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25 giugno 2014

“Per un Nuovo Ordine Mondiale del Vivere Bene”
discorso di introduzione di Evo Morales al vertice del Gruppo dei 77 più la Cina riunitosi a Santa Cruz, Bolivia, il 14 giugno 2014.
Introduzione di Richard Fidler
traduzione di Giuseppe Volpe

Evo Morales, presidente della Bolivia, ha tenuto questo notevole discorso di introduzione al vertice del Gruppo dei 77 più la Cina riunitosi a Santa Cruz, Bolivia, il 14 giugno 2014.

Life on the Left, postato, con autorizzazione,  su Links International Journal of Socialist Renewal. Il Vertice del Gruppo dei 77 più la Cina, celebrando il cinquantesimo anniversario dell’alleanza, si è concluso a Santa Cruz, Bolivia, il 15 giugno con l’adozione di una dichiarazione contenente 242 articoli, intitolata “Per un Nuovo Ordine Mondiale per Vivere Bene”.

Il vertice ha segnato un record di elevata partecipazione, con la presenza di 13 presidenti, quattro primi ministri, cinque vicepresidenti e otto ministri degli esteri tra i delegati di 104 paesi partecipanti sui 133 del Sud globale che oggi costituiscono il Gruppo dei 77 più la Cina (noto anche come G77+Cina). Lo Stato Plurinazionale della Bolivia presiede quest’anno l’alleanza e il suo presidente Evo Morales ha ospitato il vertice.

La scelta di Santa Cruz come sede ha avuto un significato particolare in Bolivia. Nel 2008 questa città del bassopiano orientale, con una popolazione di origine prevalentemente europea, si è ribellata violentemente al governo Morales e alla nuova costituzione della Bolivia, che per la prima volta nella storia del paese aveva riconosciuto le 34 lingue distinte e i diritti nazionali dei popoli indigeni della Bolivia che rappresentano la maggioranza della popolazione.

A condividere il palco con Morales alla cerimonia d’apertura del vertice c’erano leader di quella rivolta separatista, un’appariscente dimostrazione del grado in cui il governo boliviano, guidato dal Movimento Verso il Socialismo, di Morales, ha da allora stabilito la propria egemonia in tutto il paese.

Ci sono due dimensioni diverse ma complementari nella dichiarazione adottata, scrive Katu Arkonada, un boliviano di origine basca su ‘Rebeliòn’. La prima, concentrata sulla riforma delle istituzioni, fissa obiettivi di sviluppo sostenibile per sostituire gli Obiettivi del Millennio delle Nazioni Unite. Segnala la necessità di una approccio che integri strategie economiche, sociali e ambientali che promuovano il controllo sovrano delle risorse naturali in armonia con la natura e con “Madre Terra”. Le proposte del documento di affrontare la sfida del cambiamento climatico sono particolarmente notevole, non da ultimo perché segnerebbero, se attuate, un significativo allontanamento dalle prassi internazionali attuali, comprese quelle di molti stati membri del G77.

La seconda dimensione della dichiarazione è indirizzata alla costruzione “quel diverso mondo possibile, un mondo di sovranità del Sud globale, libero da ogni forma di colonialismo e imperialismo”. Essa sollecita una radicale riconfigurazione della politica e delle istituzioni finanziarie internazionali affinché corrispondano alle realtà geopolitiche di un mondo multipolare emergente “basato sui principi del rispetto della sovranità, dell’indipendenza, dell’uguaglianza, della non interferenza negli affari interni degli stati e sul mutuo beneficio.”

Il Gruppo dei 77 più la Cina è un gruppo molto eterogeneo di paesi e governi. Mentre molti un tempo sono stati colonizzati e tutti sono in vario grado soggetti al dominio dell’imperialismo come sistema tuttora egemonizzato dagli Stati Uniti, essi hanno storie eterogenee (per dire il minimo) quando si tratta di confrontarsi con l’imperialismo. Il gruppo oggi include persino alcuni stati imperialisti emergenti come la Cina (e presto la Russia se accetterà l’invito del Vertice all’adesione). Alcuni, come il Brasile, sono stati caratterizzati da alcuni analisti come “sub-imperialisti”, anche se tale concetto è soggetto a varie interpretazioni [1]. La stessa Bolivia non ha esitato a partecipare con altri membri del G77 all’occupazione militare di Haiti dopo il rovesciamento, nel 2004, del governo progressista di Jean-Bertrand Aristide ad opera della Francia, degli USA e del Canada [2].

Comunque il contenuto anti-imperialista ed ecologico radicale della dichiarazione, così come molti discorsi al vertice di Santa Cruz, ha riflesso l’input di Evo Morales e del suo governo, che ha svolto un ruolo guida nell’attirare l’attenzione internazionale sul pericolo mortale per l’ambiente globale posto dal capitalismo e dal saccheggio imperialista di risorse naturali rinnovabili e non rinnovabili.

Morales ha dato il la con suo notevole discorso d’apertura del vertice, pubblicato di seguito, un fervido appello ai popoli e ai governi del mondo per una reazione anticapitalista coordinata alle minacce combinate di catastrofe economica, sociale e ambientale che incombono oggi più che mai.

Il vertice è stato preceduto a un incontro di massa di movimenti sociali boliviani con i presidenti di alcuni paesi latinoamericani, tra cui Raùl Castro (Cuba), Nicolàs Maduro (Venezuela), Rafael Correa (Ecuador) e Salvador Sànchez Cerén (nuovo presidente di El Salvador) e con personalità quali la leader guatemalteca Rigoberta Menchu e il Segretario Generale dell’ONU Ban Ki-moon. Evo Morales ha detto alla vasta folla che se l’aggressione imperialista contro la rivoluzione bolivarista in Venezuela dovesse continuare, il Venezuela e l’America Latina potrebbero diventare un “secondo Vietnam per gli Stati Uniti”.

Ho rivisto leggermente la traduzione ufficiale e diffusa affrettatamente in inglese del discorso di Morales al vertice per farla corrispondere meglio all’originale trascrizione spagnola. L’espressione spagnola Vivir Bien (Vivere Bene), che ricorre in tutto il discorso di Morales, si riferisce al concetto andino di vivere in armonia con la comunità e con la natura, assicurando i mezzi sufficienti per vivere bene senza cercare sempre di più e in tal modo esaurire le risorse del pianeta.

***

14 giugno 2014 – Cinquant’anni fa, grandi leader alzarono le bandiere della lotta anticoloniale e decisero di unirsi ai loro popoli in una marcia lungo la via della sovranità e dell’indipendenza.

Le superpotenze e le imprese transnazionali del mondo erano in competizione per il controllo di territori e risorse naturali al fine di continuare a espandersi al prezzo dell’impoverimento dei popoli del Sud.

In tale contesto, il 15 giugno 1964, alla conclusione di una riunione dell’UNCTAD [3], 77 paesi del Sud (oggi siamo 133 più la Cina) si incontrarono per potenziare le proprie capacità negoziali nel commercio, agendo in blocco per promuovere i propri interessi collettivi, rispettando nello stesso tempo le proprie decisioni sovrane individuali.

Nel corso degli ultimi cinquant’anni questi paesi sono andati oltre le loro dichiarazioni e hanno promosso risoluzioni presso le Nazioni Uniti e azioni congiunte a favore dello sviluppo sostenuto dalla cooperazione Sud-Sud, di un nuovo ordine economico, di un approccio responsabile al cambiamento climatico e di relazioni economiche basate su trattamenti preferenziali.

In questo viaggio va evidenziata la lotta per la decolonizzazione e per l’autodeterminazione e la sovranità dei popoli sulle loro risorse naturali.

Nonostante questi sforzi e lotte per l’uguaglianza e la giustizia per i popoli del mondo, le gerarchie e le disuguaglianze nel mondo sono aumentate.

Oggi nel mondo dieci paesi controllano il 40% della ricchezza mondiale totale e 15 imprese transnazionali controllano il 50% della produzione globale.

Oggi, come cent’anni fa, agendo nel nome del libero mercato e della democrazia, un pugno di potenze imperiali invade paesi, blocca scambi, impone prezzi al resto del mondo, soffoca economie nazionali, complotta contro governi progressisti e ricorre allo spionaggio contro gli abitanti di questo pianeta.

Una minuscola élite di paesi e imprese transnazionali controlla, in modo autoritario, i destini del mondo, le sue economie e le sue risorse naturali.

La disuguaglianza economica e sociale tra regioni, tra paesi, tra classi sociali e tra individui è cresciuta vergognosamente.

Circa lo 0,1% della popolazione mondiale possiede il 20% del patrimonio dell’umanità. Nel 1920 un dirigente d’impresa negli Stati Uniti guadagnava venti volte il salario di un operaio, ma oggi è pagato 331 volte quel salario.

La concentrazione iniqua della ricchezza e la distruzione predatrice della natura stanno anche generando una crisi strutturale che col tempo sta diventando insostenibile.

E’ realmente una crisi strutturale. Ha un impatto su ogni componente dello sviluppo capitalista. In altre parole è una crisi che si rafforza mutuamente colpendo la finanza, l’energia, il clima, l’acqua, il cibo, le istituzioni e i valori. E’ una crisi intrinseca alla civiltà capitalista.

La crisi finanziaria è stata innescata dal perseguimento avido di profitti dal capitale finanziario che ha condotto a una profonda speculazione finanziaria internazionale, una pratica che ha favorito certi gruppi, certe imprese transnazionali o centri di potere che hanno ammassato una grande ricchezza.

Le bolle finanziarie che generano profitti speculativi alla fine scoppiano e nel processo precipitano nella povertà i lavoratori che avevano ricevuto scarso credito, i detentori di depositi a risparmio della classe media che avevano affidato i loro depositi a speculatori avidi. Questi ultimi sono falliti nel giro di ventiquattr’ore o hanno trasferito il loro capitale in altri paesi, portando così alla bancarotta intere nazioni.

Abbiamo anche di fronte una crisi energetica che è mossa da consumi eccessivi nei paesi sviluppati, l’inquinamento da fonti di energia e le pratiche di accumulo energetico delle imprese transnazionali.

Parallelamente a ciò, assistiamo a una riduzione globale delle riserve e ad alti costi di sviluppo del petrolio e del gas, mentre il potenziale produttivo precipita a causa del graduale esaurimento dei combustibili fossili e del cambiamento climatico globale.

La crisi climatica è causata dall’anarchia della produzione capitalista, con livelli di consumo e di industrializzazione sfrenata che hanno avuto come conseguenza emissioni eccessive di gas inquinanti che a loro volta hanno portato al riscaldamento globale e a disastri naturali che hanno colpito il mondo intero.

Per più di 15.000 anni prima dell’era dell’industrializzazione capitalista, i gas serra non ammontavano a più di 250 parti per milione di molecole nell’atmosfera.

Dal diciannovesimo secolo, e in particolare nel ventesimo e nel ventunesimo secolo, grazie alle azioni del capitalismo predatorio, questo conteggio è salito a 400 parti per milione e il riscaldamento globale è divenuto un processo irreversibile assieme a disastri climatici i principali impatti dei quali sono avvertiti dai paesi più poveri e vulnerabili del Sud, e in particolare dalle nazioni isolane, come conseguenza dello scioglimento dei ghiacciai.

A sua volta, il riscaldamento globale sta generando una crisi della disponibilità di acqua che è aggravata dalla privatizzazione, dall’esaurimento delle risorse e dalla commercializzazione di acqua potabile. In conseguenza il numero di persone prive di accesso all’acqua potabile sta crescendo rapidamente.

La penuria di acqua in molte parti del pianeta sta portando a conflitti armati e guerre che aggravano ulteriormente la disponibilità di questa risorsa non rinnovabile.

La popolazione mondiale sta crescendo mentre scema la produzione alimentare e queste tendenze stanno portando a una crisi alimentare.

Si aggiungano a questi problemi la riduzione delle terre produttrici di cibo, gli squilibri tra aree urbane e rurali, il monopolio esercitato da imprese transnazionali sulla commercializzazione di sementi e di materie prime agricole e la speculazione sui prezzi del cibo.

Il modello imperiale di concentrazione e speculazione ha causato anche una crisi istituzionale che è caratterizzata da una distribuzione ineguale e ingiusta del potere nel mondo, in particolare nell’ambito del sistema delle Nazioni Unite, nel Fondo Monetario Internazionale e nell’Organizzazione Mondiale del Commercio.

In conseguenza di tutti questi sviluppi sono in pericolo i diritti sociali dei popoli. La promessa di uguaglianza e giustizia per il mondo intero diviene sempre più remota e la natura stessa è minacciata di estinzione.

Abbiamo raggiunto un limite e un’azione globale è urgentemente necessaria per salvare la società, l’umanità e la Madre Terra.

La Bolivia ha cominciato a compiere passi per affrontare questi problemi. Fino al 2005 la Bolivia applicava una politica neoliberista che aveva come conseguenza concentrazione di ricchezza, disuguaglianza sociale e povertà, crescita dell’emarginazione, della discriminazione e dell’esclusione sociale.

In Bolivia le lotte storiche combattute dai movimenti sociali, in particolare dal movimento dei contadini indigeni, ci hanno consentito di avviare una Rivoluzione Democratica e Culturale, attraverso le urne e senza l’uso della violenza. Questa rivoluzione sta sradicando l’esclusione, lo sfruttamento, la fame e l’odio e sta ricostruendo il sentiero dell’equilibrio, della complementarietà e del consenso con una propria identità, Vivir Bien.

A partire dal 2006 il governo boliviano ha introdotto una nuova politica economica e sociale inserita in nuovo modello socioeconomico e produttivo a base comunitaria i cui pilastri sono la nazionalizzazione delle risorse naturali, il recupero del surplus economico a beneficio di tutti i boliviani, la redistribuzione della ricchezza e la partecipazione attiva dello stato nell’economia.

Nel 2006 il governo e il popolo boliviano hanno preso la loro più significativa decisione politica, economica e sociale: la nazionalizzazione degli idrocarburi del paese, l’asse centrale della nostra rivoluzione. Lo stato partecipa alla proprietà dei nostri idrocarburi, la controlla e gestisce il nostro gas naturale.

Contrariamente alla ricetta neoliberale che la crescita economica deve essere basata sulla domanda esterna del mercato (“esporta o muori”), il nostro nuovo modello si è basato su una combinazione di esportazioni con una crescita del mercato interno che è principalmente determinata da politiche di redistribuzione del reddito, aumenti successivi del salario minimo nazionale, aumenti annuali del salario superiori al tasso d’inflazione, sovvenzioni incrociati e trasferimenti condizionati di liquidità ai più bisognosi.

In conseguenza il PIL boliviano è aumentato da 9 miliardi a più di 30 miliardi di dollari negli ultimi otto anni.

I nostri idrocarburi nazionalizzati, la crescita economica e una politica di austerità dei costi hanno aiutato il paese a generare avanzi di bilancio per otto anni di fila, in forte contrasto con i ricorrenti deficit di bilancio sperimentati dalla Bolivia per più di 66 anni.

Quando abbiamo rilevato l’amministrazione del paese il rapporto tra i boliviani più ricchi e quelli più poveri era di 128 volte. Questo rapporto è stato tagliato a 46 volte. La Bolivia è oggi uno dei sei paesi al vertice nella nostra regione con la migliore distribuzione del reddito.

Ha dimostrato che i popoli hanno scelte e che possiamo superare il destino imposto dal colonialismo e dal neoliberismo.

Questi risultati, prodotti in un arco di tempo così breve, sono attribuibili alla coscienza politica e sociale del popolo boliviano.

Abbiamo recuperato la nostra nazione per tutti noi. La nostra era una nazione che era stata alienata dal modello neoliberista, una nazione che viveva sotto il vecchio e maligno sistema dei partiti politici, una nazione che era governata dall’estero, come se fossimo una colonia.

Non siamo più un paese che non funziona, come eravamo descritti dalle istituzioni finanziarie internazionali. Non siamo più un paese ingovernabile, come avrebbe voluto farci credere l’impero statunitense.

Oggi il popolo boliviano ha recuperato la sua dignità e il suo orgoglio e noi crediamo nella nostra forza, nel nostro destino e in noi stessi.

Voglio dire al mondo intero nei termini più umili che gli unici saggi architetti che possono cambiare il suo futuro sono i popoli stessi.

Perciò intendiamo costruire un altro mondo, e diversi compiti sono stati ideati per creare la società del Vivir Bien.

Primo: Dobbiamo passare da uno sviluppo sostenibile a uno sviluppo integrale (desarrollo integral) così che possiamo vivere bene e in armonia e in equilibrio con Madre Natura.

Dobbiamo costruire una visione che sia diversa dal modello di sviluppo del capitalismo occidentale.

Dobbiamo costruire una visione che sia diversa dal modello di sviluppo capitalista occidentale. Dobbiamo passare dal paradigma dello sviluppo sostenibile all’approccio allo sviluppo onnicomprensivo del Vivir Bien  che persegue non soltanto un equilibrio tra gli esseri umani, ma anche un equilibrio e un’armonia con nostra Madre Terra.

Nessun modello di sviluppo può essere sostenibile se la produzione distrugge Madre Terra come fonte di vita e della nostra stessa esistenza. Nessuna economia può essere duratura se genera disuguaglianze ed esclusioni.

Nessun progresso è giusto e desiderabile se il benessere di alcuni è a spese dello sfruttamento e dell’impoverimento di altri.

Lo Sviluppo Onnicomprensivo del Vivir Bien significa offrire benessere a tutti, senza esclusioni.  Significa rispetto della diversità delle economie delle nostre società. Significa rispetto del sapere locale. Significa rispetto di Madre Terra e della sua biodiversità come fonte di nutrimento delle generazioni future.

Lo Sviluppo Onnicomprensivo del Vivir Bien significa anche produzione per soddisfare bisogni reali e non per espandere all’infinito i profitti.

Significa distribuire ricchezza e sanare le ferite causate dalla disuguaglianza, piuttosto che aggravare l’ingiustizia.

Significa combinare la scienza moderna con la saggezza tecnologica vecchia di ere detenuta dai popoli indigeni, nativi e contadini che interagiscono rispettosamente con la natura.

Significa ascoltare il popolo anziché i mercati finanziari.

Significa porre la Natura al centro della vita e guardare agli esseri umani come semplicemente altre creature della Natura.

Il modello di Sviluppo Onnicomprensivo del Vivir Bien, di rispetto di Madre Natura, non è un’economia ecologista per i soli paesi poveri, mentre le nazioni ricche ampliano la disuguaglianza e distruggono la Natura.

Lo sviluppo onnicomprensivo è perseguibile soltanto se applicato globalmente, se gli stati, assieme ai loro rispettivi popoli, esercitano controllo su tutte le loro risorse energetiche.

Abbiamo bisogno di tecnologie, investimenti, produzione e credito e anche di imprese e mercati, ma non li subordineremo alla dittatura del profitto e del lusso. Dobbiamo, invece, porli al servizio dei popoli per soddisfare i loro bisogni e per accrescere i nostri beni e servizi comuni.

Secondo: sovranità esercitata sulle risorse naturali e le aree strategiche

I paesi che dispongono di materie prime devono e possono assumere un controllo sovrano sulla produzione e la lavorazione di tali materie.

La nazionalizzazione di imprese e aree strategiche può aiutare lo stato a rilevare la gestione della produzione, a esercitare controllo sovrano sulla sua salute, a imbarcarsi in un processo di pianificazione che conduca alla lavorazione delle materie prime e a distribuire i profitti tra il suo popolo.

Esercitare la sovranità sulle risorse naturali e le aree strategiche non significa isolamento dai mercati globali; significa, piuttosto, collegarsi a tali mercati a beneficio dei nostri paesi e non a beneficio di pochi proprietari privati. La sovranità sulle risorse naturali e le aree strategiche non significa impedire la partecipazione di capitale e tecnologia straniera. Significa subordinare tali investimenti e tecnologie ai bisogni di ciascun paese.

Terzo: benessere per tutti e offerta di servizi fondamentali come diritto umano

La peggior tirannia affrontata dall’umanità sta nel consentire che servizi fondamentali siano sotto il controllo di imprese transnazionali. Questa prassi assoggetta l’umanità agli specifici interessi e scopi commerciali di una minoranza che diviene ricca e potente a spese della vita e della sicurezza di altre persone.

E’ per questo che affermiamo che i servizi fondamentali sono intrinseci alla condizione umana. Come può vivere un essere umano senza acqua potabile, energia elettrica o comunicazioni? Se i diritti umani devono renderci tutti uguali, questa uguaglianza si può realizzare soltanto attraverso l’accesso universale ai servizi fondamentali. Il nostro bisogno di acqua, come il nostro bisogno di luce e comunicazioni, ci rende tutti uguali.

La soluzione delle iniquità sociali richiede che sia la legge internazionale sia la legislazione nazionale di ciascun paese definiscano i servizi fondamentali (come acqua, elettricità, comunicazioni e assistenza sanitaria di base) come diritto umano fondamentale di ogni individuo.

Questo significa che gli stati hanno un obbligo legale di garantire l’offerta universale di servizi fondamentali, indipendentemente da costi o profitti.

Quarto: emancipazione dal sistema finanziario internazionale esistente e costruzione di una nuova architettura finanziaria

Proponiamo di liberarci dal giogo finanziario internazionale costruendo un nuovo sistema finanziario che dia priorità alle necessità delle attività produttive nei paesi del Sud, nel contesto dello sviluppo onnicomprensivo.

Dobbiamo creare e rafforzare banche del Sud che sostengano progetti di sviluppo industriale, rafforzino i mercati regionali e nazionali e promuovano gli scambi tra i nostri paesi, ma su basi di complementarietà e solidarietà.

Dobbiamo anche promuovere leggi sovrane sulle transazioni finanziarie globali che minacciano la stabilità delle nostre economie nazionali.

Dobbiamo progettare un meccanismo internazionale per ristrutturare i nostri debiti, che servono a rafforzare la dipendenza dei popoli del Sud e strangolano le loro possibilità di sviluppo.

Dobbiamo sostituire istituzioni finanziarie internazionali quali il FMI con altre entità che offrano una partecipazione migliore e più vasta dei paesi del Sud nelle proprie strutture decisionali che attualmente sono nella morsa delle potenze imperiali.

Dobbiamo anche definire limiti ai profitti da speculazioni e all’eccessiva accumulazione della ricchezza.

Quinto: costruire una grande collaborazione economica, scientifica, tecnologica e culturale tra i membri del Gruppo dei 77 più la Cina

Dopo secoli sotto il dominio coloniale, di trasferimenti di ricchezza ai monopoli imperiali e di impoverimento delle nostre economie, i paesi del Sud hanno cominciato a riconquistare importanza decisiva nei risultati dell’economia mondiale.

Asia, Africa e America Latina non sono soltanto sede del 77% della popolazione mondiale, ma rappresentano anche quasi il 43% dell’economia mondiale. E questa importanza è in ascesa. I popoli del Sud sono il futuro del mondo.

Vanno intraprese azioni immediate per rafforzare e pianificare questa ineluttabile tendenza globale.

Dobbiamo espandere gli scambi tra i paesi del Sud. Dobbiamo anche adattare le nostre attività produttive alle necessità di altre economie del Sud su basi di complementarietà di bisogni e capacità.

Dobbiamo attuare programmi di trasferimento di tecnologia tra i paesi del Sud. Non tutti i paesi, agendo da soli, sono in grado di conseguire la sovranità e la leadership tecnologica che sono cruciali per una nuova economia globale basata sulla giustizia.

La scienza deve essere un patrimonio dell’umanità nel suo complesso. La scienza deve essere posta al servizio del benessere di tutti, senza esclusioni o egemonie. Un futuro decente per tutti i popoli del mondo richiederà integrazione per la liberazione, anziché cooperazione per il dominio.

Per assolvere questi compiti degni a vantaggio dei popoli del mondo abbiamo invitato la Russia e altri paesi stranieri che sono nostri fratelli nei bisogni e nell’impegno a unirsi al Gruppo dei 77.

La nostra alleanza del Gruppo dei 77 non ha un’istituzione propria per dare effetto agli approcci, dichiarazioni e piani d’azione dei nostri paesi. Per questa ragione la Bolivia propone la creazione di un Istituto per la Decolonizzazione e la Cooperazione Sud-Sud.

Tale istituto sarà incaricato di offrire assistenza tecnica ai paesi del Sud e di promuovere l’attuazione delle proposte formulate dal Gruppo dei 77 più la Cina.

L’istituto fornirà anche assistenza tecnica e di costruzione di potenziale per lo sviluppo e l’autodeterminazione e contribuirà a condurre progetti di ricerca. Proponiamo che questo istituto abbia la direzione  in Bolivia.

Sesto: sradicare la fame tra i popoli del mondo

E’ imperativo che la fame sia sradicata e che il diritto umano al cibo sia esercitato e fatto valere pienamente.

Alla produzione di cibo va data priorità con il coinvolgimento di piccoli coltivatori e di comunità contadine indigene che detengono un sapere antico riguardo a questa attività.

Per riuscire a sradicare la fame i paesi del Sud devono redigere le condizioni dell’accesso democratico ed equo alla proprietà della terra, in modo che non sia consentito a monopoli su questa risorsa di persistere sotto forma di latifondi. Tuttavia non deve neppure essere incoraggiata la frammentazione in lotti piccoli e improduttivi.

La sovranità e la sicurezza alimentare devono essere rafforzate mediante l’accesso a cibi sani a beneficio del popolo.

Il monopolio detenuto dalle imprese transnazionali sull’offerta di materie prime agricole deve essere eliminato come modo per promuovere la sicurezza e la sovranità alimentare.

Ciascun paese deve garantire che l’offerta di alimenti primari fondamentali consumati dal suo popolo sia assicurata promuovendo pratiche produttive, culturali e ambientali e promuovendo gli scambi da popolo a popolo su basi solidaristiche. I governi hanno l’obbligo di garantire l’offerta di elettricità, la disponibilità di collegamenti stradali e l’accesso all’acqua e a fertilizzanti organici.

Settimo: rafforzare la sovranità degli stati, libera di interferenze, interventi o spionaggi stranieri

Nel quadro delle Nazioni Unite deve essere promossa una nuova struttura istituzionale a sostegno di un Nuovo Ordine Mondiale per Vivir Bien.

Le istituzioni emerse dopo la seconda guerra mondiale, comprese le Nazioni Unite, hanno necessità oggi di una radicale riforma.

Sono necessarie agenzie internazionali che promuovano la pace, eliminino l’egemonia globale e facciano progredire l’uguaglianza tra gli stati.

Per questo motivo il Consiglio di Sicurezza dell’ONU deve essere abolito. Anziché favorire la pace tra le nazioni, questo organismo ha promosso guerre e invasioni delle potenze imperiali nella loro caccia alle risorse naturali disponibili nei paesi invasi. Invece di un Consiglio di Sicurezza abbiamo oggi bisogno di avere un consiglio d’insicurezza delle guerre imperiali.

Nessun paese, nessuna istituzione e nessun interesse possono giustificare l’invasione di un paese da parte di un altro. La sovranità degli stati e la risoluzione interna dei conflitti che esistono in ogni paese sono le fondamenta della pace e delle Nazioni Unite.

Io qui mi schiero a denunciare l’ingiusto blocco economico imposto contro Cuba e le politiche aggressive e illegali perseguite dal governo statunitense contro il Venezuela, compresa un’iniziativa legislativa presentata al Comitato delle Relazioni con l’Estero del Senato USA mirata ad applicare sanzioni a quel paese a detrimento della sua sovranità e indipendenza politica, una chiara violazione dei principi e degli scopi della Carta dell’ONU.

Queste forme di persecuzione e di colpi di stato mossi internazionalmente sono i tratti del colonialismo moderno, la pratiche coloniali della nostra era.

Questi sono i nostri tempi, i tempi del Sud. Dobbiamo essere capaci di superare e guarire le ferite prodotte da guerra fratricide provocate da interessi capitalisti stranieri. Dobbiamo rafforzare i nostri piani di integrazione a sostegno della nostra coesistenza pacifica, del nostro sviluppo e della nostra fede in valori condivisi, quali la giustizia.

Solo restando uniti saremo in grado di offrire vite decenti ai nostri popoli.

Ottavo: rinnovamento democratico del nostro stato

L’era degli imperi, delle gerarchie coloniali e delle oligarchie finanziarie sta arrivando al termine. Dovunque guardiamo, vediamo popoli che in tutto il mondo reclamano il loro diritto di svolgere ruoli guida nella storia.

Il ventunesimo secolo deve essere il secolo dei popoli, dei lavoratori, dei contadini, delle comunità indigene, dei giovani e delle donne. In altre parole, deve essere il secolo degli oppressi.

La realizzazione del ruolo guida dei popoli richiede che la democrazia sia rinnovata e rafforzata. Dobbiamo integrare la democrazia elettorale con la democrazia partecipativa e a base comunitaria.

Dobbiamo abbandonare il governo limitato parlamentare e a base partitica e passare a un governo sociale della democrazia.

Questo significa che il processo decisionale in ogni stato deve prendere in considerazione le sue decisioni parlamentari, ma anche le deliberazioni dei movimenti sociali che incorporano l’energia vitalizzante dei nostri popoli.

Il rinnovamento della democrazia in questo secolo richiede anche che l’azione politica rappresenti un servizio pieno e permanente alla vita. Questo servizio rappresenta un impegno etico, umano e morale a favore dei nostri popoli, delle nostre masse più umili.

A questo scopo dobbiamo ripristinare i codici dei nostri avi: no robar, no mentir, no ser flujo y no ser adulòn [non rubare, non mentire, non essere deboli e non adulare].

Democrazia significa anche distribuzione della ricchezza e ampliamento dei beni comuni condivisi dalla società.

Democrazia significa subordinazione dei governanti alle decisioni dei governati.

Democrazia non è vantaggio personale conferito ai governanti, né abuso di potere. Democrazia significa servire il popolo con amore e sacrificio di sé. Democrazia significa dedizione di tempo, sapere, sforzo e persino la vita stessa al perseguimento del benessere dei popoli e dell’umanità.

Nono: un nuovo mondo che sorge dal Sud per tutta l’umanità

E’ arrivato il momento delle nazioni del Sud.

In passato siamo stati colonizzati e schiavizzati. La manodopera che ci hanno rubato ha costruiti imperi al Nord.

Oggi, con ogni passo che compiamo per la nostra liberazione, gli imperi diventano sempre più decadenti e cominciano a vacillare.

Tuttavia la nostra liberazione non è soltanto l’emancipazione dei popoli del Sud. La nostra liberazione è anche per l’intera umanità. Non lottiamo per dominare nessuno. Lottiamo per garantire che nessuno sia dominato.

Possiamo solo salvare la fonte della vita e della società: Madre Terra. Il nostro pianeta è sotto minaccia di morte da parte dell’avidità del capitalismo predatore e folle.

Oggi un altro mondo non è solo possibile; è indispensabile.

Oggi un altro mondo è indispensabile perché, altrimenti, nessun mondo sarà possibile.

E tale altro mondo di uguaglianza, complementarietà e coesistenza organica con Madre Terra può emergere soltanto dalle migliaia di lingue, colori e culture esistenti in fratellanza tra i Popoli del Sud.

Note

[1] Per una discussione recente di questo concetto vedere Brasil Potencia di Raùl Zibechi, ora disponibile in inglese.

[2] Un errore comune dei membri del G77 consiste nell’identificare la solidarietà anti-imperialista con il sostegno politico ai governi membri. Un esempio evidente è stato offerto dal parlamento boliviano immediatamente dopo il vertice, quando ha conferito una medaglia per i diritti umani al presidente dello Sri Lanka, il cui governo è tristemente noto per aver scatenato una guerra genocida contro la nazione Tamil, minoritaria nel paese; davvero una strana condotta da parte dell’”Assemblea Legislativa Plurinazionale” della Bolivia.

[3] Conferenza delle Nazioni Uniti sugli Scambi e lo Sviluppo


Evo Morales è presidente dello Stato Plurinazionale della Bolivia e presidente pro-tempore del Gruppo dei 77 più la Cina.


Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://zcomm.org/znetarticle/for-a-global-brotherhood-among-the-peoples-2/

 

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