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31 luglio 2014

L’Argentina di nuovo in default

L’Argentina è in default per la seconda volta in 13 anni. A mezzanotte del 30 luglio è scaduto il termine concesso al governo argentino per pagare gli interessi a un gruppo ristretto di investitori statunitensi che hanno acquistato i titoli di stato del paese sudamericano.

Il 30 luglio c’era stata qualche speranza di un accordo dell’ultimo momento tra governo e investitori. La borsa di Buenos Aires aveva chiuso guadagnando il 6,95 per cento, segno che i mercati avevano creduto nella possibilità di un accordo. Ma alla fine l’intesa non c’è stata.

La cifra che l’Argentina doveva versare agli investitori statunitensi entro il 30 luglio era di 539 milioni di dollari per gli interessi sul debito.

Ma Buenos Aires doveva pagare anche 1,3 miliardi di dollari ai creditori che avevano investito nei titoli di stato argentini nel 2001, all’epoca dell’ultima bancarotta, e che hanno rifiutato di essere ripagati delle perdite con nuovi investimenti sul debito nel 2005 e nel 2010.

E ora?

Le condizioni in cui l’insolvenza si verifica sono diverse da quelle di 13 anni fa. L’economia argentina è vulnerabile, ma non è in recessione come nel 2001: all’epoca il paese era in crisi da quattro anni e la disoccupazione era al 25 per cento. Il debito pubblico ammontava a 80 miliardi di dollari, una cifra molto più alta di quella attuale di 30 miliardi di euro.

Secondo gli analisti, inoltre, questa volta il rischio di contagio per gli altri mercati emergenti è molto più basso. I titoli di stato sono stati acquistati da una ristretta cerchia di hedge fund statunitensi, che sono abituati alla volatilità e alle fluttuazioni improvvise dei prezzi.

Tuttavia le conseguenze del default non saranno positive. Le aziende argentine quotate sui mercati finanziari internazionali hanno già perso sulle borse mondiali. Il Grupo Financiero ha perso il 22 per cento, il Banco Macro ha perso il 13 per cento e il gruppo petrolifero Yfp ha perso il 12 per cento.

Nel corso di una conferenza stampa che si è svolta presso il consolato argentino a New York, il ministro dell’economia Axel Kicillof ha difeso la posizione dell’Argentina. Il ministro ha assicurato che i soldi ci sono per pagare i creditori che hanno accettato di essere pagati con nuovi titoli di stato emessi nel 2005 e nel 2010, dopo il default del 2001.

Secondo Kicillof il punto è che il giudice statunitense Thomas Griesa ha stabilito che prima di versare gli interessi agli altri creditori, Buenos Aires deve pagare 1,3 miliardi di dollari agli hedge fund che non hanno accettato di essere ripagati con altri titoli di stato. Una “situazione di estorsione”, l’ha definita Kicillof. Il ministro ha poi sostenuto che il giudice in questione non comprende la complessità del caso e che favorisce gli hedge fund statunitensi.

Kicillof ha spiegato di avere offerto agli hedge fund una sostituzione tra i titoli a debito in loro possesso e nuovi titoli, garantendo lauti rendimenti, ma gli investitori non hanno accettato. Il ministro non esclude il ricorso all’intervento del settore privato argentino.

Di sicuro il governo argentino continuerà a trattare. Il mediatore di New York presente alle trattative tra governo e creditori in una nota ha scritto: “Non si può permettere al default di diventare una condizione permanente. Altrimenti l’Argentina e gli investitori pagheranno danni sempre più gravi e i cittadini argentini saranno le vere vittime di questa situazione”.

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