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Giovedì, 11 Dicembre 2014

Messico in fiamme. Una voce dal cortile di casa degli Stati Uniti
di Lucia Pradella

Intervista ad Abelardo Mariña Flores - Città del Messico, 4 dicembre 2014

LP: Quali sono le cause di fondo delle uccisioni e delle sparizioni forzate degli studenti di Ayotzinapa ad Iguala?

AMF: Le cause di lungo periodo della violenza in Messico possono essere rintracciate nello stato autoritario che si è consolidato in Messico dopo il regime di Cardenas. Anche durante il boom post-bellico ed il cosiddetto miracolo messicano, la repressione dei movimenti  sociali, dei lavoratori, progressisti e di sinistra è stata permanente e sistematica:  ne sono esempi i movimenti di minatori, ferrovieri, lavoratori del settore elettrico, docenti della scuola pubblica, dottori e studenti. Le indagini sui massacri degli studenti del 1968 e del 1971 e sulla “sporca guerra” degli anni ’70 e ’80 contro la guerriglia urbana e rurale si sono concluse senza la persecuzione di alcun colpevole. I brogli elettorali contro le coalizioni di sinistra nel 1998, 2006 e 2012 confermano la natura autoritaria dello stato messicano. Le cause di medio periodo della violenza possono essere rintracciate nei processi di ristrutturazione neoliberale portati avanti in Messico, i quali hanno comportato non solo una guerra continua contro la popolazione per via della stagnazione economica, l’espropriazione della ricchezza pubblica, sociale e privata, una diffusa disoccupazione e precarizzazione, ma anche la consolidazione delle attività criminali come parte della quotidiana gestione dello stato. La causa di breve periodo è la cosiddetta guerra contro la droga portata avanti negli ultimi dieci anni come un elemento delle strategie contro-insurrezionali, che è sfociata nella militarizzazione del paese e nella violenza generalizzata: all’incirca 150.000 omicidi e 25.000 sparizioni, fra cui migliaia di attivisti politici e sociali.

LP: Qual è il terreno sociale delle attività criminali?

AMF: Nel paese, molti disoccupati e sottoccupati sono attratti dall’economia illegale perché privi di ogni prospettiva. Il business della droga è diventato fiorente precisamente dopo l’imposizione delle riforme neoliberali. È una vera industria, questo va compreso. L’industria della droga e industrie associate, come il traffico di esseri umani, sono parte di un business globale il cui centro deve essere cercato soprattutto nei paesi sviluppati, a cominciare dagli USA. Gli USA sono il maggiore mercato mondiale delle droghe illegali e sono anche il paese in cui questa industria si organizza a livello mondiale. Essa non può operare senza il riciclaggio di denaro, di cui si occupano le grandi banche. In Messico l’industria della droga si è sviluppata sin dalla seconda metà degli anni ’80 in competizione con la Colombia. È fiorita perché dà lavoro a livello locale, nel settore agricolo; ma anche a livello nazionale, nel commercio, nella distribuzione e nel riciclaggio. In un paese in cui non vi sono molte altre opportunità di lavoro questo è stato un settore fiorente.

LP: E poi c’è la guerra contro la droga…

AMF: La guerra contro la droga è parte di una strategia contro-insurrezionale portata avanti dagli USA non solo in Messico ma in tutto il mondo. È un pretesto per interventi militari. In Messico, alla fine degli anni ’90, il governo lanciò il “Plan Puebla Panama” con l’aiuto degli USA. In prospettiva, questo fu una dei punti d’inizio della guerra contro la droga. In termini di sicurezza, si è avuta un’ulteriore militarizzazione di questa guerra. Gli USA fanno sempre il doppio gioco: danno supporto militare alle forze di polizia e ai militari che si suppone stiano combattendo contro la droga, ma procurano armi anche ai cartelli della droga. Ciò accade anche in Colombia. Per gli USA è importante mantenere la violenza in tutto il paese perché si crea il contesto perfetto per reprimere qualsiasi tipo di attività politica militante.

LP: Negli ultimi anni, vaste aree del territorio messicano sono state concesse alle multinazionali occidentali, con profondo impatto sulle comunità rurali. Secondo te, questa è una strategia contro-insurrezionale legata a questo processo di espropriazione e resistenza nelle campagne?

AMF: Certo. Sin dai governi Salinas ci sono state alcune controriforme agrarie volte a privatizzare le terre, attaccando gli “ejido” e le forme di proprietà comunali. Le multinazionali stanno espropriando le terre sin dagli anni ’90 e questa è una delle radici del disagio sociale e politico nel paese. Le riforme del settore energetico e di quello minerario del 2013 stanno rilanciando le espropriazioni delle terre in quanto ne comportano la privatizzazione.

LP: Puoi fornire qualche precisazione sulle scuole “normales”?

AMF: Le normales furono istituite nel 1921, ma furono fortemente rilanciate negli anni ’30, sotto il governo di Cardenas. Nel contesto dello scontro con il fascismo, Cardenas sviluppò una politica di fronte popolare. Il Partito Comunista fu legalizzato in quegli anni e poteva operare apertamente, e Cardenas sviluppò quella che chiamavano un’istruzione socialista in contrasto alle forze conservatrici. Questo fu importante specialmente nelle campagne come contraltare rispetto al potere oscurantista della chiesa. L’istruzione, l’istruzione socialista, era un mezzo di contrasto alle idee di destra, e le normales conservano questo scopo. Esse erano e sono ancora incentrate sui settori più poveri della popolazione rurale e prevedono una solida formazione politica socialista.

LP: È per questo che sono state anche oggetto di specifici attacchi e repressioni?

AMF: Sì, negli anni del neoliberismo c’è stato un attacco generale all’istruzione pubblica. Lo stato ha praticamente tentato di far sparire le normales. Quasi metà di esse sono state chiuse e quelle che restano stanno combattendo per sopravvivere. Si mobilitano continuamente per via della loro formazione e dei loro contenuti politici, legati alle lotte popolari e ai movimenti sociali rurali. Ma si mobilitano in maniera permanente anche per ottenere i fondi pubblici dal governo ed evitare di sparire.

LP: Quindi tu leggi gli eventi del 26 e 27 settembre nel quadro di questo più ampio processo di criminalizzazione e repressione dei movimenti sociali?

AMF: Sì. L’altro fattore da tenere in considerazione è la simbiosi che si è avuta negli ultimi 15 anni fra potere politico e traffico di droga. Essa si è sviluppata a tutti i livelli in tutto il paese. Nelle campagne forse è più visibile perché le bande criminali locali, come gangster, vendono la protezione non solo alla gente in generale, ma anche ai funzionari del governo locale. All’inizio si tratta di una sorta di infiltrazione, ma viene il momento in cui fanno accordi bilaterali, e questa prassi si è diffusa in tutto il paese. Inoltre, crescentemente, le elezioni locali sono decise dalle bande criminali locali, i cui candidati vincono; danno loro protezione ed eliminano gli avversari politici. A turno, queste bande vengono appoggiate dalle forze di polizia nella loro lotta di competizione contro le altre bande. Questo è un fenomeno diffuso, che sicuramente avvenuto nel Nord, in Chihuahua, Durango, Sinaloa e Tamaupalis; al Centro, in Veracruz e Jalisco; al Sud, a Oxaca e altrove, anche se non con la stessa virulenza in tutti gli stati del Messico. Ma ultimamente abbiamo assistito al quasi completo collasso dei governi degli stati per via di questa diffusa articolazione dei governi locali, basti pensare a Michoacan ed ora a Guerrero. Questa simbiosi esiste anche a livello federale. Come detto in precedenza, l’industria della droga non può esistere senza il lavaggio del denaro. E la quantità di denaro in circolazione non può essere spiegata senza il coinvolgimento delle grandi corporation e delle banche, non solo in Messico ma anche negli USA.

LP: Cosa pensi delle testimonianze riguardo il coinvolgimento dell’esercito nelle sparizioni e uccisioni in Iguala?

AMF: In questo tipo di commistioni anche l’esercito è coinvolto nella corruzione e nel traffico di droga. Le forze militari regionali e locali, anch’esse vendono la protezione a specifiche bande criminali e sono coinvolte a livello locale.

LP: Quindi pensi sia possibile che l’esercito sia intervenuto concretamente nelle uccisioni e nelle sparizioni degli studenti?

AMF: Questa è una domanda. Questa è una delle cose che vogliamo sapere. C’è un’evidenza chiara che per lo meno l’esercito fosse a conoscenza di cosa stesse accadendo agli studenti di Ayotzinapa. Le uccisioni e le sparizioni forzate hanno avuto luogo a soli cento metri di distanza dalla base militare locale. Siamo a conoscenza che i militari sapevano preventivamente ed erano presenti quando c’è stata la prima sparatoria. Invece di provare ad impedire quello che stava accadendo, hanno attaccato gli studenti ed hanno impedito i soccorsi ai feriti. Quindi l’esercito era coinvolto sicuramente. Non sappiamo se sono stati coinvolti nella sparizione degli studenti. È quello che vogliamo sapere.

LP: Chi si sta mobilitando contro lo stato?

AMF: Le mobilitazioni sono cominciate quasi immediatamente fra gli studenti. L’attacco criminale in Iguala è avvenuto nel contesto di una serie di scioperi nell’Istituto Politecnico Nazionale, uno dei più grandi istituti universitari del Messico. Questi scioperi si sono generalizzati alla fine di settembre e sono divenuti uno sciopero generale ancora in corso. Inoltre, gli studenti di Ayotzinapa stavano raccogliendo fondi per venire a Città del Messico a commemorare il massacro degli studenti del 2 ottobre 1968. Quindi c’era in corso una mobilitazione studentesca: in appoggio agli scioperi nel Politecnico e in preparazione delle commemorazioni del 2 ottobre. Quando le informazioni su Ayotzinapa hanno cominciato a filtrare, gli studenti sono stati i primi a mobilitarsi: sono cominciate immediatamente manifestazioni e richieste di rilascio dei 43 studenti scomparsi. Da allora il movimento degli studenti ha assunto la guida delle mobilitazioni. Gli studenti stanno manifestando e si stanno organizzando in tutto il paese, hanno un coordinamento inter-universitario, l’assemblea inter-universitaria, con rappresentanze di 80–90 scuole. Sono stati cruciali nell’organizzazione di tutte le proteste. Ma in aggiunta c’è stata la partecipazione di nuovi settori. In Guerrero, Chapas, Oxaca ed altri stati gli insegnati democratici del settore pubblico sono ben organizzati. L’anno scorso c’è stata una mobilitazione generale degli insegnati contro la riforma dell’istruzione elementare nel settore pubblico, che ha incluso un sit-in di 4 mesi nel Zocalo (piazza principale) di Città del Messico. Questi insegnati organizzati sono divenuti parte del movimento. Altri settori che si stanno unendo sono le organizzazioni dei contadini. Ma tutte le organizzazioni sono state indebolite da trent’anni di neoliberismo. È stata organizzata un’assemblea nazionale popolare, con incontri ad Ayotzinapa, nei quali questi gruppi hanno cominciato a concordare un più ampio piano d’azione. 

LP: Qual è la posizione dei sindacati e del lavoro organizzato?

AMF: Il lavoro organizzato in Messico è molto debole. In tutti questi anni di neoliberismo in Messico è stato il settore maggiormente colpito, poiché la ristrutturazione neoliberista ha implicato la chiusura di intere industrie. È scomparsa la maggior parte delle industrie che si sono sviluppate durante la fase di industrializzazione tramite sostituzione delle importazioni; migliaia di lavoratori sono stati licenziati ed i diritti delle organizzazioni sindacali sono stati ampiamente ridotti. Tale processo è stato rafforzato dalla privatizzazione delle industrie pubbliche. Inoltre, sin dagli anni ’50 la maggior parte delle organizzazioni sindacali è stata integrata in un sistema corporativo per mezzo del partito ufficiale, subordinandole al governo. Dal momento che è stata repressa ogni forma di attivismo democratico dentro i sindacati ufficiali, ma anche al loro esterno, ci sono davvero poche organizzazioni sindacali indipendenti, per buona parte molto piccole. L’eccezione è rappresentata da alcuni sindacati universitari grandi ma non molto militanti.

LP: Ma alcuni sindacati hanno partecipato alla marcia del 20 novembre…

AMF: È vero, si tratta principalmente dei sindacati universitari, di alcuni segmenti democratici ed attivisti dei sindacati del settore pubblico ed dei residui di quelli esistenti nella compagnia elettrica che ha operava nel centro del Messico ed è stata chiusa quattro anni fa. C’è partecipazione, ma il movimento dei lavoratori è debole. Molti dei sindacati che hanno partecipato alle manifestazioni fanno parte di quello che noi chiamiamo il sindacalismo neo-corporativo; non sono direttamente collegati e subordinati al governo, ma sono subordinati ai padroni. Il migliore esempio è quello del sindacato della compagnia telefonica. Quando essa venne privatizzata, il sindacato chiuse un accordo con l’azienda evitando i licenziamenti. In seguito, l’azienda è cresciuta principalmente tramite il subappalto, che il sindacato ha accettato. Per cui il sindacato è stato efficiente nella difesa di salari, indennità ed occupazione dei propri iscritti, ma si è trasformato in un sindacato neo-corporativo legato alle strategie aziendali. Perciò in numerose manifestazioni il sindacato protesta contro le politiche economiche nazionali ma al contempo sostiene l’azienda e la famiglia di Carlos Slim. Questo è un chiaro esempio di neo-corporativismo.

LP: Passiamo a due questioni strettamente connesse. Qual è il tuo bilancio del movimento? Credi che si siamo di fronte a una crisi dello stato messicano?

AMF: Credo che il bilancio del movimento sia positivo. Abbiamo protestato per due mesi e la protesta si è estesa. Possiamo notare come nuovi settori si siano uniti al movimento: come accennavo prima, insegnanti, contadini, lavoratori urbani ed anche segmenti delle cosiddette classi medie. Le persone sono sempre  più informate su ciò che sta succedendo nel paese. Per cui credo che sia un grande successo. Alcuni successi minori sono stati la detenzione di alcune persone (circa 60) coinvolte nei crimini di Ayotzinapa, sebbene essi non siano gli unici colpevoli, e le dimissioni del governatore di Guerrero (che ha comunque trovato un altro impiego). Ma credo che il più importante obiettivo raggiunto dal movimento sia stato di riuscire ad approfondire il deterioramento della legittimazione non solo dello Stato e del governo federale ma anche dell’intero sistema politico.

Tutto ciò è strettamente connesso alla seconda domanda: sì, penso che lo Stato messicano sia in crisi, una crisi di legittimazione. La principale contraddizione è che le varie istituzioni governative e politiche non possono raccontare la verità, l’intera verità, perché se venisse condotta una vera indagine numerose persone verrebbero incriminate. Dipendenti statali locali, statali e federali, l’esecutivo, i poteri giudiziario e legislativo, così come l’esercito ed i leader dei principali partiti politici (PRI, PAN e PRD) sono coinvolti, con azioni o omissioni, nei fatti di Ayotzinapa, non soltanto in quegli eventi ma anche nei loro antecedenti. Le attività criminali del sindaco di Iguala (traffico di droga e uccisioni) erano risapute dalle varie autorità locali, statali e federali e dai leader dei principali partiti politici; e non hanno fatto niente. Ciò rappresenta un grosso problema per lo Stato nel suo complesso: noi vogliamo conoscere tutta la verità e chiediamo che tutte le responsabilità vengano individuate e che tutti i colpevoli siano puniti. Ma se ciò venisse realizzato, il sistema perderebbe qualsiasi credibilità. Ciò rende manifesta la crisi dello Stato dovuta al fatto che nessuna vera e completa inchiesta è possibile. È una situazione difficile. L’altra soluzione è la repressione aperta. E qui un ruolo importante lo gioca la visibilità internazionale dei crimini di Ayotzinapa e delle manifestazioni in Messico. Questa visibilità internazionale ha rappresentato il principale ostacolo ad una repressione generalizzata con uccisioni e arresti di massa che, altrimenti, il governo federale avrebbe potuto consumare.

LP: Quindi tu credi che questa sia una vera e propria crisi dello stato.

AMF: Certo, penso che siamo in presenza della crisi dello stato messicano. Ma voglio precisare che tale crisi non vuol dire necessariamente che lo stato sia debole. Interpreto questa crisi come una crisi dell’equilibrio tra violenza e consenso. L’equilibrio esistente, sebbene deteriorato negli ultimi anni, non funziona più. Le cose cambieranno di necessità. Se continuiamo a lottare, credo che possiamo spostare questo equilibrio in termini di maggiore democratizzazione, di attacco all’impunità, di conseguimento della giustizia e lotta alla violenza di stato. Sarà una lunga battaglia che potrebbe risolversi in un movimento progressivo. Tuttavia, c’è anche il rischio che possa verificarsi un cambio di equilibrio in favore della repressione aperta.

LP: Quali sono le sfide del movimento? Le questioni strategiche che dovrà affrontare?

AMF: Credo che la sfida principale sia quella relativa all’organizzazione. Non soltanto dell’organizzazione formale, ma anche di quella intellettuale e della coscienza. In Messico, come altrove, il potere dei media è fortissimo. Ma in un paese povero – in cui le persone ricevono informazione principalmente dalla TV privata e dalla radio, in cui molte persone non hanno accesso ad Internet – la popolazione non è molto informata su quanto sta accadendo. Dobbiamo coinvolgere più persone ampliando l’informazione a livello locale, nelle campagne, nei quartieri; dobbiamo discutere la congiuntura messicana in una prospettiva storica e coinvolgere la popolazione nella lotta. In Messico chiunque è stato colpito dalla violenza di stato. Ma quando non sei ben organizzato ed informato, subentra la paura, e la paura sofferta in solitudine paralizza le persone. Per cui ritengo che sia estremamente importante l’organizzazione sul piano intellettuale per mezzo dell’informazione e della discussione, insieme all’organizzazione formale del malcontento.

LP: Cosa intendi per “organizzazione formale”? Credi che ci sia una forte influenza dell’orizzontalismo nel movimento (penso in particolare all’eredità del movimento zapatista) e vedi emergere nuove forme di organizzazione?

AMF: In Messico, nonostante siano state attaccate dal neoliberismo, le espressioni tradizionali comunali di solidarietà sono ancora molto forti. Soprattutto nelle campagne ma anche nelle città abbiamo una lunga tradizione comunitaria che ancora sopravvive. Quando i lavoratori perdono il lavoro, sanno che troveranno sostengo nella propria famiglia allargata; ciò accade ovunque. Sul piano politico, inizialmente il movimento zapatista promosse un reale cambiamento, non soltanto in Messico ma su scala globale rivendicando una organizzazione politica di tipo orizzontale. Questa rivendicazione è stata molto importante come motivo di ispirazione per numerosi movimenti organizzati messicani. Lo sciopero all’UNAM di quindici anni fa, il “movimento 132” di due anni fa hanno sempre rivendicato, sebbene non sempre con successo, l’orizzontalismo come una delle loro principali caratteristiche. Direi di sì, ciò cui stiamo assistendo oggi è lo sviluppo di forme orizzontali di organizzazione, molto esplicite tra gli studenti, ma anche gli accademici si stanno muovendo su questo versante. L’idea dell’orizzontalismo come strumento di confronto con uno stato autoritario è molto diffusa. Credo che dovremmo cercare di sviluppare queste forme di organizzazione in tutti i settori, compreso il movimento operaio, che è molto debole, nelle classi medie ecc. Un importante riferimento è rappresentato dall’esperienza spagnola del movimento M15, che è stato molto forte sul piano locale, con la sua idea di orizzontalismo. Dovremmo esplorare e analizzare tutte queste forme.

Un’altra importante questione è la crisi dei partiti politici. Le riforme neoliberiste approvate negli ultimi due anni sono state sostenute dai tre principali partiti (PRI, PAN, PRD) con quello che è stato definito il “Patto per il Messico”. Morena, il nuovo partito di sinistra che è stato appena registrato nel luglio scorso e che, quindi, non ha ancora partecipato ad alcuna elezione, ha giocato un ruolo importante con un’opposizione aperta al Governo Federale ed una critica radicale agli altri partiti. Organizzato in un anno, oggi ha più di 600.000 iscritti in tutto il paese. Se sarà capace di assumere forme orizzontali di organizzazione ed azione, Morena potrà fungere da piattaforma elettorale alternativa per il movimento sociale. Di fatto, molte persone che stanno protestando in questi giorni sono membri di Morena. Credo che l’obiettivo principale ora sia quello di sviluppare forme orizzontali di organizzazione, non della società civile in astratto, ma di settori reali (economici), segmenti di popolazione (lavoratori, studenti, donne) e regioni. Queste forze dovrebbero connettere le proprie specifiche domande in una prospettiva di più ampia trasformazione sociale e politica del Messico.

LP: Un’ultima domanda relativa alle sfide del movimento ed al suo rapporto con i partiti politici. Una delle principali tesi emerse nel movimento è che lo stato è responsabile per i crimini di Ayotzinapa e non solo. La richiesta implicita è quindi non solo per un cambiamento di governo ma per un cambiamento più radicale. Cosa ne pensi?

AMF: Il grande compito è quello di cominciare a costruire un programma alternativo, che passi attraverso un cambiamento di governo ma che affermi il bisogno di un complesso di istituzioni legali e costituzionali proiettate alla costruzione di un differente tipo di Stato. Il compito è davvero difficile perché la critica dello stato è ancora sul piano intuitivo con l’assenza di forti organizzazioni. Non sarà facile trasformare questa critica in proposte politiche. L’orizzontalismo ha i suoi vantaggi ma se ci poniamo l’obiettivo di combattere l’attuale stato, l’orizzontalismo deve anche sviluppare forme di articolazione dell’organizzazione dal livello locale a quello nazionale, e, di necessità, legarsi ai movimenti internazionali, non soltanto in termini di solidarietà ma di azione comune. Come ho già detto prima, la battaglia sarà dura e lunga, ma credo che tali questioni debbano essere affrontate il prima possibile. In parte sono già state affrontate, ma credo che la nostra lotta dovrebbe concentrarsi su una più ampia prospettiva di cambiamento sociale radicale.


Abelardo Mariña Flores è un attivista politico, professore di economia politica e direttore del Dipartimento di Economia ad UAM-Azcapotzalco

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