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25 luglio 2014

Perchè Israele ha rifiutato la tregua proposta da Kerry
di Maurizio Debanne

Netanyahu vuole maggiori e precise garanzie sullo smantellamento dei tunnel nella Striscia e sul disarmo dei razzi di Hamas. Il segretario di stato americano: Continueremo a trattare»

La tregua non c’è. Nemmeno quella umanitaria. Ma «noi continueremo ad incontrarci» perché questa è «una tragedia terribile». Il segretario di stato americano, John Kerry, è convinto che la sua opera di mediazione, in collaborazione con le Nazioni Unite, l’Egitto e il Qatar, riuscirà prima o poi a «colmare il divario» tra le parti. Sta di fatto che la diplomazia non ha ancora fermato la guerra di Gaza che ha causato la morte di oltre 800 palestinesi e 35 israeliani. La svolta non è avvenuta nemmeno nel giorno in cui gli scontri hanno cominciato a contagiare anche Gerusalemme Est e la Cisgiordania.

A sorpresa Kerry ha dovuto incassare il rifiuto unanime del governo israeliano alla sua proposta di tregua. I ministri dello stato ebraico non chiudono definitivamente le porte al dialogo, ma sarebbero impegnati a «incrementare» la bozza di testo con maggiori e precise garanzie sullo smantellamento dei tunnel nella Striscia di Gaza e sul disarmo dei razzi di Hamas.

Il piano di Kerry prevede lo spostamento della partita tra Hamas e Israele dal piano militare di Gaza a quello politico del Cairo, dove si dovrebbero tenere le trattative al fine di raggiungere un accordo duraturo. Durante i negoziati le armi dovrebbero tacere per l’entrata in vigore di un cessate il fuoco umanitario. Israele avrebbe chiesto a Kerry di poter continuare a smantellare i tunnel durante le negoziazioni, un punto questo fondamentale per molti ministri israeliani, sul quale Netanyahu non se l’è sentita di forzare la mano. Il premier israeliano deve, infatti, guardarsi anche dal fuoco amico. Da settimane parla con il ministro degli esteri Avigdor Lieberman solo quando è davvero necessario. Tra di loro il rapporto si è talmente incrinato che qualche commentatore politico ha perfino azzardato l’ipotesi di una futura sfida dei due per il governo.
Netanyahu ha al suo fianco il ministro della difesa, Moshe Ya’alon, del Likud (un falco a parole, pragmatico nei fatti) e il ministro della giustizia Tzipi Livni. Solo loro due hanno avuto in questi giorni libero accesso all’ufficio del premier. In particolare, Netanyahu ha collaborato strettamente con Livni che ha alle spalle due esperienze di negoziati per un cessate il fuoco, uno alla fine della guerra in Libano del 2006 e l’altro dopo l’operazione «Piombo Fuso» a Gaza nel 2009.

Quanto ad Hamas non sembra nelle condizioni di porre un nuovo rifiuto. Il movimento islamista avrebbe ottenuto dagli egiziani garanzie sul rilascio dei detenuti e sul fatto che i negoziati al Cairo verteranno su questioni concrete. Più di ciò, al momento, non gli è dato ottenere.

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