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26 maggio 2014

Avere trent’anni nell’Italia del 2014
di Silvia Jop

Eccoci al voto “europeo”. Per una volta stiamo sull’attualità. Altrove, in modi e misure diverse tra noi, abbiamo espresso qua e là opinioni sulla competizione. In queste pagine avevamo deciso, al solito, di occuparci d’altro. Poi abbiamo letto nel diario di un’amica un resoconto implicitamente acido, corrosivo rispetto al teatrino che ci ha afflitto per settimane. Ci è piaciuto molto, per molti e differenti motivi. Così abbiamo chiesto a Silvia di metterlo in Comune: c’è sembrato un modo non banale per raccontare un paese in cui bisogna ribellarsi. Sempre e per fare qualunque cosa. A trent’anni, prima e dopo. Anche per prendere un treno e perfino, per chi ne ha voglia e facoltà, per esercitare il diritto a farsi rappresentare da qualcuno 

Impegno, desiderio, determinazione e le fatiche insormontabili di una condizione di precarietà pervasiva che rosicchia ogni angolo dentro e fuori, materiale e immateriale. Si mangia la tua cura di te, la tua capacità di amare e di essere amata, la qualità del lavoro perché le condizioni strutturali sono invalidanti. Al 20 di ogni mese (se ti va bene) non sai bene come inventarti i dieci giorni che ti servono ad arrivare al mese successivo: sia chiaro nel frattempo devi continuare a lavorare.

Europee alle porte. Non voterei, basta. Non voterei proprio.

Vabé e dai, voto.

Dai, torno a casa e voto: tessera elettorale alla mano – mi dicono che ho diritto al 70 per cento di sconto a/r – penso che Venezia-Roma costa 80 euro.

L’agevolazione fa la differenza: oltre a rendere possibile questa trasferta restituisce valore all’atto del voto e al mio essere cittadina.

Mi dicono che lo sconto del 70 per cento è possibile solo se il biglietto lo si fa direttamente in stazione.

Faccio la coda per i clienti frecciarossa, rischio di perdere il treno, mi dicono che lì possono fare biglietti senza riduzione e non con la tessera elettorale. Mi infurio, dico loro se si rendono conto che è un’assurdità.

Mi mandano a un’altra biglietteria. 
Intanto ho perso il treno.

Imbufalita vado verso la biglietteria, faccio quaranta minuti di coda, arriva il mio turno: arrivo allo sportello, consegno il documento e la tessera elettorale. Le coordinate della carta di credito che do peró non corrispondono a me ma a una delle persone che – superato il giorno 20 – mi aiutano ogni mese: mia madre.

Mi dicono che non possono fare un biglietto a una persona diversa dall’intestataria delle coordinate.

Faccio notare loro che oggi sono molte le persone che non possono permettersi la vita che fanno e che è verosimile che a comprare il mio biglietto per andare a votare sia qualcun altro. Faccio inoltre notare che mi sto mettendo in viaggio per esercitare un mio diritto di cittadina e che è assurdo che loro non prevedano la possibilità di fare un biglietto in questo modo, dato che online e via telefono chiunque può usare qualsiasi carta di credito.

Guarda caso, però, in quell’ipotesi (cioè nella modalità online e telefonica) il biglietto è acquistabile solo a tariffa intera e non è prevista la riduzione per chi viaggia per andare a votare.

Il tipo seduto al banco (che avrà più o meno la mia età) continua a scuotere la testa: “Mi dispiace signora, non posso farci niente, le regole sono regole. E mi dispiace se non può comprare questo biglietto”.

Lo guardo basita mentre lui mi scavalca con gli occhi facendo cenno alla persona dietro a me di passare avanti.

Mi sposto, guardo il tabellone degli orari, ho perso il secondo treno.

Con il groppo in gola attraverso la stazione e mi siedo ai piedi di una colonna.
 Deglutisco, stringo i denti, prendo il telefono, chiamo mia mamma e, imbarazzata, le chiedo di farmi lei via telefono un biglietto intero Roma-Venezia per andare a votare: 80 euro.

Resto seduta a terra con l’idea di un viaggio così umiliante con quel 70 per cento mancato che mi si stringe in gola.

E ripenso, mentre il treno buca le montagne: ecco qui cosa vuole dire “avere trent’anni nell’Italia 2014: una vita all’insegna del lavoro culturale in un paese di merda”.

Silvia Jop coordina la redazione de il lavoro culturale http://www.lavoroculturale.org/, uno spazio aperto nel web per l’elaborazione critica delle opinioni che è nato nei corridoi e nelle aule dell’Università di Siena ed è organizzato e interamente gestito da precari della ricerca e dei lavori cognitivi. Lo scorso anno ha scritto Com’è bella l’imprudenza: il primo progetto editoriale online ideato, curato e realizzato da il lavoro culturale. Ora, dai semi dello stesso progetto, è nato un nuovo percorso: #imprudenze2013, un viaggio straordinario per l’Italia dei teatri occupati.

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