Aldo Giannuli, “Reazioni alla globalizzazione”, dal blog di Giannuli dell’8 maggio 2014


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23/5/14

Giannuli: il mondo non tollera più i diktat dell’Occidente

La globalizzazione neoliberista ha spiccato il volo nei primi anni Novanta fra gioiosi inni alle sue sorti magnifiche e progressive, come attestavano i non dimenticati libri di Francis Fukuyama sulla fine della storia e di Toni Negri sull’Impero. Si prometteva la fine della nazioni e dello Stato-nazione, rottame del passato, di conseguenza dell’ordine westfalico sostituito da una governance mondiale fortemente integrata che avrebbe abolito il “fuori” e trasformato ogni crisi locale in un caso di “insorgenza” da curare con “interventi di polizia internazionale”. Si prometteva uno sviluppo mondiale, che avrebbe riscattato i paesi arretrati, ed il benessere generalizzato attraverso la “democratizzazione della finanza” assistita da nuovi strumenti matematici che avrebbero posto fine alle grandi crisi. Sarebbe sorto un mondo “piatto” e simmetrico.

Ogni promessa colpiva un suo particolare target: il benessere generalizzato e lo sviluppo attraeva i paesi arretrati, la “democratizzazione della finanza” i precari delle società metropolitane, la promessa di una governance mondiale in grado di mediare i conflitti seduceva i fautori dell’internazionalismo. Poi le cose sono andate molto diversamente: la governance mondiale si è ridotta ad un concerto molto instabile fra vecchi imperi e potenze emergenti, i conflitti non sono affatto diminuiti e le operazioni di polizia internazionale non hanno dato i risultati voluti, vecchie asimmetrie si sono attenuate o scomparse, ma solo per essere sostituite da nuove. Soprattutto, il sogni di una finanza sempre espansiva e al sicuro da grandi crisi è stato impietosamente spazzato via da una crisi che è già la peggiore dopo quella del 1929 e non accenna a passare.

Quello attuale è un mondo segnato da asimmetrie diverse e più aspre di quelle passate, con ragioni di conflitto più insidiose, profondamente instabile, nel quale si avverte chiaramente il rischio di uno sbocco caotico e ingovernabile. E ora siamo ad una crisi di rigetto della globalizzazione che ha assunto forme assai diverse e per questo non viene riconosciuta (o lo è molto a fatica) come fenomeno unitario. La sensazione è quella di un “nuovo disordine mondiale” che assomma fenomeni assai diversi fra loro: rivolte urbane e guerriglie rurali, crisi finanziarie e crisi dell’economia reale, instabilità politica e reazioni culturali. E proprio sulle reazioni culturali vorremmo soffermarci.

Con grande sicumera, l’Occidente ha intrapreso la via della globalizzazione come processo di assimilazione a sé del resto del mondo. La “grande Europa” (quella che, oltre che all’Europa propriamente detta, comprende anche le Americhe e l’Oceania, continenti cristiani e dove si parlano lingue europee) ha pensato di poter parlare al mondo senza ascoltare, di poter insegnare la via della modernità e del progresso e che gli altri dovessero limitarsi a copiare il perfetto modello della “Grande Europa”. Ci sono stati due grandi monumenti intellettuali a questa insipienza eurocentrica: “La fine della storia e l’ultimo uomo” di Francis Fukuyama e “L’Impero” di Toni Negri. Già Samuel Huntington fu più accorto e comprese subito che, per gli altri, “modernizzazione” non faceva rima con “occidentalizzazione” e abbozzò una strategia che, pur sempre funzionale al dominio americano, aveva però il pregio di un maggiore realismo.

Oggi siamo di fronte a una rivolta contro la globalizzazione neoliberista che assume forme diversissime fra loro ma che, alla base, esprime lo stesso rigetto nei confronti di questo progetto di appiattimento universale: le proteste nelle metropoli capitalistiche, o nelle loro immediate periferie, (da Ows ad Atene, dagli Indignados alla rivolta elettorale “populista” che si avvicina, dal malessere dei ceti medi alle rivolte degli immigrati) contestano l’ipercapitalismo finanziario che è il motore di questo progetto. Le rivolte arabe e il parallelo fenomeno fondamentalista descrivono una dialettica diversa ma comunque di resistenza all’invasività del modello occidentale. I massacri di cristiani segnalano l’odio verso quella religione, che è vista come propria dell’Occidente e della sua volontà di annientare le altre culture.

La violenta campagna anti-gay in Russia, in Africa in alcuni paesi asiatici, proprio nel momento in cui in Occidente si parla di matrimoni gay, sembra una aperta rivolta contro un modello culturale che va molto al di là della specifica questione gay. L’evoluzione aggressiva della politica estera cinese manifesta una crescente insofferenza verso il predominio occidentale negli organismi internazionali. Persino nella singola vicenda dei marò italiani in India è difficile non scorgere un certo livore antieuropeo. La “grande Europa” (o meglio, l’asse euro-americano) non è più in grado di dettare legge al mondo, ma non lo ha ancora capito. Intanto monta una rivolta dai mille volti che presto potrebbe diventare una tempesta senza precedenti.

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