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9/11/2014

Ottomila chilometri di muri ancora da abbattere
di Marco Cesario

Quello di Berlino non c'è più, ma sono cinquanta le barriere ancora in piedi. E stanno aumentando

INDICE ARTICOLO

1. Moltiplicazioni di muri e frontiere invalicabili

2. Il Muro di Tijuana

3. Muro israelo-palestinese: il muro dell’incomprensione

4. Il Muro del Maghreb: la frontiera chiusa più lunga al mondo

5. Enclave di Ceuta e Melilla: le mura della “Fortezza Europa”

6. Paura e petrolio. Il Muro Saudita a Nord e a Sud contro Isis e Yemen

7. Il Muro Iraniano

8. Il Muro delle due Coree: vestigia della guerra fredda

Quando nel 1961 le autorità della Repubblica Democratica tedesca (Ddr), di fronte ad una vera e propria emorragia di tedeschi dell’Est che fuggivano verso l’Ovest intraprendono, nella notte tra il 12 ed il 13 Agosto, la costruzione di un muro alto 3,5 metri che si snoda per ben 155 chilometri attorno a Berlino Ovest, pochi immaginano che quel muro, simbolo dell’inizio della guerra fredda e della separazione di un medesimo popolo, diverrà un modello che verrà preso a prestito da paesi di tutto il mondo per incarnare la segregazione, la divisione, la chiusura e l’incomunicabilità. Dal Marocco all’India, dalla Russia all’Africa, i muri, nonostante la tecnologia abbia permesso oggi di far cadere molte barriere, continuano ad essere edificati fino a diventare, per gli esseri umani che li subiscono, trauma psicologico. Nel 1973 lo psichiatra tedesco Dietfried Müller-Hegemann diede pure un nome a questa patologia: “Mauerkrankheit”, malattia del muro. Nel suo libro “Die Berliner Mauerkrankheit” Müller-Hegemann tracciò una serie di ritratti di pazienti che vivevano in prossimità del Muro di Berlino affetti da questa patologia. Il suo obiettivo era quello di evidenziare le deleterie conseguenze psicologiche e sociali di società chiuse da muri. I più emblematici oggi sono il muro israelo-palestinese, quello tra le due Coree, quello che protegge l'enclave di Melilla, quello tra Messico e Stati Uniti. Ma ci sono anche muri sconosciuti ai più che provocano ugualmente ferite, lacerazioni, drammi. Basti pensare al muro tra Marocco e Algeria, tra Armenia e Azerbaijan, tra India e Bangladesh, tra Arabia Saudita e Iraq o tra Iran e Pakistan. Vediamone alcuni.

Moltiplicazioni di muri e frontiere invalicabili
Intanto occorre partire da una constatazione. Dal 1945 a oggi i muri si sono moltiplicati come funghi su tutto il globo. E’ l’amara constatazione che s’evince dagli studi di Elisabeth Vallet, professore associato presso il dipartimento di geografia dell’Università del Quebec a Montréal e autrice del libro ‘Borders, Fences and Walls – State of Insecurity?”. Secondo la Vallet dal 1945 ad oggi i muri nel mondo sono passati da meno di cinque ad oltre cinquanta (molti, in costruzione, non sono stati repertoriati dalla Vallet), per un totale di quasi 8.000 chilometri di barriere che delimitano oltre 30.000 chilometri di frontiere su quattro continenti e che hanno un solo ed unico scopo: separare gli esseri umani gli uni dagli altri. Un momento di cesura sono stati gli attentati dell’11 settembre 2001. L’idea di un terrorismo su scala globale ha rafforzato le chiusure nazionali generando crisi identitarie, paura, xenofobia. Da quel momento, argomenta la Vallet, s’è assistito al fenomeno delle “democrazia murate” ed il muro, in un mondo globalizzato, è diventato anche una risposta pavloviana alla globalizzazione e al libero mercato.

Il Muro di Tijuana
Ogni anno migliaia di clandestini cercano di superare il Muro di Tijuana, la barriera invalicabile che corre per 1050 chilometri su una frontiera totale di 3.200 chilometri tra Stati Uniti e Messico. Circa il 45% dei lavoratori agricoli in Usa sono in realtà immigrati illegali e buona parte di loro viene dal Messico. La manodopera immigrata è stata infatti da sempre il vero carburante dell’economia del sud-ovest degli Stati Uniti. Per arginare il fenomeno viene approvato un dispositivo, il “Piano Sur” e migliaia di migranti sono fermati, imprigionati e deportati dalla polizia messicana prima ancora di raggiungere i confini statunitensi. L’approvazione del “Piano Sur” provoca quasi 2.000 morti tra il 1998 ed il 2004. La costruzione del Muro di Tijuana inizia nel 2006 dopo l’adozione del “Security Fence Act” e sancisce un irrigidimento delle politiche migratorie Usa all’epoca dell’amministrazione Bush. Centinaia di persone ogni anno cercano di superare la barriera fatta d’acciaio, cemento armato e griglie del Muro di Tijuana che addirittura si allarga anche nell’oceano provocando annegamenti e naufragi. Secondo un’inchiesta pubblicata da The Arizona Republic nel 2013 le guardie di frontiera statunitensi dal 2005 a oggi hanno ucciso 42 persone che cercavano invano di oltrepassare la barriera.  

Muro israelo-palestinese: il muro dell’incomprensione
L’idea di una separazione fisica tra palestinesi ed israeliani risale agli accordi di Oslo (1993). L’opzione ‘sicurezza’ avanzata da Yitzhak Rabin privilegiava una separazione (hafrada) fisica tra i due popoli, modello per l’eventuale creazione di uno Stato palestinese a fianco a quello israeliano. Rispetto ad altre soluzioni, l’idea di Rabin s’impone alla fine degli anni novanta come la più pragmatica. Ehud Barak, primo ministro laburista, pianifica allora la costruzione del muro di separazione. Il suo successore, Ariel Sharon, inizialmente ostile al principio del muro, si converte all’idea spinto dalla pressione dell’opinione pubblica in seguito ad una serie di attentati. La barriera di separazione (Geder Hafrada) viene dunque edificata a partire dal 2002 in Cisgiordania. Una muraglia di cemento armato che si alterna a griglie elettroniche serpeggia per 700 chilometri dividendo campi coltivati, oliveti, famiglie, villaggi ed inglobando le più grandi colonie israeliane oltre che decine di villaggi palestinesi o terre arabili palestinesi. Il muro israelo-palestinese, “il nuovo muro del pianto”, è stato condannato nel Luglio del 2004 dalla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia. Invece di diventare la premessa per la coesistenza di due stati, com’era nell’idea iniziale di Rabin, il muro è diventato, come ha ricordato il giornalista Nir Baram su Haaretz, un “enorme ghetto ebraico” in cui si assiste alla cristallizazione della società ebraica israeliana, all’isolazionismo e alla crescita della xenofobia e dell’ostilità nei confronti dei Palestinesi.

Il Muro del Maghreb: la frontiera chiusa più lunga al mondo
Una lunghissima frontiera chiusa, una no man’s land di 1.600 chilometri separa Algeria e Marocco, due paesi che non si amano più dal 1994, anno in cui un attentato terroristico colpisce la città di Marrakech ed in cui sono trovano implicati tre algerini. Da allora le autorità marocchine hanno imposto il visto a tutti i viaggiatori algerini che desiderano passare la frontiera. E col passare del tempo le cose non sono migliorate. Rabat ha iniziato a costruire l’estate scorsa un nuovo muro, ufficialmente per lottare contro il traffico di droga e le reti jihadiste. Il muro s’estenderà per 450 chilometri (ma per molti verrà esteso fino a 750 chilometri) da Saidia, nel Nord, fino a Figuig, nel Sud, lungo la frontiera tra i due paesi. Per le autorità marocchine la priorità è diventata la lotta al traffico di droga e alle reti jihadiste. Ma molti vedono la decisione di Rabat di costruire il muro come una risposta piccata alla decisione algerina di scavare delle trincee per oltre 700 chilometri lungo la frontiera, ufficialmente per lottare contro il traffico di droga e di carburante tra i due paesi. Insomma vent’anni di sospetti, incomprensioni e chiusure tra i due popoli maghrebini hanno prodotto solo questo: muri e trincee.

Enclave di Ceuta e Melilla: le mura della “Fortezza Europa”
Naomi Klein definisce i “continenti-fortezza” come «blocchi di nazioni che uniscono le proprie forze per ottenere accordi commerciali favorevoli da paesi terzi ma che allo stesso tempo pattugliano severamente le proprie frontiere per non far passare i cittadini di quegli stessi paesi». È ciò che avviene da decenni lungo le frontiere tra Marocco ed enclavi spagnole di Ceuta e Melilla, dove il Marocco fa il lavoro sporco chiestogli dall’Unione Europea per respingere i tentativi giornalieri di varcare le barriere che separano gli ultimi territori europei dal continente africano. L’altezza della barriera, negli anni, dietro le pressioni di Frontex, l’Agenzia Europea di protezione delle frontiere esterne, è stata portata da 3 a 6 metri di altezza. Ogni anno decine di migliaia di migranti subsahariani tentano di scavalacare l’altissima barriera e spesso sono presi di mira sia dalla polizia marocchina che da quella spagnola. Nel 2014 oltre 10.000 persone hanno tentato di scavalcare le mura della “Fortezza Europa” ed almeno 3.500 ci sono riuscite. In alcuni punti la griglia della vergogna giunge addirittura a delimitare terreni desertici (dove disperati che hanno percorso 5.000 chilometri cercano di scavalcare rimanendo spesso impigliati per ore a sei metri d’altezza) da verdi e solitari prati dove ricchi proprietari terrieri giocano tranquillamente a golf, come mostrò una famosa foto di El Mundo il 22 Ottobre scorso. Le mura della Fortezza separano due mondi.

Paura e petrolio. Il Muro Saudita a Nord e a Sud contro Isis e Yemen
Accusata di aver foraggiato economicamente il mostro tentacolare che ingloba quotidianamente territori in territorio iracheno e siriano, il paese che ha stroncato sul nascere la ‘primavera saudita’ ha deciso di dispiegare migliaia di soldati al confine con l’Iraq e installare barriere lungo 900 chilometri per difendersi dalla minaccia jihadista. Da quando anche l’Isis è stata inserita dai sauditi nella lista delle organizzazioni terroriste (fino a Giugno però era considerata come una fazione ribelle anti-Assad e debitamente rinpinguata) le autorità saudite hano deciso di schierare un esercito forte di 30.000 uomini, un migliaio di guardie appostate lungo i confini e diverse unità di elicotteri per proteggere le prorie frontiere. La paura non è solo quella nei confronti dei jihadisti dell’ISIS ma anche delle milizie sciite alleate dei governi iraniano e iracheno. Nel Sud invece i sauditi temono le infiltrazioni dei combattenti d’Al-Qaida provenienti dallo Yemen. Per questo hanno dato il via, nel 2006, ad un maxi cantiere per l’edificazione di un muro alto 3 metri e lungo quasi 2.000 chilometri lungo il confine con lo Yemen. Per ora sono stati completati ben 900 chilometri. Nel paese del petrolio e del wahabismo ci si rinchiude da tutti i lati.      

Il Muro Armeno
Il governo di Erevan, nonostante le difficoltà economiche, ha deciso d’investire quasi 300.000 euro per finanziare la costruzione di un muro di difesa a Chinari, nella provincia di Tavush, nel Nord-Est dell’Armenia, in una regione confinante con l’Azerbaijan, dove sorgono tra l’altro diverse enclave azere. La regione dell’Alto Karabaj, enclave armena in territorio azero, ha dichiarato la propria indipendenza nel 1988 e chiesto di essere inglobata nello stato armeno. Nel 1994, dopo cinque anni di guerra, si è giunti alla cessazione delle ostilità tra i due paesi. Ma malgrado discussion, continuano gli scambi di tiri di fucile e le incursioni di commando armati lungo la frontiera.

Il Muro Iraniano
Anche l’Iran ha preferito risovere i suoi problemi con il Pakistan erigendo un muro di cemento armato lungo 700 chilometri in una delle zone più povere del paese dove il tasso di disoccupazione sfiora il 30%. La regione è a maggioranza sunnita ed in un paese a maggioranza sciita ciò è motivo di discriminazione. Nel tentativo di arginare le infiltrazioni di gruppi terroristici sunniti e di trafficanti di droga provenienti dall’Afghanistan, le autorità iraniane hanno intrapreso nel 2007 la costruzione di un muro che di fatto condanna ancora di più le già povere popolazioni delle regioni sud-orientali.

Il Muro delle due Coree: vestigia della guerra fredda
Costruito nel 1953, alla fine della guerra di Corea, lungo il 38esimo parallelo, questo muro alto 3 metri e lungo 241 chilometri è ciò che resta della guerra fredda e separa due parti di un medesimo paese che non comunicano più, salvo rare eccezioni, da oramai 60 anni. Ironia della sorte questo muro è noto anche con l’acronimo ‘DMZ’, Zona Demilitarizzata. Eppure nonostante l’appellativo la barriera che separa le due Coree è sorvegliata da oltre 500.000 soldati e costituisce di fatto la zona più militarizzata al mondo. Il dramma di più di un milione di coreani del Sud separati dalle proprie famiglie intrappolate al Nord fa pensare, ottimisticamente, ad un destino simile a quello della Germania, con un’unificazione sicuramente più difficile e probabilmente più costosa.

I muri infatti generano profitti ma anche costi, elevatissimi, ecco perché la Vallet parla anche di una vera e propria «economia dei muri». Il mercato dei muri, nel mondo, fattura circa 17 miliardi di dollari (stime del 2011). A questi vanno aggiunte le spese di costruzione (da 1 a 6 milioni di dollari per chilometro negli Usa), di manutenzione (6,5 miliardi di dollari ad esempio per il Muro di Tijuana in un arco di 20 anni). Ecco perché molti di questi muri forse crolleranno negli anni. Schiacciati dal peso economico, dal peso politico o semplicemente sbriciolati dagli agenti atmosferici. 

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