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Martedì, 08 Aprile 2014

Oltre e dopo il 12 aprile
di Sergio Cararo

E’ iniziato il conto alla rovescia rispetto alla manifestazione del 12 aprile. Sabato saremo anche noi in piazza con i nostri contenuti e i nostri attivisti perché riteniamo importante rompere il clima di consenso e rassegnazione che si respira nei confronti del governo Renzi e dell’ineluttabilità della subordinazione all’Unione Europea e ai diktat della Troika.

Il percorso che ha portato alla convocazione di questo appuntamento si è rivelato però diverso da quello che condusse alla mobilitazione del 18 e 19 ottobre scorsi, una iniziativa che molti – anche se non tutti – hanno valutato come un importante risultato politico. L’alleanza politica e sociale tra sindacati conflittuali, movimenti sociali e organizzazioni politiche anticapitaliste rappresenta – a nostro avviso – sia un esperimento che una necessità. Non per scelta “ideologica”, ma per rendere adeguato alle sfide il possibile fronte sociale di resistenza ai diktat dell’Unione Europea e alle misure antipopolari imposte dalla Troika.

Della manifestazione del 12 aprile si era iniziato a discutere quando c’era ancora il governo Letta, poi i “poteri fortissimi” hanno imposto il nuovo governo Renzi e diversi aspetti dello scenario sono cambiati. A cominciare dal decreto sul lavoro, dalle controriforme costituzionali e dalla dichiarazione resa da Renzi al Financial Times secondo cui “la concertazione è finita”. Un cambiamento decisamente non irrilevante e che investe d'un colpo tutto il lavoro dipendente (sotto qualsiasi tipo di contratto sia vincolato) e quanti il lavoro lo stanno ancora cercando.

La sepoltura del modello sociale europeo, dichiarata a suo tempo da Draghi e dalla Bce, si sta “facendo Stato” attraverso un rullo compressore che intende riscrivere completamente le regole del gioco e che ci restituisce un pilota automatico – l’Unione Europea, i suoi apparati, i suoi trattati, i suoi diktat – come una organizzazione costitutivamente ostile e antagonista ai lavoratori, agli interessi popolari e alla democrazia rappresentativa. Dunque non riformabile né in alcun modo leggibile come uno spazio comune in grado di “facilitare” le relazioni e i conflitti in Europa.

E’ in corso un processo che produce conseguenze a tutto campo. Sul piano sociale, ad esempio, ha certo destrutturato la classe lavoratrice con l’obiettivo di abbassare i salari, rendere precario il lavoro e “produttiva” anche la disoccupazione di massa (non a caso definita da Marx come esercito industriale di riserva); ma ha anche scomposto e messo in crisi diversi settori della piccola e media borghesia “nazionale”, definibile come tale più per le dimensioni “locali” dei suoi interessi che per identità e aspirazioni.

Anche sul piano politico, il dogma della “governance” sta facendo piazza pulita di ogni residuo della Costituzione materiale precedente, così come invocato pochi mesi fa da JP Morgan in persona. Il progetto di “riforma”, comunque, punta ora a cementare questo rovesciamento anche sul piano formale, attraverso parole pesanti scritte nero su bianco sulle carte ufficiali.

Una volta rimossa la rappresentanza democratica e i “lacci e lacciuoli”, rimane solo una tabella di marcia prettamente oligarchica nelle priorità. E silenziosi apparati coercitivi per farla rispettare.

L'opposizione a questo processo, dando espressione politica e organizzata ai settori popolari che ne sono vittime, non potrà seguire gli stessi riti del passato. Né sul piano elettoralistico, né su quello “movimentista”. Occorre dunque ridefinire e ristabilire modalità di confronto, coordinamento e costruzione delle iniziative di lotta e resistenza; sperimentando e rimettendo in gioco quello che si è, senza nostalgie per quello che si è stati.

Un'alleanza tra i sindacati conflittuali, i movimenti sociali su casa e reddito, le poche organizzazioni politiche rimaste della sinistra anticapitalista, non è solo un problema di “massa critica” necessaria, ma rappresenta anche la base minima di una possibile ricomposizione del blocco sociale antagonista; che, nella frantumazione, stenta a ritrovare e ridefinire la soggettività di classe necessaria a indicare – di nuovo – la prospettiva del cambiamento politico e sociale di fronte al “destino manifesto e immodificabile”; quello della subordinazione perenne, che le classi dominanti ci restituiscono come unico orizzonte futuro.

Questo livello di consapevolezza e l’importanza del rafforzamento dell’alleanza politico- sociale del 18 e 19 ottobre, sono stati rimossi dalla preparazione e dalla piattaforma della manifestazione del 12 aprile. Un errore di valutazione e impostazione cui andrà posto rimedio quanto prima. Anche per questo sabato 12 aprile saremo in piazza insieme a quelle realtà di movimento, sindacali, politiche che hanno posto al centro della loro azione la rottura dell’Unione Europea come punto unitario e dirimente di qualsiasi conflitto sociale in questo continente.

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