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04/03/2014

Kiev, rischi di conflitto tra chiese
di Francesco Peloso

La crisi ucraina scoppia in un terreno religioso fatto di chiese romane, ortodosse, indipendenti o filo-russe

Non c’è solo la questione dei gasdotti, il rapporto con l’Europa, il conflitto con Mosca e la battaglia per l’indipendenza nella crisi ucraina. Un’altra faccia della questione è il conflitto interreligioso, tutto interno alle chiese cristiane stavolta, e in una chiave particolarmente delicata: il confronto mai sopito fra Roma e Mosca, fra Santa Sede e Patriarcato ortodosso. L’Ucraina è infatti da sempre terreno di confronto e più spesso di conflitto fra la cosiddetta “prima” e la “terza Roma”, e se da molti anni si parla di un possibile incontro fra il Papa e il leader ortodosso russo, questo riavvicinamento di fatto non è mai avvenuto. E di certo oggi Francesco e Kirill non sono più vicini.

Già con Giovanni Paolo II e poi con Benedetto XVI, mentre a Mosca sedeva Alessio II, più volte si parlò di un faccia a faccia tanto storico quanto difficile da mettere in pratica; di volta in volta furono ipotizzate sedi neutrali a metà strada fra Roma e Mosca per favorire l’incontro, ma mai, in realtà, l’intesa è stata raggiunta. E fra i motivi sempre ripetuti dal patriarcato moscovita per spiegare le ragioni della mancata intesa c’è stata a lungo quella del proselitismo cattolico in terra di Russia e in Ucraina in modo particolare, dove una chiesa greco-cattolica forte e nazionalista (gli uniati) ha ripreso vita all’indomani della caduta dell’impero sovietico. L’accusa era semplice: non si può fare opera di evangelizzazione in terre già cristianizzate. Poi, con Benedetto XVI, Roma e Mosca cercarono un’intesa sulla difesa del cristianesimo e dei suoi valori in un’Europa sempre più atea, ma al di là di qualche documento comune non si è andati.

D’altro canto Roma ha spesso giocato su due tavoli nei rapporti con l’ortodossia: da una parte lavorando con il patriarcato di Mosca, dall’altra, però, tessendo una tela proficua con il patriarcato di Costantinopoli (Istanbul). Quest’ultimo numericamente è una piccola istituzione, retaggio di un passato antico, tuttavia gode ancora di forte autorevolezza nel mondo ortodosso costituendo quasi una sorta di alternativa a Mosca, anzi è storicamente definito come “primus inter pares” fra le chiese ortodosse. Così Bartolomeo, l’attuale patriarca di Costantinopoli, ha rapporti particolarmente stretti con la Santa Sede rappresentando, fra l’altro, una chiesa meno intransigente e conservatrice sotto il profilo ideologico e teologico.

Francesco e Bartolomeo s’incontreranno fra l’altro a maggio a Gerusalemme, mentre il patriarcato di Mosca ha posto un ostacolo grosso come un macigno sulla strada del dialogo ecumenico. I lunghi colloqui teologici fra le chiese ortodosse e quella cattolica per superare le storiche divisioni, avevano infatti raggiunto un primo punto: il riconoscimento di un ‘primato’ all’interno di tutte le chiese cristiane. Anche per questo papa Francesco si è fin da subito autodefinito vescovo di Roma e ha cominciato a rafforzare il ruolo del sinodo: entrambe le strade – oltre a dare nuova spinta ai temi della riforma interna al cattolicesimo – andavano nella direzione di un’apertura all’ortodossia dove la sinodalità è strumento di governo e teologico così come quello del primato (ma non del papato di Roma naturalmente). Solo che Mosca ha detto il suo ‘niet’: il santo sinodo russo ha infatti bocciato l’accordo sul primato intravedendo in questo la possibilità di una Roma a capo di tutta la cristianità. Nel frattempo Bartolomeo ha cominciato a lavorare alla convocazione di un sinodo panortodosso togliendo in tal modo l’iniziativa a Mosca.

È in questo contesto già frastagliato che è scoppiata la crisi Ucraina. Nel Paese oltre ai greco-cattolici, ci sono diverse chiese ortodosse: una fedele a Mosca, una seconda indipendente (patriarcato di Kiev), e una terza minore autocefala, cioè nazionale. Esistono poi minoranze protestanti e cattolici di rito latino. Nelle settimane della rivoluzione i greco-cattolici e la Chiesa ortodossa di Kiev si sono schierati dalla parte degli insorti, hanno prestato soccorso ai feriti e rivolto ripetuti appelli alla comunità internazionale. Si tenga fra l’altro presente che l’attuale primate della Chiesa greco-cattolica, sua beatitudine Sviatoslav Schevchuk di soli 43 anni, ha un passato non lontano di studi e attività pastorale in Argentina per la Chiesa ucraina, proprio a Buenos Aires. A ciò si aggiungano i ripetuti appelli di papa Francesco per la pace e il dialogo nel Paese fatti nei giorni scorsi.

Gli ortodossi fedeli a Mosca, nel frattempo, hanno da pochi giorni un nuovo leader, il metropolita Onufry la cui linea, evidentemente concordata con il patriarca Kirill, è stata improntata alla massima prudenza: Onufry ha chiesto che si evitassero spargimenti di sangue e in merito all’invio di truppe russe ha parlato di possibili «conseguenze catastrofiche per i due Paesi». D’altro canto per Kirill un’eventuale scissione dell’Ucraina, cioè una sua divisione con un rimpicciolimento del territorio posto sotto la giurisdizione russa e un definitivo sganciamento di Kiev da Mosca, anche sotto il profilo ecclesiastico, sarebbe una tragedia.

Si tenga per altro conto dei forti legami stretti negli ultimi anni fra Putin e la Chiesa ortodossa, quest’ultima è anzi diventata una sorta di depositaria dell’identità religiosa e culturale della Russia putiniana. Ma in effetti il patriarcato ha difficoltà a muoversi fra difesa dell’unità territoriale ucraina e sostanziale appoggio alla politica di Mosca.

In un simile scenario, sia pure con estrema prudenza per non provocare rotture definitive, anche la Santa Sede si gioca le sue carte, sia sul piano ecumenico – nel rapporto con l’ortodossia non fedele a Mosca – sia su quello di un rinnovato peso strategico internazionale. Non è un caso che il confronto fra le chiese di Roma e Mosca, prosegua anche in Medio Oriente; è tutto da vedere, infine, se una crisi tanto complessa possa indurre i protagonisti a nuove occasioni di dialogo.

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