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Ven 24 Gennaio 2014 00:00

Il capitalismo reale
di Michele Paris

Mentre l’élite parassitaria del pianeta si apprestava a riunirsi nell’annuale conferenza del World Economic Forum a Davos, in Svizzera, uno studio di un’organizzazione umanitaria britannica ha messo in evidenza le sbalorditive disuguaglianze che caratterizzano la distribuzione dei redditi nel sistema capitalistico mondiale. Secondo Oxfam, cioè, le 85 persone più ricche del pianeta sono giunte oggi a possedere beni pari a quelli della metà più povera della popolazione della terra, vale a dire 3,5 miliardi di persone.

Questo ristrettissimo gruppo di plutocrati rappresenta una minima parte dell’1% della popolazione mondiale più facoltosa, la quale a sua volta si appropria del 46% della ricchezza globale, ovvero 110 mila miliardi di dollari. Per comprendere ancora meglio la totale irrazionalità dell’intero sistema, questa distribuzione si traduce in una realtà nella quale lo stesso 1% detiene una ricchezza - rigorosamente intoccabile - 65 volte superiore a quella complessiva della metà più povera della popolazione terrestre.

A fronte della retorica vomitata quotidianamente dalle classi politiche di molti paesi, a cominciare dall’amministrazione Obama negli Stati Uniti, che promettono iniziative per ridurre le disuguaglianze sociali e di reddito, in questi anni la ricchezza prodotta è stata diretta pressoché interamente verso il vertice della piramide sociale.

Infatti, come mette in risalto lo studio di Oxfam, in relazione agli USA, l’1% della popolazione ha beneficiato addirittura del 95% della ricchezza creata dal 2009 ad oggi, mentre il 90% degli americani ha dovuto passare attraverso un processo di impoverimento. Complessivamente, il solito 1% del totale ha potuto incrementare i propri averi del 150% tra il 1980 e il 2012, grazie a politiche ideate e messe in atto appositamente a questo scopo da tutti i governi succedutisi al potere.

A livello globale, nonostante l’abbondanza delle risorse disponibili, oltre un miliardo di persone deve sopravvivere con meno di un dollaro al giorno, mentre più di tre miliardi non superano i 2,5 dollari. In concomitanza con la pubblicazione del rapporto Oxfam, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) ha a sua volta aggiunto i propri numeri alla drammatica situazione planetaria, affermando che i disoccupati nel mondo sono aumentati di altri 5 milioni nel solo 2013 e che le prospettive non saranno migliori per l’anno appena iniziato.

Queste tendenze sono dovute in primo luogo alla finanziarizzazione delle economie soprattutto occidentali, nelle quali la creazione di ricchezza è sempre più svincolata dalla produzione di beni, essendo legata prevalentemente alla speculazione finanziaria.

Il trasferimento di ricchezze dalle classi più povere a quelle più ricche è anche il risultato di altre politiche deliberate come quelle a cui si è assistito ovunque dopo l’esplosione della crisi nel 2008, fatte di austerity, compressione dei salari e dei diritti dei lavoratori, licenziamenti, smantellamento del welfare, ma anche di salvataggi pubblici degli istituti finanziari e immissione sui mercati di quantità enormi di denaro da parte delle varie banche centrali.

In questo scenario, appare quanto meno paradossale che l’evento di Davos - dove, sborsando circa 40 mila dollari ciascuno, sono presenti alcuni dei principali responsabili della situazione dipinta da Oxfam - abbia tra i suoi argomenti centrali di discussione proprio le crescenti ineguaglianze sociali.

Nella località sulle Alpi svizzere, piuttosto, l’élite mondiale sta celebrando un’annata caratterizzata da profitti record per le corporations e dai livelli senza precedenti raggiunti da molti indici di borsa. Secondo i resoconti dei media, a Davos sono presenti quest’anno 80 miliardari e centinaia di milionari che, tra un party e l’altro, prenderanno parte a workshop e seminari su vari argomenti, dal presunto “ritorno” dell’Unione Europea alle strategie per migliorare la “competitività” di aziende e paesi.

Tra il compiacimento e le espressioni di approvazione reciproca per avere ingigantito i propri patrimoni, la conferenza del World Economic Forum è però attraversata anche quest’anno da una diffusa sensazione di precarietà e, soprattutto, di terrore per le conseguenze sociali provocate dalla devastazione causata in questi anni.

L’appuntamento di Davos si era infatti aperto con un rapporto sui rischi per il pianeta o, meglio, per l’oligarchia che controlla ovunque le leve del potere. Il primo dei rischi identificati, in maniera più che appropriata, è apparso essere appunto la disparità nella distribuzione delle ricchezze, con riferimenti allarmati alle rivoluzioni di Egitto e Tunisia del 2011.

L’economista del World Economic Forum, Jennifer Blanke, ha tenuto a ricordare che “il malcontento può portare alla dissoluzione dell’edificio sociale, specialmente quando i giovani sentono di non avere alcun futuro”.

Ad unirsi al coro delle voci preoccupate per le esplosioni sociali causate dalle differenze di reddito sono stati in molti alla vigilia di Davos, compreso Papa Francesco, allineandosi sostanzialmente alla vuota retorica del presidente Obama che in queste settimane si sta proponendo come paladino della lotta alle disuguaglianze dopo cinque anni trascorsi ad adoperarsi per l’obiettivo esattamente contrario.

Le proposte che emergeranno a Davos, così come quelle dello stesso Obama o del resto della classe politica mondiale, non avranno tuttavia nulla a che vedere con iniziative di autentica riforma sociale per rimediare anche in parte alle colossali disparità economiche.

Ciò che uscirà dal World Economic Forum saranno tutt’al più le consuete esortazioni ad abbassare le tasse sulle grandi aziende o a liquidare le rimanenti regolamentazioni che ostacolerebbero la crescita del settore privato, senza dimenticare l’impegno a ridurre ulteriormente la spesa e il debito pubblico dei vari paesi.

Tutte parole in codice insomma che, dietro l’apparente scrupolo egualitario, nascondono sempre e comunque politiche volte unicamente a favorire l’élite economico-finanziaria globale a discapito del resto della popolazione.

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