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Giovedì 24 Aprile 2014

25 Aprile: Partigiani sempre!

Anno dopo anno la commemorazione del 25 aprile rivela in maniera sempre più netta la distanza tra le istanze dei resistenti antifascisti di allora e e i presunti eredi che oggi, attraverso il sistema-dei-partiti siedono sulle poltrone pubbliche gestendo municipalizzate, distribuendo appalti, espropriando e privatizzando beni comuni e ricchezza pubblica, utilizzando spesso i partigiani superstiti (quelli che si prestano, non tanti per fortuna) per legittimare il loro operato e le loro lamentele quando vengono duramente attaccati per le loro responsabilità politiche.

Spesso utilizzano i loro magistrati - che non di rado fanno appello morale/politico alla "Repubblica nata dalla Resistenza" per dare una patina a una legitimità che non hanno più - per mandare in galera giovani e meno giovani che oggi, in mutate condizioni storiche e politiche, portano avanti battaglie di resistenza, trasformazione, dignità.

Noi non dimentichiamo quella lezione! Oggi come ieri partigian*, con chi lotta e resiste, nei boschi della Clarea e nelle arterie della metropoli, contro lo sfruttamento e il razzismo, in difesa dei territori, contro la devastazione e l'espropriazione della vita di tutti e tutte, per un futuro degno, contro una vita ridotta a competizione tra animali economici...

Buon 25 aprile !

[alleghiamo due testi famosi, uno storico, l'altro memorialistico-mitografico e, in fondo, una serie di appuntamenti a cui parteciperemo...]

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A tutti i comandi zona.
Comunicasi il seguente telegramma:

ALDO DICE 26 x 1 Stop Nemico in crisi finale Stop Applicate piano E 27 Stop Capi nemici et dirigenti fascisti in fuga Stop Fermate tutte macchine et controllate rigorosamente passeggeri trattenendo persone sospette Stop Comandi zona interessati abbiano massima cura assicurare viabilità forze alleate su strade Genova-Torino et Piacenza-Torino Stop 24 aprile 1945.

Testo del telegramma diffuso dal Clnai indicante il giorno [26] e l'ora [1 di notte] in cui dare inizio all'insurrezione


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«Adesso ogni rumore è cessato. Un attimo di tregua, di pace prima della fine ormai vicina. L’esplosivo è terminato assieme alle “sipe”. Nel caricatore del mitra restano si e no venti colpi. Di Nanni toglie un proiettile e se lo mette in tasca, poi striscia di nuovo al balcone, pone il dito sul secondo grilletto del mitra, quello del colpo singolo e spia la strada. Da sinistra camminando curvi, rasenti il muro, avanzano tre tedeschi. Non portano fucili ma stringono in mano grappoli di bombe. Intendono usare la sua tattica: lanciare le bombe dal basso, dietro la porta-finestra del balcone. Prende la mira tra le sbarre e spara sul primo nazista che cade in avanti; il secondo colpo manca quello che lo segue, ma il terzo lo raggiunge subito dopo. Spara tre colpi all’ultimo che fugge. Il nazista cade, si rialza e riprende a correre zoppicando. Si salva buttandosi dietro l’angolo della via. In quel momento, dal tetto di fronte parte una raffica rapida e violenta. Un tedesco spara col ginocchio sinistro appoggiato alle tegole della sommità del tetto; non si nasconde. La sua raffica dovrebbe essere decisiva, ma passa alta sulla testa di Di Nanni che lo abbatte sparando a raffica i suoi ultimi colpi.

Ora tirano dalla strada, dal campanile e dalle case più lontane. Gli sono addosso, non gli lasciano scampo. Di Nanni toglie di tasca l’ultima cartuccia, la innesta nel caricatore e arma il carrello. Il modo migliore di finirla sarebbe di appoggiare la canna del mitra sotto il mento, tirando il grilletto con il pollice. Forse a Di Nanni sembra una cosa ridicola: da ufficiale di carriera. E mentre attorno continuano a sparare, si rovescia di nuovo sul ventre, punta il mitra al campanile e attende, al riparo dei colpi. Quando viene il momento mira con cura, come fosse a una gara di tiro. L’ultimo fascista cade fulminato col colpo.

Adesso non c’è più niente da fare: allora Di Nanni afferra le sbarre della ringhiera e con uno sforzo disperato si leva in piedi aspettando la raffica. Gli spari invece cessano sul tetto, nella strada, dalle finestre delle case, si vedono apparire uno alla volta fascisti e tedeschi. Guardano il gappista che li aveva decimati e messi in fuga. Incerti e sconcertati, guardano il ragazzo coperto di sangue che li ha battuti. E non sparano.

E’ in quell’attimo che Di Nanni si appoggia in avanti, premendo il ventre alla ringhiera e saluta col pugno alzato. Poi si getta di schianto con le braccia aperte nella strada stretta, piena di silenzio».

da Senza Tregua, la guerra dei Gap

di Giovanni Pesce

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