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12/05/2014

L’Europa sia modello per un’economia verde
Silvia Ricciardi intervista José Bové

Agricoltore e sindacalista, sogna un’Europa forte, capace di influenzare le grandi corporazioni

«Abbiamo bisogno di risposte politiche e non tecnocratiche. Un numero sempre maggiore di persone soffre in Europa per le politiche attuate dalla Troika. Per questo voglio una Commissione che sia politica». José Bové, europarlamentare dal 2009 per Europe Écologie, è l’unico che guida uno schieramento a due punte per la presidenza della Commissione europea. Insieme alla tedesca Ska Keller, il francese è stato selezionato online direttamente dagli elettori, nel primo tentativo di consultazione paneuropea dei candidati sperimentato dai Verdi. In tutto hanno votato poco più di 22mila persone equamente divise tra Bové e Keller, uno francese e l’altra tedesca, ma decisamente lontani dalla visione politica dei più noti connazionali François Hollande e Angela Merkel.

José Bové, 60 anni, ha fatto il suo ingresso al Parlamento europeo solo durante l’ultima legislatura, nelle fila di quell’European green party che in Italia vale meno della sua pipa di tabacco, ma che conta comunque 57 seggi a Bruxelles, di cui quasi la metà grazie al solo elettorato di Germania e Francia – non stupirà, per tradizione, che non ci sia nemmeno un Verde eletto in Italia -. Agricoltore, sindacalista ed esponente del movimento altermondista, è considerato uno dei padri dei no-global. Negli ultimi cinque anni ha mantenuto un piede nelle Istituzioni - ottenendo presto la nomina di vice-presidente della Commissione agricoltura e sviluppo rurale nell’Europarlamento -, e uno nei movimenti sociali contro gli organismi geneticamente modificati e la World Trade Organization, Organizzazione mondiale del Commercio. José si batte per la sovranità alimentare e la riconversione ecologica dell’economia, e le sue dichiarazioni non lasciano dubbi sulla sua visione per l’Europa. Se anche le chance delle due anime Verdi di presiedere la Commissione sono tecnicamente nulle, la loro scelta di appoggiare Martin Schulz, Jean-Claude Juncker o Guy Verhofstadt avrà un peso sul prossimo esecutivo europeo.

Il gruppo politico di Juncker e quello di Schulz sono testa a testa. Se dalle urne usciranno Ppe e Pse a pochi voti di distanza i Verdi saranno chiamati a scegliere chi appoggiare per arrivare al 51 per cento. Si arriverà a una Große Koalition anche in Europa?

Difficile prevedere cosa succederà. Se i due principali partiti usciranno con lo stesso numero di membri, i Verdi e alcuni altri gruppi avranno un peso. Penso che abbiamo bisogno di una posizione chiara da appoggiare. Che tipo di programma propongono i due principali gruppi? Hanno intenzione di accrescere la democrazia in Europa? Ci sarà certamente un dibattito collettivo dopo il voto del 25 maggio. Per noi il candidato presidente della Commissione deve andare di fronte ai governi dei Paesi membri e dire chiaramente: questo è quello che il Parlamento europeo vuole. Non deve rappresentare il proprio partito, ma il Parlamento europeo. Di questo dovremo discutere…

Che Unione europea sognano i Verdi?
Dobbiamo essere a livello politico abbastanza forti per influenzare le grandi corporation. Se non siamo in grado di organizzare politicamente 500 milioni di persone saranno le imprese a esercitare il loro potere su di noi. Questo è quello che sta succedendo adesso con la Transatlantic trade and investement partnership che stiamo negoziando con gli Stati Uniti. Questi accordi rischiano di dare alle multinazionali il potere di intaccare le politiche sociali. È un progetto malsano, che minaccia le nostre scelte collettive sociali e ambientali. Concretamente, se questo accordo andrà in porto sulle basi attuali sarà la grande impresa a guidare i giochi e a fare in modo che i Paesi cambino le regole a suo piacimento. Questo significa che inciderà sulla questione degli Ogm, sullo shale gas, sugli ormoni nella carne bovina, e lo stesso stato sociale sarà intaccato dagli interessi delle aziende. È un problema per il funzionamento stesso della democrazia.

Nel vostro programma uno dei cardini è la promozione di un “Green new deal”, una nuovo modello economico fondato sulla cosiddetta green economy in Europa. Cosa significa concretamente?
Un’Unione europea più verde è non solo possibile, ma necessaria. Se vogliamo contrastare il cambiamento climatico dobbiamo arrivare in 30-40 anni, a un modello “zero-carbon”. Dobbiamo combattere lo spreco di energia, promuovere l’efficienza e le energie rinnovabili. Gli investimenti vanno fatti ora, e porterebbero anche alla creazione di molti posti di lavoro. Sto parlando di un’economia nuova, che non si fonda solo su come produci l’energia, ma anche su come siamo capaci di trasformare la mobilità e l’housing in Europa. E si tratta di un programma globale, che stravolge completamente l’economia dell’ultimo secolo.

Ma è possibile per l’Unione europea cambiare modello economico senza investimenti e con i costi della Politica agricola comune?
Al momento la politica agricola è quella che assorbe la maggior parte delle risorse dell’Unione europea, e corrisponde al 38 per cento del budget comunitario. Il problema non è la composizione del budget comunitario e le risorse alla Pac, ma il fatto che abbiamo un budget poco superiore all’1 per cento del Pil complessivo dei Paesi membri. Non è niente. Se vogliamo un budget reale per l’Unione europea dovrebbe essere almeno tra il 5 e il 7 per cento del Pil. Negli Stati Uniti il bilancio federale è al 26 per cento. Allora potremmo attuare delle vere politiche comuni.

L’Europa comunque ha già fissato degli obiettivi per diventare “più verde”. Il pacchetto clima-energia ha una tabella di marcia precisa fino al 2020: ridurre del 20 per cento le emissioni di gas a effetto serra, portare al 20 per cento il risparmio energetico e aumentare al 20 per cento il consumo di fonti rinnovabili (obiettivo 20-20-20)…
Questo non è abbastanza. Dobbiamo diminuire la carbon energy di oltre il 60 per cento entro il 2030 per arrivare nel 2050 a un’economia a emissioni zero.

Ma può l’Unione europea agire da sola se il resto del mondo non si muove nella stessa direzione?
Noi abbiamo la responsabilità in questo momento. E se 500 milioni di persone saranno capaci di cambiare la situazione mostreranno anche al mondo la direzione. In Francia, a Parigi, ci sarà nel dicembre 2015 il summit mondiale sul cambiamento climatico, la 21esima Conference of the parties delle Nazioni unite. Questo può essere il momento per prendere una decisione finalmente nella giusta direzione.

Ultima questione. Sui diritti civili ha dichiarato recentemente su Libération di essere contro la fecondazione in vitro, che c’è “un rischio di ritorno all’eugenetica”…
Sono contro ogni manipolazione e strumentalizzazione della vita, animale, vegetale e umana. Penso che serva un dibattito aperto. Nei partiti non c’è una posizione univoca e ogni membro dovrebbe indicare la propria opinione in base a ciò che crede.

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