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4/08/2014

Israele-Hamas, cosa sappiamo dei negoziati in corso

Dopo il fallimento delle prime trattative, emerge il ruolo del Presidente palestinese Mahmoud Abbas

Il quadro


L’8 luglio 2014, con il richiamo dei riservisti da parte di Israele, inizia l’operazione militare israeliana Protective Edge, Margine di sicurezza. Dopo dieci giorni di raid aerei sulla Striscia di Gaza, Israele avvia una offensiva di terra: è la sera del 17 luglio 2014. Il premier Benjamin Netanyahu giustifica l’invasione della Striscia con l’obiettivo di distruggere i tunnel sotterranei che attraversano il confine tra Gaza e Israele e costituiscono una minaccia, dice, alla sicurezza di Tel Aviv. Il 3 agosto 2014, Netanyahu annuncia l’inizio del ritiro delle truppe di terra dalla Striscia di Gaza, ma non la fine dei combattimenti.

Chi partecipa ai negoziati e cosa chiede

- Israele. Vuole il disarmo di Hamas e la distruzione dei tunnel sotterranei.

- Il Presidente palestinese Mahmoud Abbas (noto anche come Abu Mazen).

Inieme a Israele ed Egitto, l’Autorità palestinese rappresentata da Mahmud Abbas chiede la fine dei combattimenti e il disarmo di Hamas. Il Presidente Abbas sta acquisendo un ruolo centrale nei negoziati, secondo Haaretz. Dopo aver incontrato i leader di Egitto, Turchia e Qatar, Abbas sarebbe il nuovo referente per Israele, desideroso di isolare politicamente Hamas. Come scrive il giornalista della Stampa Maurizio Molinari, l’Egitto vorrebbe consegnare ad Abu Mazen, presidente palestinese, il controllo della Striscia di Gaza, governata dal 2006 da Hamas.

- Delegazioni di Hamas, Fatah, Islamic Jihad (organizzazione militante con base a Gaza), Fronte democratico per la liberazione della Palestina, Fronte popolare per la liberazione della Palestina. I rappresentanti delle organizzazioni palestinesi con base a Gaza sono concordi su un punto: chiedono la fine del blocco imposto da Israele a Gaza dal 2006. Il blocco prevede che Israele controlli tutte le merci e le persone in ingresso e in uscita dalla Striscia di Gaza. Secondo l’Onu, nel luglio 2013 Israele consentiva il passaggio dei confini solo a 200 persone al giorno (Il report dell’Onu sugli effetti economici e non del blocco di Gaza).

Il ruolo dell’Egitto

Il ruolo di mediazione dell’Egitto è reso necessario dal fatto che Israele non riconosce Hamas come negoziatore (per Tel Aviv è un gruppo terroristico). Anche Hamas non riconosce lo Stato di Israele e ha come obiettivo dichiarato la distruzione di Israele. Sia Israele che il Presidente palestinese Mahmud Abbas hanno recentemente affermato di riconoscere solo nell’Egitto un mediatore valido, escludendo dunque anche gli Usa e il Qatar.

L’Egitto ha rivestito il ruolo di mediatore già in passato. Grazie all’intervento di Hosni Mubarak nella crisi israelo-palestinese è stato raggiunto l’accordo del 2009, con l’aiuto di Mohammed Morsi quello del 2012.

Dopo la destituzione di Mohammed Morsi, presidente egiziano esponente dei Fratelli musulmani (cui Hamas appartiene), l'Egitto ha ritirato il sostegno ad Hamas e in questo nuovo conflitto ha assunto posizioni più filo-israeliane. Per questo, come spiega il Time, il neo-eletto Presidente egiziano al-Sisi si trova in una posizione delicata: riuscire a stringere un accordo tra Israele e Hamas gli procurerebbe il volto di nuovo eroe sia agli occhi occidentali che arabi. Ma se la trattativa andasse troppo a favore di Hamas, al-Sisi perderebbe consensi tra i suoi supporter egiziani. Per questo, secondo molti analisti, è difficile che l’Egitto riesca a trovare una soluzione al conflitto.  

Il silenzio degli Stati arabi
Come ha ricordato un recente articolo del New York Times, dopo la presa di potere del generale al-Sisi in Egitto e la deposizione dell’islamista Mohammed Morsi, l’Egitto ha assunto una posizione sempre più filo-israeliana. Insieme all’Egitto, ci sono anche Giordania, Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti.

Il frutto delle mediazioni dall’inizio delle operazioni ad oggi
Dall’8 luglio ad oggi ci sono stati quattro cessate il fuoco umanitari, tutti interrotti da un lancio di razzi da parte di Hamas prima dello scadere della tregua. L’ultimo è stato venerdì 1 agosto, dopo un accordo per un cessate il fuoco di 72 ore.

Le proposte

LA PROPOSTA EGIZIANA: il 15 luglio l’Egitto avanza una proposta di tregua. Prevede la cessazione immediata delle ostilità da entrambe le parti e la promessa da parte di Israele di non invadere via terra la Striscia di Gaza. Prevede l’apertura dei passaggi di frontiera e la libera circolazione delle merci una volta raggiunta la stabilità.

Israele accetta.. Hamas respinge. Le Brigate Ezzedine al Qassam, braccio armato di Hamas, la definiscono “una resa”. La tregua è respinta perché non prevede la revoca del blocco imposto a Gaza dal 2006, l’apertura del valico di frontiera di Rafah e il rilascio di tutti i prigionieri come previsto nell’accordo di scambio con il soldato israeliano Gilad Shalit (il testo integrale).

LA PROPOSTA USA-ONU: Il 25 luglio il Segretario di Stato Usa John Kerry, con il supporto del Segretario generale dell’Onu Ban ki-Moon, discute al Cairo la bozza di tregua. Propone un cessate il fuoco di sette giorni e l’avvio di negoziati per trovare un accordo definitivo (la proposta).

Israele rifiuta e si dice disponibile solo a un cessate il fuoco umanitario di mezza giornata nella Striscia di Gaza a partire dalle 8 alle 20 di sabato.

Anche Hamas rifiuta. Khaled Meshal, leader politico di Hamas, spiega le ragioni del rifiuto: non vogliamo una tregua in due fasi, spiega. Interromperemo le operazioni militari solo quando ci sarà un accordo definitivo che preveda anche la fine del blocco Israeliano su Gaza, dice. (la video intervista sulla Bbc).


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