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20 Feb 2014

Bianchi contro rossi, cosa succede in Venezuela
di Paolo Manzo

Il paese ormai è diviso a metà, i cortei governativi e anti-governativi si equivalgono. Ma il presidente Maduro ha scelto di non trattare, arrestando il leader di uno dei partiti d'opposizione, Leopoldo López

Per l’ideologo del “socialismo del XXI secolo” e consigliere di Hugo Chávez sino al 2007, il sociologo tedesco-messicano Heinz Dieterich, «se il presidente venezuelano Nicolás Maduro non aprirà ad un governo di sicurezza nazionale» la situazione in Venezuela è destinata ad «avviarsi verso una sorta di guerra civile» dalle imprevedibili conseguenze. Una “ucrainizzazione” in salsa caraibica, insomma.

Il concetto espresso da questo sociologo di sinistra della scuola di Brema – che di tutto può essere accusato meno che di “fascismo” o “golpismo” (qui l’intervista concessa lo scorso 14 febbraio alla Cnn in lingua spagnola) – oggi appare più che mai azzeccata. Perché nonostante le centinaia di migliaia di venezuelani che hanno lasciato il paese – rimpiazzati negli anni del chavismo da altrettanti “naturalizzati”, provenienti soprattutto da Colombia ed Ecuador, anti-bolivariani i primi, bolivariani i secondi – oggi la crisi economica e la violenza endemica ha ridotto il numero dei supporter della revolución. I due “fronti”, polarizzati più che mai, si equivalgono.

Gli scaffali vuoti

Quando nei Pdval e nei Mercal, i supermercati del popolo inventati da El Comandante, le file aumentano e scarseggiano beni primari, quando nelle Missiones, le opere sociali create dal chavismo nelle zone più povere di Caracas, iniziano a finire i fondi, e quando i “banditi motorizzati” e le gang obbligano chi vive al Guarataro, quartiere popolare e feudo chavista della capitale, a chiamare amici per sapere se una strada è “transitabile” 500 metri più in là, allora ben si capisce che, anche chi ama Chávez, qualche domanda insistente sulle capacità di Maduro comincia a farsela.

Anche perché l’inflazione vola e, si sa, i primi a subire le conseguenze dell’incremento dei prezzi sono i più poveri, che vivono di un salario il cui valore si erode, settimana dopo settimana. Con un’inflazione ufficiale del 56 per cento, la più alta al mondo, la situazione è sempre più difficile, anche per la classe media. Con il petrolio che si vende praticamente solo ai tanto vituperati ed insultati yankee (che nei suoi primi dieci mesi di presidenza Maduro ha accusato ben otto volte di altrettanti tentativi di golpe contro di lui) mentre il resto lo si regala o viene usato per lo scambio merci, scarseggiano i soldi anche per aiutare le classi più povere.

Il tentativo di controllare i prezzi per frenare l’inflazione da parte del governo, dulcis in fundo, ha portato alla scarsità di prodotti di consumo base e oggi molte industrie private che c’erano prima hanno chiuso, altre sono state nazionalizzate con esiti produttivi assai deludenti mentre chi ha potuto ha trasferito all’estero l’azienda.

Con il controllo ferreo dello stato sul mercato del cambio, sempre meno compagnie aeree volano oggi su Maiquetía per la mancanza di dollari – dieci hanno lasciato l’aeroporto internazionale della capitale negli ultimi mesi – mentre l’unico altro fattore che non accenna a diminuire oltre ai prezzi e alla violenza è la corruzione dilagante che ha favorito solo alcuni, lasciando tutti gli altri “a bocca asciutta”. Anche molti chavisti della prima ora e, ultimamente, anche alcuni di quelli che solo un anno fa votarono Maduro, cominciano a rendersene conto.

La linea dura di Maduro

Dall’inizio di febbraio, agli studenti che hanno iniziato a marciare per chiedere più sicurezza, meno violenza, più soldi alle università, il governo non ha saputo dare una risposta, se non accusandoli di essere “golpisti”, “fascisti” ed arrestandone a decine negli stati di Tachira e Merida.

Di lì in poi la situazione non ha fatto che precipitare e Maduro non ha ascoltato i consigli di “apertura” fatti da Dieterich. Invece di dare mandato ai chavisti dialoganti di coinvolgere l’opposizione più moderata rappresentata da Capriles in un governo di unità nazionale, ha preferito arrestare Leopoldo López, il leader di Voluntad Popular, il quarto partito per importanza della Mud, la Tavola di Unione Democratica che lo scorso anno ha unito per la prima volta la ventina di partiti d’opposizione.

López – una vecchia conoscenza del Meeting di Rimini cui è stato invitato in passato come oratore – è stato arrestato per una sfilza interminabile di reati, compresi quelli di “terrorismo, omicidio ed istigazione al crimine”. In realtà l’unica sua colpa è stata di avere guidato la manifestazione studentesca di mercoledì scorso, ritirandosi dalla strada ed invitando tutti a fare lo stesso molto prima dell’inizio dei disordini durante i quali cecchini e motociclisti armati hanno ucciso tre persone.

Nicolás Maduro, il presidente venezuelano, ha definito ieri per l’ennesima volta López un “fascista” a reti unificate mentre, già oggi, López potrebbe essere condannato a 30 anni di carcere (ma anche liberato, solo Dio e Maduro lo sanno).

Violenza e propaganda

Le due manifestazioni che martedì hanno riempito le strade di Caracas – una spontanea che riuniva gli studenti per chiedere la liberazione di decine di loro compagni ancora dietro le sbarre, l’altra convocata dal governo e con in prima fila i 50mila dipendenti della Pdvsa, l’azienda petrolifera di stato, trasportati in piazza da bus statali – mostravano a chi le seguiva dal vivo una realtà sorprendente: gli studenti erano almeno tanti quanti i supporter di Maduro.

Peccato che, su tutte le tv del Venezuela, le telecamere che mostravano il “popolo in bianco” fossero posizionate basse, in una zona periferica della marcia, mentre quelle del “popolo in rosso” erano molto “strette” e “alte”.

Dettagli che fanno concludere che, da oggi in poi, nonostante le 19 elezioni tenutesi negli ultimi 16 anni, sarebbe forse più opportuno definire il governo venezuelano un regime. Già perché come definire altrimenti un esecutivo che chiude Ntn24, l’unica tv che stava trasmettendo la marcia del 12 febbraio ignorata da tutti gli altri media, che pone una stretta d’acciaio sui giornali non allineati ai quali viene impedita l’importazione della carta, che minaccia l’Afp, la “manipolatrice” agenzia di notizie francese, che intimorisce i pochi inviati stranieri indipendenti mandando di notte nei loro hotel la Guardia Nazionale Bolivariana per sapere il numero delle loro stanze e che fa sfondare le porte delle sedi dei partiti d’opposizione a sgherri pistola in pugno senza nome (è successo l’altroieri a Voluntad Popular)?

Per Telesur e le tv che si possono vedere in Venezuela invece non ci sono dubbi: è in corso un “colpo di stato” della destra fascista appoggiata dall’Impero yankee, l’unico che paga in dollari sonanti il petrolio, i principali importatori di greggio venezuelano al di là delle parole. I fatti di cronaca dicono altro e parlano di una violenza senza freni (25mila morti l’anno), di un’economia in ginocchio, di scaffali vuoti nei supermercati e di sempre meno soldi per le Missiones, le opere sociali per i poveri, il più grande merito di Chávez.

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