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07/11/2014

Restituire l'onore ai disertori: la verità un secolo dopo
di Mao Valpiana
Presidente nazionale del Movimento Nonviolento

La bella canzone Le Déserteur di Boris Vian è del 1954. Venne subito censurata. Una delle prime traduzioni italiane fu di Luigi Tenco: "Non lo voglio più fare/non posso più ammazzare la gente come me/E se mi troverete, con me non porto armi/coraggio su gendarmi sparate su di me". Portata al successo mondiale da Joan Baez, divenne ben presto la canzone-simbolo di pacifisti, anarchici, antimilitaristi di ogni parte del mondo. Da oggi la cantano anche in Vaticano. Il vescovo ordinario militare monsignor Santo Marcianò (nominato l'anno scorso da Papa Francesco come capo di tutti i cappellani militari) vuole "riabilitare i militari disertori". È una notizia clamorosa. Ribalta cento anni di retorica patriottarda. Il vescovo, riferendosi ai disertori della prima guerra mondiale, dice chiaramente che "giustiziarli fu un atto di violenza ingiustificato, gratuito, da condannare". E aggiunge: "Non c'è ragione che possa giustificare tale violenza, unita a diffamazione, vergogna, umiliazione". La logica conclusione cui giunge il prelato è che bisogna sostenere "la richiesta di chi vorrebbe una 'riabilitazione' di questi militari, tramite un loro riconoscimento come caduti di guerra".

L'iniziativa del Vaticano si aggiunge a tante altre che, in questi giorni di celebrazioni dei 100 anni del conflitto mondiale, hanno voluto uscire dalla vuote commemorazioni e riscrivere alcune pagine di storia. Nel mirino è entrata la discussa figura del generale Luigi Cadorna. Comandante supremo dell'esercito italiano fino alla disfatta di Caporetto, fin da subito si distinse per la scarsa o nulla considerazione della vita dei poveri soldati che mandava all'assalto senza nessuna protezione o per quelli che decimava senza alcuna pietà. "cadornismo" fu il termine utilizzato da Antonio Gramsci proprio per definire quella lucida follia, quel trattare gli essere umani come "carne da macello". Francesco Rosi, nel film Uomini contro, tratto dal libro di Emilio Lussu Un anno sull'Altipiano, mostra gli ufficiali austriaci che, dall'alto delle loro postazioni gridano "Basta, valorosi soldati italiani, non fatevi uccidere così". Già nel 2009 Ferdinando Camon scrisse un significativo articolo chiedendo fosse cambiato il nome alle strade o piazze intitolate a Cadorna. "Aver dato il nome di Cadorna è stato, ieri, un errore. Mantenerlo ancora diventa, ormai, una colpa". A Udine il sindaco ha accolto la proposta dell'intellettuale veneto modificando il nome in piazza dell'Unità d'Italia. A Verona i nonviolenti hanno chiesto al sindaco Flavio Tosi di prendere lo stesso provvedimento e di intitolare la piazza ai "disertori della prima guerra mondiale", e per non perdere tempo hanno già sostituito la targa. In rete sta circolando un appello rivolto al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano "per la riabilitazione storica e giuridica dei soldati italiani fucilati per disobbedienza o decimati nel periodo 1915-1918". Si chiede un'apposita legge. Le motivazioni a favore di quei giovani passati alla storia come "codardi e vili", sono esplicitate così: "Si rifiutarono di battersi e di morire per niente; vollero mettere fine ai massacri; rifiutarono di uccidere altri esseri umani con differenti uniformi; fraternizzarono oltre le trincee: dunque la loro riabilitazione deve essere collettiva".

Il dibattito, che finalmente si aprirà anche in Italia dopo la presa di posizione dell'arcivescovo ordinario militare per l'Italia (da notare che per legge è assimilato di rango al grado di generale di corpo d'armata), e troverà nuovo impulso grazie al film di Ermanno Olmi Torneranno i prati, ha avuto illustri precedenti in altri paese europei.

Nel novembre del 1998, Lionel Jospin, all'epoca primo ministro socialista francese, decise di riabilitare i disertori che nell'aprile 1917 vennero fucilati nella città di Craonne per essersi ribellati ai generali che li mandavano a morire sotto i colpi delle artiglierie tedesche. Dieci anni dopo, a Verdun, il presidente Nicolas Sarkozy ribadì la vicinanza della nazione alle famiglie dei soldati coperti di ignominia. Nel 2012 il ministère de la défense ha attribuito la menzione "morto per la Francia" al sottotenente Jean-Julien Chapelant, fucilato per diserzione nel 1914: in Francia, durante il conflitto, ci furono in media 15.745 diserzioni l'anno. Anche la Gran Bretagna, con una specifica legge del 2006, ha riabilitato la memoria di 306 soldati dell'impero britannico giustiziati dal loro stesso esercito durante la guerra.

L'Italia detiene purtroppo il record negativo europeo. Su di un esercito di 4 milioni e 200 mila soldati le denunce all'autorità giudiziarie militare dalla dichiarazione di guerra (24 maggio 1915) fino alla "vittoria" (4 novembre 1918) furono complessivamente 870 mila, delle quali 470 mila per mancata alla chiamata (di cui 370 mila contro emigrati che non erano rientrati) e 400 mila per diserzione, procurata infermità, disobbedienza aggravata, ammutinamento; ma di molte fucilazioni sul campo, effettuate soprattutto dopo Caporetto ed eseguite, nella maggior parte dei casi, senza un regolare processo, non sono rimaste notizie certe, così come delle "decimazioni" al fronte di interi reparti volute dai comandanti per "ristabilire la disciplina". Ci fu un vero e proprio "sciopero militare", come lo definì Cadorna. I disertori della guerra 1915-18 furono così numerosi che fu necessaria un'amnistia, promulgata nel 1919 dal presidente del consiglio Francesco Saverio Nitti.

Il tempo è maturo per compiere questo atto di giustizia storica. Rendere l'onore e restituire dignità ai tanti giovani disertori, renitenti, obiettori, che rifiutarono il massacro cercando di salvare la vita. Loro avevano ragione. I generali felloni e assassini avevano torto. La riabilitazione dei disertori avrà un senso soprattutto per noi. Sosteniamoli oggi, i fuggiaschi dalle guerre di tutto il mondo, dalla Siria all'Ucraina, dalla Libia all'Iraq, dall'Afghanistan ad Israele e Palestina. Auguriamoci che tra i nostri giovani crescano tanti disertori. È l'unico modo per garantirci la pace.

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