fonte: la Jornada
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25 ottobre 2014

Gli Stati non garantiscono i diritti umani
di Raúl Zibechi

Gli anni delle dittature militari in America Latina sono lontani, molti governi sono guidati da forze progressiste, eppure le minacce ai diritti umani, e alla vita stessa, inondano le cronache di ogni giorno. Il massacro dei ragazzi di Ayotzinapa, nel Messico “democratico”, lo mostra con evidenza: l’indecente collusione tra Stato e criminalità impone una riflessione sull’importanza del ritiro di una delega costata già troppo dolore. Ricordando gli anni del terrore, Raúl Zibechi invita a non aver fiducia nella protezione degli Stati: anche se ci sono governi che dicono di voler difendere i diritti umani, nessuno lo farà meglio delle reti e delle organizzazioni popolari. Non è solo una questione di giustizia, è in gioco la vita di troppe persone.

In un qualche momento della storia recente, abbiamo smantellato le nostre capacità di auto-protezione collettiva per consegnarle alle istituzioni statali, confidando nella loro capacità di regolazione. Un’illusione ottica con gravi conseguenze. Abbiamo scambiato i poteri che stanno in basso per i diritti che stanno in alto.

Sotto il regime di Pinochet (1973-1990), l’auto-protezione collettiva poggiava sulle reti formali e informali dei settori popolari che facevano riferimento, tra le altre cose, alla Vicaria della Solidarietà (1), per nascondere perseguitati, procurare loro documenti, farli uscire dal paese e sostenerne i familiari. Oppure per denunciare le torture e le sparizioni, sollevando un muro di solidarietà di fronte al genocidio militare.

Sotto la dittatura militare argentina (1976-1983), le Madri di Plaza de Mayo, le parrocchie, le diocesi e un piccolo gruppo di altre persone hanno fatto un lavoro simile, concorrendo a porre un freno al delirio genocida attraverso la denuncia delle sparizioni e l’appoggio ai perseguitati e ai prigionieri. Hanno contribuito così a ridurre i dolori della repressione, non solo attraverso la denuncia ma con il silenzioso e vitale sostegno alle vittime.

All’apice del terrore della repressione, è stato l’impero, attraverso l’amministrazione Carter, a sollevare la bandiera dei diritti umani, come nuovo asse della sua politica estera. Il suo obiettivo era smantellarci, distruggere le nostre reti, per continuare a fare quello che gli pareva. Nulla di quanto abbiamo detto comporta il negare l’importanza dei diritti umani. Tutto il contrario. Si tratta di de-statalizzarli, di assumerli collettivamente, di smettere di confidare nel fatto che gli Stati facciano qualcosa per noi.

Voglio fare un esempio, polemico ma reale. In Argentina i governi di Carlos Menem (1989-1999) si sono caratterizzati per le privatizzazioni selvagge delle imprese statali, per gli indulti ai militari, per una politica economica aspramente neoliberista e per una forte repressione della protesta sociale. In sintesi, governi antipopolari e repressivi.

I governi di Néstor Kirchner e Cristina Fernández, dal 2003 a oggi, sono stati in qualche modo la faccia opposta al menemismo. Hanno ricollocato lo Stato nell’economia e nella società, hanno sviluppato politiche sociali e salariali progressiste, hanno innalzato la bandiera dei diritti umani tanto a livello simbolico come materiale, hanno smantellato alcune cupole militari e della polizia, hanno sostenuto le organizzazioni dei diritti umani e si sono impegnati a evitare la repressione della protesta sociale.

Nel decennio di Menem c’è stata una media di 61 morti l’anno a causa della repressione poliziesca-statale. Nel decennio progressista i morti l’anno sono stati 240, secondo i dati del Coordinamento contro la repressione della polizia e istituzionale (Correpi). Come si spiega? Come può essere che il “grilletto facile” e le morti sotto la custodia della polizia siano quattro volte maggiori con i governi progressisti che con il duro neoliberismo?

Riporto questi dati perché intendo evitare conclusioni semplicistiche. Credo sinceramente che i governi di Kirchner y Fernández si siano impegnati nella difesa dei diritti umani, per quante critiche si possano fare loro su altri terreni. Voglio dire che l’aumento degli omicidi della polizia non ha una relazione meccanica con l’atteggiamento del governo, né con l’ampliamento dei diritti negli ultimi anni. Secondo la mia opinione, ci sono tre ragioni di peso che lo spiegano.

La prima è la continuità del modello estrattivista che genera esclusione e marginalità. Lo sviluppo industriale, dal decennio del 1940, promuoveva l’integrazione dei lavoratori, l’inclusione delle loro famiglie attraverso l’accesso all’educazione, alla salute e all’abitazione, e una progressiva concessione di diritti basici. Al contrario, dalla de-industrializzazione degli anni Novanta (iniziata in realtà dalla dittatura) nulla è tornato a essere uguale.

Il modello attuale è veramente incapace di promuovere l’inclusione e i diritti. Dove c’era una scuola pubblica per tutti, si promuove un’educazione a due velocità: una per coloro che possono pagare e un’altra per i poveri che si ammucchiano nelle scuole di bassa qualità. Lo stesso capita con la sanità, il lavoro, l’abitazione. Una realtà che le politiche pubbliche non possono mitigare.

La seconda questione è in relazione con l’autonomia degli apparati repressivi, in sostanza delle polizie, come è risultato evidente nel dicembre del 2013 quando a Córdoba si arrivò allo sciopero della polizia. Gli uomini in divisa, conniventi con il crimine organizzato, “liberarono” intere zone lasciando gli abitanti alla mercé dei gruppi armati. Un messaggio mafioso al potere politico provinciale che, di fronte al ricatto, ritornò indietro.

I poliziotti di molte province hanno strette relazioni con i narcotrafficanti e altre mafie, dalle quali ottengono una parte sostanziale delle loro entrate. L’autonomia delle polizie, simbolo dell’impotenza dei governi, non si limita solo a questa istituzione.

In terzo luogo, di fronte a ogni ondata di lotta popolare c’è stata una crescita della repressione. Nel 1989 avvenne il primo salto post dittatura, quando quelli che stanno in basso hanno occupato le strade di fronte all’iper-inflazione. La crisi del 2001 ha fatto registrare la maggior crescita di omicidi della polizia. Le cifre non sono più tornate ai livelli precedenti, nonostante la politica kirchnerista di non reprimere la protesta.

Secondo il Centro di Studi Legali e Sociali, presieduto da Horacio Verbistky, vicino al governo, si registra “un’involuzione della risposta dello Stato di fronte alla protesta sociale”, dopo anni nei quali c’è stato “un maggiore governo politico delle forze”. Il Centro segnala un “problema strutturale” nelle forze della repressione che si traduce in “pratiche che violano i diritti”.

Sembra evidente che non dobbiamo aver fiducia nella protezione da parte degli Stati. Anche se ci sono governi che si propongono di difendere i diritti umani, nessuno lo farà meglio delle reti e delle organizzazioni popolari. Non è solo una questione di giustizia. Bisogna difendere la vita.

Nota

(1)  Fu il cardinale Raúl Silva Henríquez, arcivescovo di Santiago durante la breve esperienza di Salvador Allende e nei primi 10 anni della dittatura. che fondò la «Vicaria della solidarietà» (Vicaria de la solidaridad)5, espressione della sola Chiesa cattolica. Questa concentrò il proprio lavoro su due aree: la difesa dei diritti umani e la loro promozione, compiti assolti con la concretezza che l’urgenza storica esigeva. Nel primo numero di quello che in seguito diventerà un rapporto mensile, la Vicaria scriveva: «È evidente che in un paese non possono sparire persone. (…) Il Governo ha l’obbligo pubblico di dare una risposta circa la situazione degli “scomparsi”». E nel paragrafo seguente: «La tortura esiste ed è deplorevole per il nostro paese»6. L’ultimo responsabile dell’organizzazione fu mons. Sergio Valech, che la guidò fino alla sua chiusura, nel 1992

Titolo originale: Los estados no son garantes de los derechos humanos

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