L'Huffington Post
03/03/2014

Vladimir Putin accusa l'Occidente di proteggere i "neonazisti di Kiev"
di Giulia Belardelli

C’è il peso di un’eredità irrisolta a gravare sulla crisi in atto tra Russia e Ucraina: l’eredità della Seconda Guerra Mondiale che proprio in Ucraina ebbe il suo centro nevralgico. E molte, moltissime ombre. Ombre nere che, pur collocandosi sotto etichette opposte, condividono lo stesso sprezzo per i diritti umani. Se per il presidente russo Vladimir Putin il concetto stesso di diritti umani è alieno, è anche vero che tra le varie anime della Maidan (la piazza di Kiev da cui è partita la protesta) ci sono anche loro, nazionalisti ed estremisti di destra che in alcuni casi si rifanno esplicitamente al nazismo.

Per questo Putin – da tempo fuori controllo nel suo sogno di restaurare un blocco simile all’Urss – può permettersi di lanciare un’accusa gravissima all’Occidente: quella di essere dalla parte dei “neonazisti” che "distruggono le chiese ortodosse e le sinagoghe", e di aver “chiuso gli occhi sulle atrocità dei militanti della Maidan, sul loro bullismo nei confronti dei loro avversari politici e dei cittadini comuni, sull'antisemitismo e la russofobia militante, sul profanare la memoria degli eroi della grande guerra patriottica", ossia la seconda guerra mondiale.

Così, in una prova muscolare che rischia di sfuggirgli di mano, Putin arriva a riempirsi la bocca dei “diritti umani” dei russi di Crimea, sfruttati per giustificare quella che nei fatti è una violazione da parte della Federazione Russa della sovranità e dell'integrità territoriale dell'Ucraina, in contravvenzione agli obblighi russi originanti dalla Carta delle Nazioni Unite e dall'accordo russo con l'Ucraina del 1997 sulle basi.

L’operazione mediatica di Putin è chiara: agitare gli spettri del neonazionalismo e dell’antisemitismo per dipingere un quadro monodimensionale dei complessi movimenti che hanno portato alla destituzione del presidente filorusso Viktor Yanukovych, evidenziandone solo la componente nazionalista più violenta.

Nella piazza di Kiev, infatti, accanto agli europeisti e a una generazione stanca delle ingerenze russe, sono apparsi i simboli e le bandiere del radicalismo ucraino che vede in Stepan Bandera, leader dei nazionalisti ucraini, il suo eroe. Oleh Tyahnybok, leader del partito nazionalista di estrema destra Svoboda, è stato uno dei tre capi della rivolta della Maidan, e per l’opinione pubblica russa e filorussa è senza ombra di dubbio un “nazista”.

Ancora più a destra di Svoboda si collocano nuove formazioni come Il Settore di Destra, gruppo nato dalle costole di varie formazioni, alcune anche con una preparazione paramilitare. Nei giorni più duri delle proteste, questi gruppi hanno svolto, insieme ai veterani dell’Afghanistan e ad altre formazioni, il ruolo di servizio d’ordine: sono stati loro i più attivi nell’occupare edifici e scontrarsi con la polizia ancora fedele a Yanukovych.

A controbilanciare l’anima nera della svolta di Kiev c’è il buco nero dei diritti umani in Russia, che fa piombare nella vergogna (o almeno così dovrebbe) la debolezza con cui l’Unione Europea in generale e l’Italia in particolare stanno affrontando la crisi. Sentire l’espressione “diritti umani” uscire dalla bocca di Putin, infatti, è a dir poco paradossale. In una piroetta che non ha incantato nessuno, il presidente russo ha cercato di promuovere in occasione delle Olimpiadi di Sochi l’immagine di una Russia “moderna e aperta al mondo”, per poi tornare subito alla vecchia realtà, quella di un paese in cui l’espressione del dissenso non è tollerata e le libertà personali sono un lusso. Basti pensare all’arresto, avvenuto poco più di una settimana fa, sono stati condannati sette degli otto imputati del caso Bolotnaja, oppositori di Putin in carcere dal 2012.

Che Putin abbia “perso il contatto con la realtà” – come avrebbe detto Angela Merkel in una telefonata a Barack Obama – è più che verosimile. La sua determinazione a non lasciare la Crimea fino a quando “i diritti umani dei russi che vi abitano non saranno protetti dalle minacce ultra nazionaliste” non è che l’ultima esibizione muscolare di un leader accecato dalla rabbia di fronte un’Ucraina ribelle, colpevole di non aver assecondato il sogno del restauratore. Il rischio è che da questa situazione possano risorgere le istanze peggiori, quelle finora sopite in uno dei tanti buchi neri della storia

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