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Venerdì, 07 Novembre 2014

Arabia Saudita: attivista arrestata per un tweet sulla barba di Maometto
di Marco Casario

Arrestata per un tweet considerato blasfemo. E’ successo all’attivista Suad Al Shammari, cofondatrice del ‘Saudi Liberals Group’ assieme con Raef Badawi il quale sta già scontando una pena di sette anni con l'accusa di aver creato un sito web che mina la sicurezza pubblica e che ridicolizza esponenti religiosi (rischia la pena di morte). L’arresto di Al Shammari fa seguito alla denuncia formale alle autorità, da parte di esponenti religiosi sauditi, di un suo tweet sulla ‘barba musulmana’, considerato offensivo per l’Islam e per il profeta Maometto.

La barba di Maometto e degli infedeli



Tutto è cominciato un anno fa per una disputa che verteva sul dovere o meno dei musulmani di portare la barba lunga, una consuetudine che distinguerebbe i musulmani dai ‘kuffar’, gli infedeli. Ma in un tweet pubblicato l’anno scorso Suad Al Shammari sconfessava l’unicità della ‘barba musulmana’, affermando, a riprova della sua affermazione, che anche “atei, ebrei e comunisti in passato e anche attualmente hanno la barba e anche Abu Jahl (leader politeista avversario di Maometto ndr) ha una barba più lunga di quella del Profeta Maometto". Il tweet ha immediatamente provocato la reazione veemente delle autorità religiose che hanno chiesto ed ottenuto di processarla per le sue dichiarazioni considerate lesive della religione islamica. Secondo fonti locali dopo il tweet si è mossa anche una Commissione religiosa di sostegno al Profeta Maometto che ha fatto pressione affinché le autorità delle telecomunicazioni provedessero alla sospensione del suo account twitter (cosa che però non è avvenuta). L’attivista si è difesa affermando che le sue osservazioni sono solo improntate al buon senso e non ad un sentimento anti-islamico.



Critica dell’ipocrisia religiosa e difesa dei diritti delle donne



La goccia che ha fatto traboccare il vaso però è stata la foto postata su twitter di un uomo che bacia la mano di un dignitario musulmano dalla barba lunga. Nel commento alla foto Suad affermava: “Notare la vanità e l’orgoglio sul suo viso quando trova uno schiavo a baciare la sua mano”. In un altro tweet Suad denunciava di essere stata definita “immorale ed infedele soltanto per aver criticato i loro sceicchi”. Recentemente Suad aveva preso le difese di due donne che erano state arrestate dalla polizia religiosa soltanto per aver preso un taxi guidato da un uomo. Suad s’era anche appellata al re Abdullah ed al ministro degli interni saudita per chiedere la loro liberazione.



Oltre 30.000 prigionieri politici dietro le sbarre



Ma l’arresto di Suad Al Shammari è soltanto la punta dell’iceberg. Secondo le stime fornite dagli attivisti sauditi e citate da Amnesty International ci sono oltre trentamila prigionieri politici rinchiusi nelle carceri saudite, trattati dalle autorità come delinquenti e picchiati. Tra i detenuti eccellenti anche Waleed Abu al-Khair, responsabile dell’associazione che monitora i diritti umani in Arabia Saudita, la MHRSA. Waleed Abu al-Khair, per il quale attivisti di tutto il mondo si sono mossi con una campagna sui social per chiederne la liberazione, è stato recentemente trasferito alla prigione di al-Malaz a Riyadh che si trova a ben 960 chilometri da dove la sua famiglia vive, a Jeddah. 
 
Un rapporto intitolato “l’ACPRA d’Arabia Saudita: come il regno zittisce i suoi attivisti” traccia il profilo di una delle rare organizzazioni indipendenti sorte in difesa dei diritti umani, l’Associazione Saudita dei Diritti Civili e Politici (ACPRA). Ben undici membri di quest’associazione sono attualmente dietro le sbarre per le proprie attività di militantismo in favore dei diritti umani e dei diritti delle donne tra i quali i fondatori Mohammad al-Qahtani e Abdullah al-Hamid, condannati rispettivamente a dieci e undici anni di prigione nel Marzo del 2013. Anche Fadhel Maki al Manasif, membro fondatore del centro Adala per i Diritti Umani è in prigione dall’Ottobre del 2011. Secondo Said Boumedouha, direttore aggiunto del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty, le autorità saudite sono riuscite a consolidare il proprio potere attraverso una campagna sistematica di persecuzione di tutti gli attivisti e oppositori. Lo scopo era quello di stroncare sul nascere le critiche alle autorità saudite sorte sulla scia delle rivolte arabe del 2011. 

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