L'Huffington Post
14/11/2014

Il Cairo nel mirino di Isis. Le cellule qaediste del Sinai con i salafiti della Striscia di Gaza per il Califfato d'Egitto
di Umberto De Giovannangeli

Al Cairo è scattato l’allarme rosso. Così pure a Tel Aviv. Un incubo si sta materializzando: la costituzione di uno “Stato Islamico” a Gaza e nel Sinai egiziano. Una proiezione devastante del “Califfato” instaurato dal “redivivo” Abu Bakr al-Baghdadi sulla dorsale iracheno-siriana Mosul-Aleppo. Le cellule qaediste operanti nel Sinai si saldano con i gruppi salafiti operanti nella Striscia, fuori dal controllo di Hamas.

Nei giorni scorsi, almeno 5 militari egiziani sono morti in due diversi attacchi nel nord del Sinai. Tre soldati sono stati uccisi a colpi d'arma da fuoco in un agguato al minibus sul quale viaggiavano a Sheikh Zweid. Due soldati di leva della polizia sono invece stati uccisi nel villaggio di Yamit vicino a Rafah, al confine con la Striscia di Gaza. La “guerra del Sinai” è iniziata. La posta in gioco è altissima. E riguarda non solo i fragili equilibri di un Medio Oriente in fiamme, ma anche la credibilità interna e internazionale dell’uomo forte del Cairo: il presidente-generale Abdel Fattah al-Sisi. È stato lui a decidere il pugno di ferro, lo stato d'emergenza nel Sinai dopo che in un duplice attentato sono stati uccisi 30 soldati, l'evento più sanguinoso nella penisola dalla deposizione il 3 luglio 2013 del predecessore, Mohammed Morsi. La misura è entrata in vigore alle 5 di mattina del 25 ottobre e avrà una durata di tre mesi. Ma lo stato d’emergenza non ha fermato la mano delle milizie che agiscono in quel deserto trasformatosi di fatto in una esplosiva “terra di nessuno”. Una terra dove imperversano bande di beduini che agiscono in combutta con i trafficanti di esseri umani.

L’inferno del Sinai è anche questo: dal 2009, oltre 15mila africani sono stati rapiti nel “deserto maledetto”, e almeno 3mila sarebbero morti di stenti, violenze e torture. Sudanesi, eritrei e somali in fuga da guerre, pulizie etniche, miseria. Una fuga finita nella tragedia. Oggi il Sinai è un campo di battaglia dove esercito e jihadisti si affrontano sanguinosamente. Ogni centimetro della penisola è terreno di scontro, in particolare i luoghi pubblici e le sedi delle forze dell’ordine. Tra i gruppi jihadisti più attivi spiccano al Salafiyya Jihadiyya, e Ansar al-Jihad. Ma in cima alla lista, quanto a pericolosità , addestramento e mezzi a disposizione, c’è Ansar Bayt al Maqdis (Abm) noto anche Ansar Jerusalem, gruppo che nelle scorse settimane ha annunciato la propria adesione all’Esercito del “Califfo Ibrahim”: "Dopo esserci affidati a Dio, abbiamo deciso di stringere alleanza con l'emiro Abu Bakr al-Baghdadi, califfo dei musulmani in Siria, in Iraq e in altri Paesi'', si legge nel comunicato diffuso dal gruppo jihadista, lo stesso che lo scorso 28 agosto aveva pubblicato su Twitter un filmato in cui vengono decapitati quattro egiziani accusati di essere spie del Mossad israeliano. Fedeltà, dunque, a colui che ha solennemente proclamato: “Portate la Jihad in Egitto”.

Fondata ufficialmente nel 2011, Ansar Jerusalem agisce in una regione di grande rilevanza strategica: a Nord Est, infatti, ci sono i tunnel dei traffici illeciti verso Rafah, Nella Striscia di Gaza, a Ovest c’è il Canale di Suez, snodo marittimo cruciale per il passaggio di mercantili e petroliere. che operano tra il Mar Rosso e Israele, “Quello lanciato da al-Baghdadi E’ un appello che non va sottovalutato – dice all’Huffington Post Nabil el Fattah, già direttore del Centro di Studi Strategici di Al-Ahram del Cairo, uno dei più autorevoli studiosi arabi dell'Islam radicale armato. – perché, soprattutto dopo la messa al bando dei Fratelli Musulmani, i settori più radicali dell’integralismo salafita si sono avvicinati all’Isis, non solo andando a combattere in Iraq e Siria ma anche rilanciando l’azione armata nel Sinai e compiendo attacchi terroristici anche al Cairo”. Rilancia Alex Fishman, analista strategico di Yediot Ahronot, il più diffuso quotidiano israeliano: “La Penisola del Sinai è diventata una regione sotto il controllo di una delle più grandi e potenti holding criminali”. In particolare, il Sinai settentrionale e centrale è controllato da tribù beduine che negli ultimi anni s sono trasformate in un cartello criminale sotto ogni punto di vista. Dietro pagamento, sono pronte a compiere attacchi contro Israele, contro l’Egitto o contro chiunque altro. Non c’è traffico illegale – di armi, merci, droga, persone, che non passi attraverso questo cartello.

Non basta. Sul sito La tribuna dell’informazione jihadista, l’Isis ha anche pubblicato il vademecum degli obiettivi da colpire da parte dei loro adepti o neo affiliati egiziani: “Bisogna trasferire la lotta nel centro del Cairo e gli attacchi devono raggiungere Sharm el Sheikh, basta con il divertimento dei turisti stranieri ed ebrei…”. Secondo i miliziani “il regime non si interessa alle vittime uccise nel Sinai tanto quanto quelle morte nella capitale”, e dunque la lotta andrebbe spostata al Cairo. Ed ancora: “Colpite anche l’economica egiziana perché i capitali appartengono ai copti, il turismo, i gasdotti e il canale di Suez". Infine la minaccia contro "le spie che collaborano con la sicurezza e le forze armate". Per quanto riguarda le "spie", i jihadisti si spingono sino al punto di consigliare come farle fuori: "Non sprecate i proiettili per ucciderle, ma sgozzatele".

Non solo Ansar Jerusalem. Altri gruppi jihadisti egiziani hanno abbracciato la causa del “Califfo Ibrahim”. “Colpiremo i seguaci della Croce e gli interessi americani”. E’ la minaccia lanciata dal neonato gruppo Jund al Khilafah Kinana (I soldati del Califfo in Egitto) che annuncia, il 6 ottobre scorso, la sua costituzione ed esalta l’alleanza con lo Stato islamico. Il presidente al-Sisi ha fatto della sicurezza uno dei pilastri della sua presidenza, oltre al rilancio di una disastrata economia. Ma le notizie che giungono dal Sinai, e non solo da lì, danno conto di un fronte jihadista che continua a rafforzarsi. E a colpire. La trincea egiziana si salda con quella di Gaza. Come già anticipato dall’HuffPost, per i servizi segreti interni di Israele, i miliziani Isis operanti nella sola Striscia di Gaza sarebbero almeno 600, fonti vicine a Fatah della al-Azhar Unversity di Gaza li quantificano in 4000-5000 membri, suddivisi in 350 cellule che rispondono ad un comando unificato.

Tra i gruppi più attivi, confluiti nelle fila dell’Is-Palestina, c’è Tawhid wa al-Jihad (Monoteismo e Jihad), che ha rivendicato l’uccisione (15 aprile 2011) del cooperante e attivista per i diritti umani italiano Vittorio Arrigoni. L’emergere drammatico e apparentemente vittorioso dello Stato Islamico ridefinisce, in termini nuovi e potenzialmente ancor più destabilizzanti, lo stesso conflitto israelo-palestinese. Il califfato islamico nel cuore d’Israele. Il disegno di Osama bin Laden realizzato dal suo non meno ambizioso e agguerrito erede al-Baghdadi. La roccaforte più pericolosa dell’Is-Palestina è Rafah, nell’area meridionale della Striscia di Gaza, da anni ormai culla dell’estremismo radicale armato palestinese. Proprio qui sono comparsi i primi ritratti di al-Baghdadi e nella moschea di Ibn-Taymiyah, cinque anni fa prese la parola Abdul-Latif Moussa, meglio conosciuto nel mondo jihadista come Abu al-Noor, uno degli ispiratori del “Califfo Ibrahim”.

A lanciare un grido d’allarme è anche un uomo che ha passato la sua vita a combattere i nemici d’Israele: l’ex capo del Mossad , Efraim Halevy: “Hamas è sicuramente un pessimo interlocutore ma attorno c’è molto di peggio” – ha dichiarato l’ex capo del Mossad, che ha aggiunto: “Mi sto riferendo ai movimenti jihadisti che stanno sconvolgendo tutto il vicino mondo islamico. Già sappiamo cosa potrebbero fare alcuni di loro. Soprattutto uno di loro, l’Isis. che ha già i suoi tentacoli nella Striscia di Gaza”. “Tentacoli” che ora potrebbero congiungersi con quelli che crescono nel Sinai egiziano.

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