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11/05/2014

Ucraina, dal sogno europeista alla violenza anti-russa
di Stefano Grazioli

Reportage da un Paese caduto in breve nella rivoluzione permanente, e ora in preda all’estremismo

KIEV, ODESSA, LEOPOLI - Sulla Piazza dell’indipendenza di Kiev ci sono ancora le tende dei manifestanti. Gruppi paramilitari - Samoobrona (Autodifesa), Pravi Sektor (Settore di destra) e ultranazionalisti affini presidiano il centro: davanti alla Rada (il parlamento ucraino) e al palazzo del governo. Ufficialmente hanno deposto le armi, ma in questi giorni di inizio maggio, tra allarme provocazioni per le festività e il referendum sull’autonomia programmato a Donetsk, qualcuno ce le ha a portata di mano. Non si sa mai cosa può succedere, basta vedere il recente massacro di Odessa, anche se lì sono stati i filorussi a morire tra le fiamme. Le sedi del potere centrale nella capitale sono controllate all’esterno sia dalle forze regolari sia da quelle “del popolo”. Lo avevano detto, dopo la cacciata di Victor Yanukovich alla fine di febbraio: rimarremo qui almeno sino alle elezioni, fino a che la rivoluzione non sarà completata. E la rivolta con il tiranno si è trasformata in uno strano film tra il drammatico e il giallo, condito con episodi di guerra.

Quasi sei mesi fa Kiev era immersa nella normalità, poi la rivolta europeista, nata alla fine di novembre a Maidan dopo la svolta filorussa di Yanukovich, ha dato il via alla trasformazione: il momento della protesta più o meno pacifica è durato sino a metà gennaio; le settimane degli scontri con l’epilogo sanguinoso di febbraio hanno concluso la seconda fase con il cambio di regime e l’arrivo del nuovo governo; da marzo è in corso il terzo tempo, tra la confrontazione con la Russia e l’annessione della Crimea e l’insurrezione armata nel sudest. Difficile dire quando e come si concluderà. Alla fine di maggio le elezioni presidenziali saranno un momento fondamentale, sia per l’arrivo del nuovo presidente e il molto probabile rimpasto di governo, sia per vedere come reagirà “il popolo”, che ora occupa Maidan.

I problemi dell’Ucraina nascono naturalmente dalla questione con la Russia, dalle pressioni del Cremlino e da quelle che arrivano dall’Occidente, con gli Stati Uniti a spingere il premier Arseni Yatseniuk per ragioni che vanno al di là del solito brodo ideologico riscaldato, quello degli interessi geopolitici a condurre il valzer.

Ma sono anche e soprattutto problemi interni, di un paese che in pochi mesi è passato dall’apatia alla rivoluzione permanente, lacerandosi e lasciando spazio agli estremismi, con il rischio di perdersi definitivamente. Maidan Nezalezhnosti non è più una piazza europeista, è una piazza antirussa ed esplosivamente, in parte, anti-ucraina: così è percepita in diverse regioni del paese, sia in quell’est che è insorto con le armi, dove se gli estremisti filorussi sono teleguidati, buona parte del resto della popolazione non ha condiviso l’arrivo di Yatseniuk e un governo con la partecipazione della destra ultranazionalista di Svoboda.

Non c’è bisogno di andare nel Donbass, basta arrivare a Odessa, per capire che Euromaidan non è la piazza dei miracoli e delle speranze di tutti: nella metropoli sul Mar nero è accaduto quello che non si sbaglia a definire un episodio di guerra civile: il rogo della sede dei sindacati dove sono morti una cinquantina di militanti filorussi è il simbolo di come l’odio politico si possa trasformare in tragedia anche nella città più cosmopolita e tollerante del paese  Il Campo di Kulikovo a Odessa è l’equivalente di Maidan a Kiev: due piazze dove ora si respira la morte e dove rischia di essere seppellita la speranza di una riconciliazione. Soprattutto se saranno gli estremisti ad avere la meglio in una situazione che l’attuale governo sembra proprio non avere sotto controllo. Le tende in piazza sono state bruciate, il fuoco ha devastato l’edificio con i filorussi imprigionati: adesso gli odessiti del lato antigovernativo accusano le forze dell’ordine che non hanno fatto nulla e i fascisti di Kiev, in cui vengono compresi sia Yatseniuk che i paramilitari di Pravi Sektor e camerati vari. Dall’altra parte c’è chi si difende parlando della lunga mano del Cremlino che è arrivata sin qui per provocare e complottare. Odessa è una città divisa, esattamente come tutto il Paese.

Per trovare unità di vedute, bisogna andare nei Carpazi e arrivare a Leopoli, quasi al confine con la Polonia. All’inizio di gennaio i palazzi del potere erano occupati qui, nella roccaforte dei nazionalisti che guidavano la rivolta contro Yanukovich. Oggi Svoboda, il partito della destra radicale guidato dall’eroe di casa Oleg Tiahnybok, ha piazzato un pugno di ministri del governo, controlla la procura generale con Oleg Machnitzky e ha ottimi rapporti con il Consiglio di sicurezza nazionale, guidato da Andrei Parubi, che all’inizio degli anni novanta aveva fondato proprio con Tiahnybok il Partito social-nazionalista ucraino. A Leopoli e negli altri oblast occidentali, dopo la cacciata del vecchio presidente, si attende ora quello che accadrà a est e a sud. La perla dei Carpazi non ha né Maidan né Kulikovo Pole, qui nella Piazza del mercato che ricorda il passato asburgico. La gente fa la fila in questi giorni di festa per entrare al Kriivka, il ristorante più famoso della città, dedicato ai partigiani nazionalisti che combatterono nella seconda guerra mondiale contro l’Armata rossa. L’altra faccia della medaglia è però che l’Upa, l’esercito insurrezionale ucraino, collaborò anche coi nazisti e fece stragi di ebrei e polacchi in tutta la Galizia. Pezzi di storia finiti del dimenticatoio, in un paese che non ha imparato a fare i conti con il passato e che anche proprio per questo si sta giocando il futuro.


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