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04/04/2014

L’austerity che uccide
di Nicoletta Dentico

L’austerità uccide, e non è una metafora. Negli ultimi anni la crescita delle disuguaglianze tra paesi europei e all’interno di uno stesso paese, in termini di salute e di speranza di vita, è divenuta esponenziale. Aumentano disturbi mentali e depressione, ma anche i suicidi associati alla perdita di lavoro

Si discetta da tempo, nei circoli dell’Europa che conta, sul sismico effetto socio-economico provocato della crisi finanziaria, responsabile del repentino abbassamento della marea dell’economia che tante barche porta con sé, facendo innalzare solo i livelli della disoccupazione, soprattutto fra i giovani. In molti continuano a ignorare invece le impietose conseguenze che questo intreccio di crisi determina sulla salute delle persone. Conseguenze esacerbate dalle riforme dello stato sociale e dai tagli alla spesa pubblica imposte dalla cosiddetta troika e adottate dai governi europei proprio nel momento in cui i loro cittadini avevano più bisogno del welfare.

L’austerità uccide, e non è una metafora. Lo documenta l’analisi di David Stuckler e Sanjay Basu (The Body Economic: Why Austerity Kills), forte di dati epidemiologici raccolti in tutto il mondo. Negli ultimi anni la crescita delle disuguaglianze tra paesi europei e all’interno di uno stesso paese, in termini di salute e di speranza di vita, è divenuta esponenziale.

Mentre spuntano le prime commissioni parlamentari d’inchiesta per valutare l’impatto delle riforme sulla povertà (in Inghilterra), emergono anche i primi numeri reali del disastro. Un complesso caleidoscopio in cui dominano i disturbi mentali e la depressione, il vertiginoso aumento di comportamenti nocivi alla salute (alcolismo e tabagismo), per non parlare dell’incremento dei suicidi associato alla perdita del lavoro un picco nel 2009 e 2010 solo la punta dell’iceberg di un disagio radicato nella vecchia Europa, man mano che il Pil crollava (del 4,5% nel solo 2009) e subentravano i tagli alla spesa sanitaria per metà dei paesi europei, anche i più colpiti dalla crisi (Irlanda, Portogallo, Spagna, Italia).

Un recente studio di Lancet riporta dati inquietanti sulla Grecia, al sesto anno consecutivo di contrazione economica. L’aumento di mortalità (oltre 2000 pazienti in più) registrato nel 2011-2012 tra la popolazione greca over 55 dà il senso patologico delle politiche che fanno impennare il numero delle persone senza copertura e impongono una drastica limitazione d’accesso ai servizi sanitari. Un rapporto di Medici del Mondo della fine 2013 indica che più di tre milioni di greci, il 27,2% della popolazione, non riesce più a pagare i contributi e si trova fuori dal sistema sanitario. La situazione è particolarmente difficile per i malati cronici, ma non meno trascurabile per i bambini, che perdono l’accesso al programma nazionale di vaccinazioni se i loro genitori sono disoccupati da oltre un anno. Il Centro ellenico per il controllo e la prevenzione delle malattie segnala un incremento del 21% dei bambini morti alla nascita, il ritorno della malaria e del virus Western Nile dal 2010; inoltre, allerta sulla recrudescenza dell’Hiv dovuta al collasso di ogni programma di assistenza per i tossicodipendenti.

Il catalogo degli orrori potrebbe continuare a lungo. La tragedia greca è contagiosa e lambisce ben altri contesti. Come la Germania del crescente numero dei senza casa (attualmente 265 mila), tra cui una maggioranza di persone con elevato livello di istruzione e molte donne. Oppure l’Inghilterra della riforma del welfare voluta da Cameron come una «moral mission», che alimenta la nascita di un nuovo mercato intorno ai bisogni sociali del paese ma si abbatte come una scure sulle persone disabili, il 4% dei poveri. Il think tank indipendente Demos parla di tagli fino al 13%, una perdita di 28,3 milioni di sterline entro il 2017-18.

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