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18 luglio 2014

Detroit 2014. La grande sete
di Caterina Amicucci

Appena cinquant’anni fa era la città simbolo di un progresso a quattro ruote che prometteva di essere eterno. Oggi la regina dell’industria automobilistica del Novecento è una delle città più povere degli Stati Uniti, una food desert, vale a dire uno di quei luoghi in cui la gente fa fatica a procurarsi cibi freschi e sani e si ammala. Anche per questo è diventata l’epicentro dei movimenti di agricoltura urbana degli Usa. Solo che per coltivare ci vuole l’acqua e la società che la gestisce, per rientrare dei passati fallimenti, alza le tariffe in modo vertiginoso e ha tagliato i rifornimenti a 12.500 famiglie in quattro mesi. Le bollette adesso costano il doppio che nel resto del paese. Ai movimenti che tutelano i diritti dei cittadini non è rimasto che chiedere l’intervento delle Nazioni Unite. Il pronunciamento è stato chiaro: i distacchi a chi non può pagare sono una violazione dei diritti umani

 Detroit è oggi la città che simbolizza più di ogni altra l’insostenibilità del modello economico capitalista e della filosofia usa e getta che si applica implacabilmente agli oggetti, agli esseri umani, alle comunità e perfino alle metropoli. All’inizio degli anni Sessanta, contava poco meno di due milioni di abitanti ed era il simbolo del progresso e l’epicentro di una industria automobilistica nordamericana che sembrava destinata ad assicurare ai suoi abitanti un’eterna prosperità. Con l’arrivo della globalizzazione e le de-localizzazioni la città inizia a vivere un irreversibile declino. Oggi a Detroit vivono circa 750 mila persone, la maggior parte afroamericani con un tasso altissimo di disoccupazione e povertà. Un terzo degli edifici e della superficie metropolitana è abbandonata e in deperimento. Detroit è stata catalogata come “food desert” (deserto di cibo), ovvero uno di quei luoghi dove la popolazione ha scarso accesso ad alimenti freschi e sani con impatti rilevanti sulla salute.

Per questo è diventata l’epicentro dei movimenti di agricoltura urbana negli Stati Uniti. La combinazione tra abbondanza di terre urbane abbandonate e la scarsità di cibo fresco, dovuta al monopolio e alle logiche della grande distribuzione organizzata, ha forzato la nascita di un movimento che oggi conta migliaia di orti urbani di piccola e grande scala.

A rendere la situazione ancor più grave, è arrivata negli ultimi mesi anche la guerra che la società che gestisce il servizio idrico ha innescato nei confronti dei cittadini. La “Detroit Water and Sewerage Department” (DWSD) tra marzo e giugno ha effettuato circa 12 mila e 500 distacchi a famiglie che non riuscivano a pagare le bollette. E questo è solo l’inizio in quanto la società intende recuperare interamente i 90 milioni di euro che mancano all’appello Nonostante Detroit sia oggi una delle città più povere degli Stati Uniti, le bollette dell’acqua costano il doppio che nel resto del paese arrivando sino a 150-200dollari a famiglia.

L’escalation delle tariffe è iniziato lo scorso anno quando l’amministrazione comunale è ufficialmente fallita aprendo così i processi di privatizzazione e svendita di tutto il patrimonio pubblico. La strategia di recupero credito della DWSD è stata lanciata per rendere la società più attraente agli occhi degli investitori privati rendendo impossibile per la metà degli utenti la regolarità dei pagamenti.

Alcune famiglie da mesi sopravvivono senz’acqua e si sono viste portare via anche i figli dai servizi sociali. E mentre i cittadini soffrono di quello che sta diventando un vero e proprio dramma, l’acqua continua regolarmente a scorrere dai rubinetti dei grandi debitori istituzionali e commerciali, come il campo da golf cittadino e quello dei Red Wings, e perfino nei numerosi edifici abbandonati. Qualche settimana fa la situazione è divenuta insostenibile al punto da spingere gli attivisti locali della Detroit People’s Water Board e le organizzazioni statunitensi e canadesi Food and Water Watch e Blue Planet Project a richiedere l’intervento delle Nazioni Unite.

La risposta della Special Rapporteur per il diritto all’acqua, Catarina de Albuquerque, non si è fatta attendere. In un comunicato del 25 giugno la Albuquerque ha dichiarato che “i distacchi dovuti a non avvenuti pagamenti dovuti a mancanza di risorse economiche costituiscono una violazione del diritto umano all’acqua. Essi sono infatti ammissibili solo se può essere dimostrata la solvibilità dell’utente.

In altre parole se l’impossibilità di pagare è oggettiva il distacco costituisce una violazione dei diritti umani. “Nonostante l’inefficacia dei pronunciamenti ONU sia nota, la risposta è interessante in quanto offre una chiave di interpretazione attuativa alla risoluzione dell’ONU del 2010 che ha dichiarato l’acqua un diritto umano. La reazione della DWSD è stata quella di avviare un programma volontario di donazione degli utenti ricchi pari a 50 centesimi a bolletta per creare un fondo di un milione di dollari per le famiglie già dichiarate in stato di povertà. Saranno quindi i ricchi a garantire, secondo il loro buoncuore, il diritto fondamentale di accesso all’acqua ai poveri tra i poveri. Un ulteriore frontiera dell’era postindustriale e del classismo americani.

 


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