Fonte: No a la mina
http://comune-info.net
22 maggio 2014

Decostruendo i miti del capitalismo
di Marta Pascual Rodríguez 
Traduzione di Daniela Cavallo

Se chiedessimo alla Terra qual è il significato della parola “povertà” non ci risponderebbe parlando di indicatori monetari né fornirebbe dati sulle persone che vivono con meno di un dollaro al giorno. Ci mostrerebbe, probabilmente, foreste distrutte, animali in fuga, fiumi asciutti, specie estinte, popolazioni costrette a migrare alla ricerca di acqua o in fuga da inondazioni. L’eliminazione della povertà non può non comportare una riduzione drastica dei livelli di devastazione e consumo perpetrati da buona parte della popolazione del nord del mondo. Combattere la ricchezza, intesa nel senso economico del termine, quello che presuppone furto e spreco, è molto più urgente e più efficace dell’ipotetica e sempre fallimentare lotta alla povertà

La lotta contro la povertà è un obiettivo ricorrente in molte dichiarazioni pubbliche. Tra i risultati che si prefigge, c’è una consistente riduzione del numero di persone che vive con meno di un dollaro al giorno o che non ha accesso all’acqua potabile o all’elettricità. In queste dichiarazioni si dimentica tuttavia che le risorse della Terra –un pianeta limitato in quanto a materie – non solo sono distribuite in modo non equo ma anche che stanno subendo danni forse irreversibili. In un pianeta che da decenni ha superato la sua capacità di far fronte agli elevati ritmi di sfruttamento delle risorse, appare evidente che gli smisurati livelli di consumo di una parte della popolazione ha come effetto quello di impedire, al resto della popolazione, di poter disporre di beni e risorse basilari. Le riflessioni sulla povertà e sulle strategie da attuare per poterla combattere, non possono quindi prescindere da questa constatazione.  

La costruzione della scarsità di risorse

La limitatezza delle risorse e il rischio della loro insufficienza, è sempre stata una costante della vita umana. Solitamente, le culture di sussistenza, conoscitrici dei processi vitali, assumevano, usavano e ottimizzavano queste risorse limitate in modo da poter assicurare la sopravvivenza propria e quella delle generazioni future. Per secoli hanno vissuto seguendo questo principio.

Le popolazioni ancestrali, pur possedendo poco, non si consideravano povere [1]. Essendo la scarsità di risorse il risultato del rapporto tra i fini che perseguiamo e i mezzi di cui disponiamo per conseguirli, le popolazioni con finalità “umili” e scarso interesse all’accumulazione di beni e risorse, riuscivano a vivere con il necessario anche in periodi di abbondanza.

La povertà volontaria, la vita “umile” o la sobrietà nei consumi, non erano quindi situazioni disprezzate o temute. Anzi, in alcuni contesti culturali e religiosi, venivano considerate come una forma di equilibrio o di virtù.  Non sono lontani i tempi in cui la povertà non veniva considerata una situazione di degrado. Uno stato che non va confuso con quello di miseria, intesa come grave mancanza di beni e risorse indispensabili per garantire la sopravvivenza stessa.

E’ chiaro che nella storia si trovano esempi di ambizione e desiderio di accumulazione di beni e risorse ma mai con una connotazione etica così positiva come ai giorni nostri. Le culture ancestrali accumulavano per poter far fronte a periodi di penuria. Per molte di esse, l’autorità morale del capo, si basava sulla sua generosità verso la popolazione e quindi l’accantonamento di beni che gli consentiva tale generosità, era un mezzo per mantenere il suo status.

La situazione oggi è ben diversa. La parte ricca del mondo e una parte di quella che non lo è vive tra l’insoddisfazione cronica e il sogno di possedere il superfluo.  Carica di proprietà – in alcuni casi – ma ancora più carica del desiderio di consumo, quella parte del mondo è più vicina alla percezione della scarsità di risorse di quanto non lo fossero i suoi lontani antenati. Contemporaneamente, e con un’intensità mai vista, un’altra parte enorme e crescente di umanità soffre di una carenza materiale tale da metterne a rischio la salute e la stessa vita.

La mancanza di risorse, sia quella relativa che quella assoluta, è pertanto un risultato al quale si giunge attraverso sentieri diversi.

Uno di questi è l’accaparramento, un meccanismo attraverso il quale alcune persone si appropriano di un bene che prima apparteneva alla collettività in misura maggiore a quello che spetta loro. In questo modo, il bene diventa inaccessibile per altra gente. La privatizzazione di beni comuni, un meccanismo di accaparramento tra i più antichi, è quindi una delle cause che portano alla scarsità di risorse.

Un altro meccanismo per la istituzionalizzazione di tale scarsità è quello di tagliare l’accesso a determinate risorse con qualche mezzo.  Il mercato è la via “oggettiva” che si colloca tra le persone e le risorse rendendo difficile l’accesso a determinati beni. L’attribuzione di un valore monetario a un crescente numero di beni e servizi è uno strumento che causa scarsità di risorse.

Un terzo meccanismo, non nuovo ma che si è generalizzato nel capitalismo del dopoguerra, consiste nel trasformare determinati beni di consumo in status-symbol a condizione che il loro accesso sia limitato (un certo tipo di abiti, automobili, viaggi ecc). Nel momento in cui il consumo di questi determinati prodotti si diffonde in maniera generalizzata, essi perdono la caratteristica di status-symbol. Ne vengono quindi individuati altri che li sostituiranno nella loro funzione simbolica inducendo così nuova insoddisfazione. In questo caso l’aumento della produzione non consente di eliminare la sensazione soggettiva di mancanza di risorse. Ne consegue che in questo modo aumentano sia la percezione soggettiva di povertà sia la povertà oggettiva, dovuta alla crescente difficoltà di accesso ai beni di prima necessità, mentre si facilita l’accesso ai beni superflui.

Un tempo povero e bisognoso erano sinonimi. Oggi la società del consumo ha trasformato tutti in bisognosi [2]. E continuiamo ad inseguire il consumo di beni indicatori di status come se questa continua ricerca verso l’alto potesse continuare all’infinito.

A questi meccanismi di creazione della scarsità di risorse se ne aggiunge uno nuovo: il deterioramento delle risorse naturali, indispensabili alla vita, e la crescente difficoltà ad accedere ai beni primari come l’acqua potabile, il cibo, la terra fertile o l’aria pulita. Questa difficoltà provoca la migrazione forzata della popolazione dalle terre che abita. Questo fenomeno si era già verificato in altre forme, come l’ appropriazione da parte di grandi proprietari di terreni agricoli o con un ricco sottosuolo oppure la meccanizzazione dell’agricoltura.

Oggi, a questi meccanismi che provocano impoverimento, se ne aggiungono altri: il divieto di usare sementi autoctone, la deforestazione e la conseguente erosione del suolo, il prosciugamento delle falde acquifere, l’uso dei pesticidi che avvelena le terre, la distruzione della biodiversità, l’uso dei terreni come discariche di rifiuti, il cambiamento climatico… Il degrado ambientale provoca una scarsità di risorse essenziale che rende difficile la possibilità di continuare a vivere in determinate aree geografiche. Le migrazioni sono spesso causate da queste gravi situazioni ambientali e, in una certa misura, alla ricerca dei livelli di consumo esibiti dai paesi ricchi.

Nelle grandi città, destinazione finale di questa moltitudine di persone espulse e costrette a migrare, l’economia di mercato è l’unico modo consentito per poter provvedere ai bisogni fondamentali. La povertà urbana, specialmente nelle villas miserias, è resa più desolante per la vicinanza dello spettacolo offerto dall’eccesso di consumo e per l’inaccessibilità ai beni primari e alle reti sociali di assistenza. Lo smantellamento dei sistemi di aiuto reciproco e l’impossibilità di accesso a terreni produttivi, provocano una crescente dipendenza dall’economia di mercato e il conseguente rischio di indigenza. Tuttavia è importante ricordare che “la gente non muore per mancanza di denaro, bensì per mancanza di risorse” [3]. Nel caso delle donne, frequentemente escluse dai lavori retribuiti ed allontanate dalla terra, con la responsabilità di crescere i figli e di assistere i membri più deboli della famiglia, la scarsità di risorse, se possibile, si moltiplica..

Quest’ultimo meccanismo di creazione della scarsità di risorse necessarie alla vita, a differenza dei precedenti, non aumenta l’abbondanza assoluta nel gruppo più potente, bensì la relativizza. In ogni caso riduce, anche se con modi e tempi diversi, la possibilità per tutta la specie umana di avere un futuro.

La povertà è povertà del pianeta

Se chiedessimo alla Terra il significato della parola povertà, non parlerebbe di indicatori monetari né farebbe il conto di quanti vivono con meno di un dollaro al giorno. Probabilmente, per darci una risposta, ci mostrerebbe vaste foreste distrutte, animali in fuga, fiumi asciutti, specie estinte, popolazioni costrette a migrare  alla ricerca di acqua o in fuga dalle inondazioni, culture che con la crescente urbanizzazione hanno perduto un senso….un mondo dove un gran numero di persone sono state separate dalle risorse che consentivano la loro sopravvivenza e sono state costrette a trasferirsi in spazi urbani sovraffollati, dove l’accesso alle risorse  primarie  passa attraverso la mediazione del mercato e quindi del denaro. Un mondo in cui le economie di sussistenza vengono sovrastate, cacciate, delegittimate o rese illegali.

La Terra ci offrirebbe probabilmente un’immagine di diversi tipi di povertà tra loro collegate e interconnesse: la distruzione della vegetazione che provoca povertà di risorse per gli animali, gli uomini, per l’atmosfera nonché scarsità di risorse idriche. Ci parlerebbe  di come dimentichiamo l’interdipendenza esistente tra ogni aspetto dell’ambiente e di come abbiamo distrutto interi ecosistemi; punterebbe il dito verso gli esseri umani –alcuni esseri umani- indicandoli come primi artefici di questa devastazione.

Vista la complessità del concetto, forse conviene fare una distinzione tra due termini simili ma con significato molto diverso: povertà e miseria. [4]  Povertà si riferisce alla difficoltà di accesso ai consumi non necessari o superflui, mantenendo la possibilità di accedere ai beni primari e necessari alla vita. Nelle economie di sussistenza, integrate nel territorio, la povertà non è percepita come una disgrazia, bensì come un modo di vivere semplice e sobrio in un ambiente che ha le sue regole. Vandana Shiva ci ricorda che i piani per lo “sviluppo” e la lotta alla povertà, hanno eliminato la “povertà” nel Sud (dell’India, ndt), ma hanno creato “miseria”, ossia hanno indotto le persone ad inseguire stili di vita che comportano contemporaneamente consumo di beni superflui e mancanza di beni primari. Questa distinzione tra povertà (vita semplice) e miseria (grave carenza di beni primari)   è fondamentale in quanto evidenzia la differenza esistente tra uno stile di vita sobrio e allo stesso tempo sostenibile per il pianeta ed uno stile di vita eticamente insostenibile.

Da questa prospettiva più ampia, possiamo provare a formulare una possibile definizione di povertà, che forse si potrebbe già chiamare miseria: povertà come risultato  del furto delle risorse naturali che quindi impedisce la sopravvivenza di una comunità nel proprio territorio. Tanto nel nord come nel sud del mondo, miseria significa esproprio e privazione del controllo sulle risorse e di conseguenza impossibilità di organizzare e mantenere una forma comunitaria di vita.

Siamo indissolubilmente legati al nostro pianeta. I problemi dell’ambiente sono problemi socio-ecologici così come i problemi sociali sono problemi socio-ambientali [5]. Debito ecologico, ecologia dei poveri, giustizia ambientale, rifugiati ecologici, conflitti ecologico-distributivi, sono alcuni termini che indicano i diversi aspetti dei conflitti che traggono origine dal mancato rispetto e riconoscimento dell’interconnessione esistente tra gli esseri umani e l’ecosistema di cui sono parte. Queste lotte mostrano come la miseria umana e quella del resto della biosfera siano connesse.

Se osserviamo la natura, un esempio di impresa di successo nel tempo, vedremo come gli ecosistemi non  hanno mai effettuato super-accumulazioni squilibrate per garantirsi la sopravvivenza, hanno provveduto invece a mantenere una diversità e un equilibrio che gli ha consentito di affrontare in modo sinergico eventuali alterazioni ambientali. Il funzionamento della natura si basa sulla virtù dell’equilibrio. La natura “sa” che al di sopra di una certa soglia, il più si trasforma in meno e, al di sotto di esso, la scarsità diventa abbondanza. Il principio “di più è meglio” che è base fondante dell’accumulazione nell’economia di mercato, si dimostra non solo dannoso in un sistema limitato ma anche radicalmente scorretto e nocivo.

La lotta contro la ricchezza

Curiosamente, le riflessioni sulla riduzione della povertà non sono mai messe in relazione con le riflessioni sulla ricchezza. I termini comparativi per definire la prima (meno del 50% o del 25% del reddito nazionale) non portano mai a proposte che riguardino interventi sulla ricchezza. Le ONG, i programmi locali e gli organismi internazionali hanno la pretesa di realizzare interventi per la riduzione della povertà senza però scalfire i livelli di ricchezza monetaria. Questa è sempre stata la formula promossa dagli stati del welfare.

A seguito di questo modo di intendere l’equilibrio solo con l’innalzamento verso l’alto del tenore di vita, la lotta contro la povertà si è incentrata su strategie volte a garantire un “minimo” (salario minimo, reddito minimo, copertura sanitaria, pensione minima) con la pretesa di consentire alla popolazione il raggiungimento di una determinata soglia di consumo.

Questa pretesa eternamente incompiuta che intende far sì che la ricchezza venga estesa in modo generale, implica la presunzione di vivere in un mondo con risorse infinite, con una tecnologia onnipotente, pieno di buoni propositi, in cui tutti gli esseri umani potranno raggiungere e soddisfare alti livelli di consumo.

Tuttavia, in un mondo “pieno”, in cui la capacità della Terra di far fronte alla continua e crescente richiesta di risorse è stata ormai superata da anni [6];  in un mondo in cui non è garantita la sovranità alimentare alla maggioranza della popolazione, dove le risorse fondamentali come l’aria pulita o l’acqua potabile cominciano a scarseggiare ed è in forse la sopravvivenza delle generazioni future, non è più ammissibile sostenere questa pretesa di arricchimento.

Pare evidente dunque che l’eliminazione della povertà non è possibile senza intaccare in forma radicale gli alti livelli di devastazione dell’ambiente e di consumo effettuati da buona parte della popolazione del nord del mondo. La lotta contro la ricchezza intesa nel suo significato economico  che presuppone furto e spreco, appare pertanto molto più urgente ed efficace della presunta e sempre fallimentare lotta contro la povertà.

Dal punto di vista di un’analisi ecologista e dalla considerazione di un pianeta con risorse che hanno un limite ormai già raggiunto, risulta irresponsabile pretendere che una parte della popolazione aumenti il livello di consumo di beni del resto fondamentali senza considerare la necessità di una diminuzione radicale dei livelli di consumo dell’altra parte di popolazione che impone la sua impronta ecologica ben al di là dei suoi confini.

Detto altrimenti, nella lotta alla povertà è necessario far interagire le strategie di “minimo” con le strategie di “massimo”. Immaginiamo delle politiche che presuppongano un limite e definiscano una soglia massima nell’uso di determinate risorse, politiche “del massimo” che fissino un limite al consumo di acqua, di energia, di reddito….Non è facile immaginare pratiche di questo tipo in un mondo governato dall’economia di mercato e dal capitalismo, che guarda con orrore  qualsiasi regolamentazione dei livelli di consumo. Tuttavia questa potrebbe essere l’unica proposta onesta ed efficace nei confronti di coloro che stanno soffrendo, o che domani soffriranno, la miseria e di tutta la popolazione del pianeta.

Questo articolo è stato scritto da Marta Pascual Rodríguez di Ecologistas en Acción nel 2006 ma mantiene del tutto inalterata la sua utilità e attualità  

Note


[1] SAHLINS, Marshall, Economía de la edad de piedra, Madrid, Akal, 1977


[2] NAREDO, José Manuel, “Sobre pobres y necesitados” en RIECHMANN, J., Necesitar, desear, vivir, Madrid, Los Libros de la Catarata, 1998


[3] SHIVA, Vandana, Abrazar la vida, Madrid, Horas y Horas, 1995


[4] SHIVA, Vandana, Abrazar la vida, Horas y Horas, Madrid, 1995


[5] MARTÍNEZ ALLIER, Joan, El ecologismo de los pobres, Icaria, Barcelona, 2005


[6] RIECHMANN, Jorge, Biomímesis, Catarata, Madrid, 2006

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