soprattutto di autodifesa popolare, la cosiddetta "Narodnoe Opolčenie Donbassa" (armata popolare del Donbass). Tra le sue file troviamo dallo studente che ha lasciato gli studi per accorrere in difesa del suo paese, al pensionato che ha lavorato tutta la vita in miniera e che ora imbracciando un Kalashnikov è pronto anche a perdere la vita pur di respingere i "fascisti". Alla mia domanda perché abbandonare tutto per questa guerra? La risposta è stata: "per i nostri figli, per il nostro Paese, per la Russia!" Mi colpisce questo dato: persone, spesso giovani, pronte a sacrificare la propria vita per un'ideale, dove il limite individuale della morte è superato da un gesto che la sacralizza e gli dona una dimensione atemporale ed eterna.

Il sabato mattina l'accesso all'aeroporto di Kramatorsk era bloccato dai militari ucraini. Mi sono avvicinato, era un reparto del SBU "Slu?ba Bezopasnosti Ukrainy" (Servizio di Sicurezza dell'Ucraina). Avevano dei blindati, tutti i militari erano ben equipaggiati, tutti avevano il viso coperto dal passamontagna.

Nella stessa giornata di sabato pomeriggio (3 maggio) i miliziani filo-russi alla difesa di Kramatorsk s'aspettavano l'attacco da parte dei soldati di Kiev. Per creare una barriera rigida e una cortina di fumo e di fuoco all'avanzamento dei blindati ucraini, hanno dato fuoco a degli autobus posti di traverso sulle vie che portano al centro della cittadina, e hanno poi iniziato a far suonare le sirene per allertare la popolazione civile dell'imminente attacco e per esortarla a non uscire e a ripararsi in casa. Ignorando tali raccomandazioni, la popolazione ha iniziato a riversarsi in strada quasi a contatto con i miliziani, molti dicevano "questa è la nostra città, anche noi siamo pronti a difenderla". L'attacco non c'è stato proprio perché avrebbe determinato un'immane strage di civili. Questo gesto, di grande valore, da parte della popolazione civile, prova il grande sostegno popolare alle ragioni della rivolta.

Dalla mia testimonianza posso affermare che i civili non vengono usati come scudi umani dai miliziani filo-russi, al contrario, è la popolazione civile che non fa mancare il proprio supporto agli stessi miliziani. Differentemente, a mio avviso, una ribellione che si estende ormai da Charkov fino a Odessa, non potrebbe né durare né sussistere senza un forte appoggio popolare.

Sono pessimista sul fatto che si possano ancora trovare dei margini di negoziato a questa crisi. Ormai ci sono già stati troppi morti, le posizioni si sono talmente inasprite da escludere, secondo me, la possibilità che si arrivi almeno nel breve termine, ad una posizione di compromesso, a prescindere dall'esito di eventuali elezioni.


Eliseo Bertolasi, russista, è ricercatore associato e analista geopolitico all'Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG) di Roma.

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