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21 luglio 2014

In Grecia una lotta per salvare l’anima dell’Europa dalla privatizzazione
di Jérome Roos
traduzione di Giuseppe Volpe

Quando cominciarono, nel 2010, a essere diffuse notizie sulla crisi del debito greco, numerosi tabloid tedeschi sollecitarono i loro vicini meridionali a mettere in pegno la loro eredità culturale e naturale per rimborsare i debiti. “Vendete le vostre isole, voi greci bancarottieri!” fu un titolo dell’assai volgare Bild. “E vendete anche l’Acropoli!” Mentre si stava organizzando il salvataggio del maggio 2010 i redattori populisti della rivista di destra, apparentemente dimentichi delle sensibilità storiche a proposito dell’annessione tedesca di territori stranieri, insistettero testardamente: “Noi vi diamo contanti, voi ci date Corfù”.

Oggi, a più di quattro anni dalla firma del primo “memorandum d’intesa”, sembra che i media nazionalisti della Germania – assieme alla classe degli investitori europei e all’élite oligarchica greca – l’abbiano finalmente vinta. Il servile governo della Grecia sta ora premendo forte per aprire nuove frontiere alle privatizzazioni, con qualcosa come 77.000 beni statali in lista per la vendita, tra cui una quantità di marine storiche e isole idilliche, numerosi palazzi antichi e vaste estensioni della spettacolare e intatta linea costiera del paese.

L’eredità greca a pegno

Quest’anno il governo ha annunciato che intende portare avanti i suoi piani di svendita di numerosi edifici storici ai piedi dell’Acropoli. Il Guardian ha scritto che “tra le proprietà ci sono isolati di complessi di appartamenti per profughi costruiti per ospitare greci in fuga dal disastro del 1922 in Asia Minore e uffici ministeriali ospitati in edifici neoclassici del pittoresco distretto di Plaka … eretti poco dopo la fondazione dello stato greco moderno. In entrambi i casi si tratta di strutture considerate gioielli architettonici.”

L’annuncio è arrivato immediatamente dopo una controversa decisione di affittare a società per eventi privati due dei siti archeologici di Atene: lo Stoà di Attalos, che si trova nell’antica agorà, e lo Stadio Panathinaikos. In precedenza piani simili erano stati discussi da politici di spicco del partito conservatore di governo per affittare l’Acropoli per servizi fotografici e altre attività commerciali e promozionali.

Poi, in maggio, il governo ha alzato la posta proponendo una legge che in effetti rovescerebbe protezioni costituzionali vecchie di decenni della costa del paese, che limitavano l’edificabilità e garantivano accesso libero alla spiaggia. Il fondo greco delle privatizzazioni TAIPED ha successivamente identificato 110 spiagge per la privatizzazione, tra cui gemme come Elafonisos, sede del prezioso sito archeologico marino di Pavlopetri. In base alla legge sulle coste, la proprietà del litorale – assieme a ogni struttura architettonica e all’ambiente naturale circostante – sarà interamente dell’acquirente, che sarà libero di “sviluppare” la sua proprietà e di impedire l’accesso alla gente comune.

Le conseguenze di questa spinta alla privatizzazione sarebbero disastrose e in larga misura irreversibili. Grazie alle sue protezioni costituzionali, la costa della Grecia è riuscita sin qui a evitare il genere di sviluppo di massa che ha subito la costa spagnola, restando intatta come uno degli ultimi litorali europei rimasti non rovinati. Come segnala The Press Project, tuttavia, la proposta di legge sulle coste “renderebbe possibile che anche vaste spiagge greche siano tappezzate dall’inizio alla fine di ombrelli e bar”, anche se il World Wildlife Fund (WWF) ha ammonito contro un boom edilizio in stile spagnolo di appartamenti per le vacanze che potrebbe ricoprire di cemento le coste greche.

Superfluo dirlo, la spinta alle privatizzazioni va mano nella mano con lo strangolamento del settore pubblico greco – obbedendo a ordini diretti della Troika dei finanziatori stranieri – il che rende tanto più acuta la crisi dell’eredità archeologica del paese. Il bilancio del ministero della cultura è stato tagliato di un feroce 52% dal 2010, mettendo a rischio parte dei più preziosi tesori culturali dell’Europa riducendo fortemente i fondi disponibili per la manutenzione e la protezione dei siti archeologici e per la gestione dei musei pubblici.

Contemporaneamente il ministero dell’ambiente ha reindirizzato la sua attenzione dalla difesa dell’eredità naturale del paese all’apertura di nuovi spazi per le esplorazioni petrolifere.

Una scandalosa logica di esproprio

Anche se la dimensione assoluta del programma di privatizzazione e l’aggressività con cui è perseguito sono senza precedenti nella storia dell’Europa – eclissando persino le disastrose privatizzazioni in svendita dell’Europa Orientale dopo il crollo dell’Unione Sovietica – le mosse seguono un copione ideologico ben consolidato che è stato a lungo sperimentato e perfezionato nel mondo in via di sviluppo nelle vesti del Consensus di Washington. Come dice l’economista di Harvard Dani Rodrik, negli anni ’80 e ’90 “’stabilizzare, privatizzare e liberalizzare’ divennero il mantra di una generazione di tecnocrati che affondarono i denti nel mondo in via di sviluppo e dei leader politici che essi consigliarono”.

Il copione, tuttavia, non è soltanto ideologico: è da molto tempo diventato lo stesso modus operandi dello stato neoliberista e dell’economia del mondo globalizzato. L’influente geografo marxista David Harvey si è riferito a questi processi come a “accumulo mediante esproprio”, sottolineando come le pratiche “primitive” delle recinzioni che espropriarono i piccoli contadini e mercificarono i beni comuni nell’Inghilterra pre-industriale non solo proseguono oggi, ma costituiscono la logica stessa del sistema. In The Shock Doctrine Naomi Klein ha ulteriormente mostrato come le élite politiche e ideologiche spesso sfruttano strategicamente la temporanea paralisi causata da disastri naturali e da crisi economiche per privatizzare proprietà pubbliche e patrimoni comuni che altrimenti sarebbe impossibile espropriare.

Con le brutalità del capitalismo dei disastri in piena mostra oggi in Grecia, e con l’Unione Europea e il FMI che ricorrono a veri e propri espropri al fine di recuperare i loro irresponsabili prestiti allo stato greco, forse non sorprende che lo stesso processo di privatizzazione sia stato interamente macchiato da scandali. E’ emerso recentemente che il governo ha segretamente concesso un’esenzione fiscale totale al consorzio che ha acquistato i diritti di sfruttamento del vecchio aeroporto Hellenikon, una delle estensioni di terra più preziosi del Mediterraneo. Pur mentre una serie kafkiana di balzelli e tasse è imposta ai greci comuni che vivono con meno di 500 euro il mese, i proprietari del Lamda Development, il solo offerente per il sito, “saranno esenti da ogni tassa, onere o imposta, compresa l’imposta sul reddito, con riferimento a qualsiasi reddito derivato dalla sua attività, o da tasse sui trasferimenti per qualsiasi motivo [o] tasse sull’accumulo di capitale”.

A peggiorare le cose è presto emerso che il Lamda Development, di proprietà della famiglia di magnati delle spedizioni marittime e del settore bancario Latsis, ha pagato solo 1,2 miliardi di dollari per il vecchio aeroporto, anche se valutazioni indipendenti prima della crisi ne avevano stimato il valore in almeno 6,8 miliardi di dollari. Calcoli del giornale greco To Vima mostrano inoltre che lo stato dovrà incorrere in almeno altri 3,4 miliardi di dollari di spese amministrative e infrastrutturali prima di poter consegnare l’area al nuovo proprietario, in effetti sovvenzionando in tal modo la multimiliardaria famiglia Latsis per il suo “acquisto”. Nel processo il debito pubblico si incrementa ancora di più.

Di fatto la corruzione di dirigenti pubblici e la collusione tra stato e capitale è così estrema e così profondamente radicata che ha inevitabilmente contagiato i livelli più alti sia del governo sia delle imprese. L’anno scorso Stelios Stavridis, capo del fondo delle privatizzazioni TAIPED,  egli stesso un ex magnate delle costruzioni che aveva fatto fortuna costruendo piscine per l’élite degli imprenditori evasori fiscali greci, è stato licenziato dopo che un giornale ha rivelato che gli era stato offerto un viaggio all’isola di Cefalonia sul jet privato del malfamato oligarca e armatore greco Dimitris Melissanidis, al quale – solo ore prima – aveva venduto una quota del 33% del recentemente privatizzato ex monopolio statale del gioco d’azzardo OPAP. Stavridis è stato il secondo capo del TAIPED nel giro di un anno a essere licenziato per accuse di condotta scorretta. Naturalmente i contratti non sono stati in alcun modo toccati da alcuno di questi scandali. Costi quel che costi, la svendita deve continuare.

L’Europa vende la propria anima

Alla fine, comunque, dobbiamo guardare in faccia i poteri veri che stanno dietro questi scandali infiniti, quelli che sono riusciti sin qui a tenere le mani pulite da ogni corruzione palese ma che ciò nonostante sono in fin dei conti responsabili dell’esproprio e dello sfruttamento dell’immensa ricchezza naturale e culturale della Grecia, per non dire dell’indicibile tragedia umanitaria che è stata inflitta alla sua società sofferente negli ultimi quattro anni.

A questo punto dovrebbe essere chiaro che il processo di privatizzazione, in tutto il suo orrore scandaloso, è poco più che un tentativo di sottrarre quanta più ricchezza possibile a un paese che è già stato prosciugato dai suoi parassitari creditori privati in mezzo una catastrofica depressione di quattro anni. Completare le privatizzazioni è un prerequisito per la liberazione dei fondi di salvataggio per la Grecia e tutti sanno che i dirigenti della Troika hanno svolto un ruolo guida nello stilare in grande dettaglio molti dei piani.  Anche questo non sorprende visto che gli investitori europei beneficeranno lussuosamente delle svendite future, con i tedeschi che puntano gli occhi sul settore dell’assistenza sanitaria (che le loro misure d’austerità hanno già messo a soqquadro) e sull’industria del trattamento dei rifiuti, e i francesi che attaccano le strutture dell’acqua pubblica.

Si può affermare con certezza, allora, che l’Europa è oggi caduta tanto in basso che più non si può; avendo già abolito la democrazia greca (nella misura in cui si poteva ancora dire che esistesse qualcosa di simile), i dirigenti europei e le istituzioni della UE stanno ora svendendo l’inestimabile eredità naturale e culturale della Grecia a prezzi da tagliagole al fine di “ridurre” il debito del paese, che non fa che aumentare nel corso del processo. Se la Grecia è davvero la culla della civiltà europea, gli come ellenofili della UE – primo tra tutti il presidente del Consiglio Europeo Jean-Claude Juncker – tuttora amano sostenere, allora l’Europa è evidentemente accusata di vendere la propria stessa anima, in cambio di centesimi, per riscattare un debito che tutto sanno che non può essere rimborsato.

La resistenza monta

Tuttavia, se mai gli anni recenti hanno dimostrato qualcosa è che dovunque ci sono grandi ingiustizie e umiliazioni ci sarà resistenza, e anche la paralisi causata dalla dottrina neoliberista degli shock non può durare per sempre. In realtà l’opposizione politica e sociale alla spinta della Troika alle privatizzazioni è stata così fiera che il governo greco ha già dovuto ridimensionare le sue entrate previste da 50 miliardi di euro entro il 2015 a “soli” 11 miliardi di euro entro il 2016. Anche se sarebbe azzardato definire ciò una vittoria, in effetti rivela il terreno sociale e politico ostile su cui devono attualmente muoversi la Troika e il governo greco.

Stanno anche cominciando a emergere alcuni primi segnali di speranza. In mesi recenti la campagna sociale contro la privatizzazione dei servizi dell’acqua pubblica a Atene e Salonicco, capeggiata da attivisti veterani del Movimento delle Piazze del 2011, ha fatto grandi progressi nel risvegliare l’opinione pubblica e, a fine maggio, è stata aiutata da una sentenza giudiziaria favorevole che ha bloccato la privatizzazione dell’azienda dell’acqua di Atene. La sentenza segna la prima vittoria significativa di un contrattacco collettivo – che opera su molteplici fronti, sia istituzionali sia extra-istituzionali – che può creare un precedente e costringere la spinta della UE alle privatizzazioni a essere interamente smontata.

Nel frattempo, mentre il governo si prepara a rilanciare la sua legge profondamente impopolare sulle coste e le foreste – che era stata brevemente accantonata in attesa delle elezioni europee di fine maggio e che ora il governo spera di far passare nell’intervallo estivo quando saranno in seduta solo 100 parlamentari su trecento – la resistenza all’esproprio dei beni comuni ambientali della Grecia sta ora decollando di nuovo. Anche se l’esito di questa lotta resta incerto, è chiaro che lo spazio di manovra del governo si sta rapidamente chiudendo. La SYRIZA, il partito d’opposizione di sinistra, che si oppone attivamente alla legge e s’impegna pubblicamente a reclamare tutti i beni privatizzati, oggi è alla testa nei sondaggi e aumenterà ancora la pressione sugli ultimi parlamentari “socialisti” rimasti nel PASOK perché disertino il governo nei futuri voti sulle privatizzazioni.

Mentre la tensione aumenta nei mesi estivi, la resistenza greca può ancora salvare l’immensa ricchezza naturale e culturale del paese dalle fauci rapaci di una élite impazzita, riscattando l’anima dell’Europa persa nel processo.


Jerome Roos è dottore di ricerca in Economia Politica Internazionale presso l’Istituto Universitario Europeo e redattore fondatore di ROAR Magazine.


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Fonte: http://zcomm.org/znetarticle/in-greece-a-struggle-to-save-europes-soul-from-privatization/

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