Hillary Clinton ed il suo clan da quale banca dipendono? Ritorna un nome familiare: Goldman Sachs. La superbanca multinazionale aveva già finanziato nel 1992 la vittoriosa campagna elettorale presidenziale di Bill Clinton; ed in effetti Robert Rubin, dirigente di Goldman Sachs, era poi diventato ministro del Tesoro dell’amministrazione Clinton. Il legame tra il clan dei Clinton e Goldman Sachs è stato consacrato anche da un matrimonio dinastico. Una figlia dei Clinton, Chelsea, ha infatti sposato un altro dirigente di Goldman Sachs, il pregiudicato per frode bancaria Marc Mezvinsky.

Fonti: Vineyardsaker   
Firstlook
http://www.controinformazione.info/
19 Nov 2014

Paul Craig Roberts e Glenn Greenwald hanno ragione: Hillary è davvero pericolosa
di The Saker

Traduzione di Anacronista.org

Ho appena letto l’articolo di Paul Craig Roberts: Next-presidential-election nel quale cita un articolo di Glenn Greenwald: firstlook.org/theintercept (tradotto qui sotto -ndt).

Entrambi gli autori concordano che la possibilità che la Clinton diventi presidentessa degli Stati Unit i è una brutta notizia, Roberts menziona addirittura il rischio di guerra.

Purtroppo devo essere d’accordo con loro. Hillary è la quintessenza di tutto quanto c’è di sbagliato negli USA, e dopo la presidenza assolutamente disastrosa di Barak Obama avrà molto da dimostrare a se stessa e alle lobby a cui risponde (descritte da Greenwald nel suo articolo). Non ripeterò gli argomenti dei due analisti; mi limito ad aggiungere che sono assolutamente convinto che Hillary sia sia abbastanza delirante che arrogante per credere di poter fare la prepotente con la Russia, anche con l’uso della forza militare. Al costo di sembrarvi un po’ ingenuo, aggiungo anche che penso sia una persona semplicemente malvagia.

Il problema ovviamente è che la Russia non cederà. Non per questioni che sono per essa di chiara importanza strategica, esistenziale. Ciò include sicuramente il futuro dell’Ucraina. Temo che gli USA penseranno a un confronto militare con la Russia come al gioco del coniglio, mentre per la Russia sarà una questione di sopravvivenza. Sappiamo tutti come può finire.

Due forze potrebbero, forse, impedire una guerra: un’ipotetica parte dell’1% elitario che potrebbe rendersi conto di quanto gli USA rischierebbero in tale guerra, e il capo di stato maggiore dell’esercito. Questi, oppure una crisi interna che sottraesse abbastanza energia al governo federale da renderlo incapace di perseguire politiche imperiali all’estero.
In ogni caso, devo dire che guardo al futuro con un bel po’ di ansia.

Cinici, fatevi da parte: c’è eccitazione genuina per la candidatura di Hillary Clinton

Di Glenn Greenwald

E’ facile fare i cinici quando si considera l’inevitabile (e purtroppo imminente) campagna presidenziale di Hillary Clinton. Da una veterana dei giochi di potere di Washington squallidamente senz’anima, priva di principii, assetata di potere qual è, è il politico americano più banale che possa esserci. Uno dei suoi pochi aspetti unici, forse il solo, sta nel modo in cui la prima presidenza femminile verrà sfruttata (seguendo il modello di Obama) per oscurare il suo ruolo di guardiana dello status quo.
Che Hillary sia la beneficiaria di una successione dinastica la rende ancora più invitante per un mix di noia e disprezzo. Le decine di milioni di dollari che i Clinton hanno “guadagnato” con la loro celebrità politica (washingtonpost.com/politics/how-the-clintons-went-from-dead-broke-to-rich-bill-earned-1049-million-for-speeches) in gran parte parlando ai globalisti, gruppi industriali, fondi avvoltoio e altre appendici di Wall Street che avrebbero il maggiore interesse nella presidenza di lei, rendono lo spettacolo molto più deprimente (la probabile candidata è raffigurata nella foto sopra con l’AD di Goldman Sachs Lloyd Blankfein a un evento di settembre).

Ma non dovremmo essere così cinici. C’è un’intensa e genuina eccitazione alla prospettiva di (un’altra) presidenza Clinton. Molte importanti fazioni americane considerano la sua elevazione all’Ufficio Ovale come un’opportunità per il ringiovanimento, un entusiasmante simbolo di speranza e cambiamento, il veicolo per vitali avanzamenti politici. Quelle sempre più eccitate fazioni includono:
Wall Street


Tratto da Politico Magazine dell’11 novembre 2014 (Perché Wall Street ama Hillary):

“Giù a Wall Street non credono alla retorica populista della Clinton neanche per un minuto. Mentre l’industria finanziaria effettivamente odia Warren, i grandi banchieri amano la Clinton e in linea di massima la vogliono a tutti i costi come presidente. Molti tra i ricchi e potenti dell’industria finanziaria (tra cui l’AD di Goldman Sachs Lloyd Blankfein, l’AD di Morgan Stanley James Gorman, il potente vice-presidente di Morgan Stanley Tom Nides e i capi di JPMorganChase e Bank of America) considerano la Clinton una pragmatica risolutrice di problemi poco propensa alla retorica populista. Per loro è una che ha l’idea che tutti beneficiamo se Wall Street e il business americano prosperano. Che dire delle sue incursioni nell’ardente retorica? Nessuno di loro pensa che lei faccia sul serio con il suo populismo.
Sebbene Hillary Clinton non abbia annunciato formalmente la sua candidatura, l’opinione di Wall Street è che sia in lizza (e con decisione) e che la sua organizzazione nazionale stia rapidamente prendendo posizione dietro le quinte. Tutto ciò la rende attraente. Wall Street, soprattutto, ama i vincitori, tanto più quelli che difficilmente toccheranno troppo il suo salvadanaio. [...]”

La lobby israeliana

Tratto da Foreign Policy del 7 novembre 2014 (Hillary andrebbe bene per la Terra Santa? di Aaron David Miller):
“Se dovesse diventare presidente, rapporti migliori con Israele sarebbero praticamente garantiti… Non dimentichiamo che i Clinton hanno trattato con Bibi primo ministro. Non è mai stato facile, ma chiaramente era molto più produttivo di quanto vediamo adesso… Per dirla in modo semplice, Hillary è buona per Israele e si relaziona al paese in un modo in cui questo presidente non fa… Hillary è di un’altra generazione e ha lavorato in un mondo politico in cui essere buoni per Israele era sia obbligatorio che intelligente.

Siamo chiari: quando si tratta di Israele, non esiste un Bill Clinton 2.0. L’ex presidente è probabilmente unico per la profondità dei suoi sentimenti per Israele e la sua disponibilità a mettere da parte le proprie frustrazioni per certi aspetti del comportamento di Israele, come gli insediamenti. Ma questa intesa vale anche per Hillary. Sia Bill che Hillary sono così innamorati dell’idea di Israele e della sua storia unica che sono propensi a fare certe concessioni sul comportamento del paese, come la continua costruzione di insediamenti.”


Gli interventisti (ovvero i fanatici della guerra)

Tratto dal New York Times del 15 giugno 2014 (Gli avvenimenti in Iraq aprono la porta per un revival degli interventisti, afferma uno storico):
“Ma l’esempio migliore per quella che Robert Kagan descrive come la sua visione “convenzionale” della forza americana è il suo rapporto con l’ex segretaria di stato Hillary Rodham Clinton, che resta il veicolo nel quale molti interventisti stanno riponendo le loro speranze. [...]
‘Mi sento a mio agio con lei in politica estera’ ha affermato il sig. Kagan, aggiungendo che il prossimo passo dopo l’approccio più realista di Obama ‘potrebbe in teoria essere qualsiasi cosa Hillary porti in tavola’ se eletta alla presidenza. ‘Se perseguirà la politica che noi crediamo perseguirà’, ha aggiunto, ‘è qualcosa che si potrebbe chiamare neoconservatrice, ma chiaramente i suoi sostenitori non la definiranno così; la chiameranno in modo diverso.

I neo-con della vecchia scuola

Tratto dal New York Times del 5 luglio 2014 (Il prossimo atto dei neocon: … pronti ad allearsi con Hillary Clinton? di Jacob Heilbrunn):
“Dopo quasi un decennio di esilio politico, il movimento neo-conservatore è tornato… Mentre castigano Obama, i neo-con forse si stanno preparando per un’impresa più sfrontata: allinearsi con Hillary Rodham Clinton e la sua nascente campagna presidenziale, nel tentativo di tornare al posto di comando della politica estera americana…
Altri neo-con hanno seguito il prudente centrismo e rispetto di Robert Kagan per la signora Clinton. Max Boot, membro anziano al Council on Foreign Relations, quest’anno ha notato ne La Nuova Repubblica che ‘nei consigli dell’amministrazione Hillary era una voce di principio per una posizione forte su questioni controverse, che fosse a supporto dell’insorgenza afghana o dell’intervento in Libia.’
E il fatto è che questi neo-con hanno ragione. La signora Clinton ha votato per la guerra in Iraq; supportato l’invio di armi ai ribelli siriani; paragonato il presidente russo Putin ad Adolf Hitler; supporta appassionatamente Israele; e sottolinea l’importanza di promuovere la democrazia.

E’ facile immaginare che la signora Clinton nella sua amministrazione farà spazio ai neo-con. Nessuno la potrebbe incolpare di essere debole nella sicurezza nazionale con uno come Robert Kagan a bordo… Lungi dall’essere finita, dunque, l’odissea neo-con sta per continuare. Nel 1972 Robert L. Bartley, editorialista del Wall Street Journal e uomo che appoggiò i primi sostenitori neo-con, definì acutamente il movimento come ‘un gruppo altalenante tra i due maggiori partiti’. Nonostante le battaglie tra partiti dei primi anni 2000, è notevole quanto poco sia cambiato.”

Perciò beccatevi questo, cinici. Ci sono sacche di vibrante eccitazione politica che si stanno entusiasmando nel paese per una presidenza di Hillary Clinton. Si fanno poster, si attaccano distintivi, si preparano assegni, si bramano appuntamenti. I costituenti uniti, alleati, sinergici della plutocrazia e della guerra senza fine hanno la loro beneamata candidata. Ed è davvero difficile argomentare che la loro eccitazione ed affetto non siano giustificati.

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