The Electronic Intifada 
http://www.infopal.it
27/8/2014

Mi identifico con i giovani palestinesi
Adri Nieuwhof intervista Hajo Meyer
Traduzione di Edy Meroli

Hajo Meyer è sopravvissuto ad Auschwitz, consulente e difensore dei diritti umani in Svizzera. Autore del libro La fine del giudaismo, è nato a Bielefeld, in Germania, nel 1924. Nel 1939, a 14 anni scappò da solo in Olanda per sfuggire al regime nazista, e non poté frequentare la scuola. L’anno seguente, quando i tedeschi occuparono l’Olanda, visse in clandestinità con un documento d’identità malamente contraffatto. Meyer  fu catturato dalla Gestapo nel marzo 1944 e deportato nel campo di concentramento di Auschwitz la settimana dopo. E’ uno degli ultimi sopravvissuti di Auschwitz.

Adri Nieuwhof: Cosa vorrebbe dire per presentarsi ai lettori di Electronic Intifada ?

Hajo Meyer: Dovetti lasciare il liceo a Bielefeld dopo la Notte dei Cristalli [il pogrom di due giorni contro gli ebrei nella Germania nazista], del novembre 1938. Fu un’esperienza terribile per un ragazzino curioso e i suoi genitori. Pertanto, posso identificarmi completamente con i giovani palestinesi che subiscono restrizioni nell’istruzione. E non mi posso in alcun modo identificare con i criminali che rendono impossibile l’istruzione ai giovani palestinesi. 

AN: Cosa l’ha spinta a scrivere il libro, La fine del giudaismo?

HM: In passato, i media europei scrissero ampiamente dei politici di estrema destra come Joerg Haider in Austria e Jean-Marie Le Pen in Francia. Ma quando Ariel Sharon fu eletto [Primo Ministro] in Israele nel 2001, i media rimasero in silenzio. Ma nel 1980 capirono il pensiero profondamente fascista di questi politici. Con il libro ho voluto prendere le distanze da tutto questo. Sono cresciuto con l’eguaglianza di rapporti tra esseri umani nel giudaismo come valore fondamentale. Ho appreso del giudaismo nazionalista solamente quando ho sentito i coloni difendere, nelle interviste, le loro vessazioni contro i palestinesi.

Quando un editore mi ha chiesto di scrivere del mio passato, ho deciso di scrivere questo libro, in un certo senso, per affrontare il mio passato. Le persone di un gruppo che disumanizzano persone di un altro gruppo, lo possono fare o perché hanno imparato dai loro genitori, o perché è stato fatto loro il lavaggio del cervello dai leader politici. Questo è successo per decenni, in Israele, nel senso che manipolano l’Olocausto per i loro fini politici. A lungo andare il paese si sta distruggendo, portando i cittadini ebrei alla paranoia.

Nel 2005 [l'allora primo ministro Ariel] Sharon ha illustrato ciò dichiarando alla Knesset [il parlamento israeliano]: “Sappiamo che non possiamo fidarci di nessuno, possiamo fidarci solo di noi stessi”. Questa è la più breve definizione possibile di qualcuno che soffre di paranoia clinica. Una delle cose che mi dà più fastidio, è che Israele, con l’inganno, si definisce uno stato ebraico, mentre in realtà è sionista. Vuole il massimo del territorio con un numero minimo di palestinesi. Ho avuto 4 nonni ebrei. Sono ateo. Condivido l’eredità socio-culturale ebraica e ho imparato a conoscere l’etica ebraica. Non voglio essere rappresentato da uno stato sionista. Non hanno idea dell’Olocausto. Usano l’Olocausto per far crescere la paranoia nei loro figli.

AN: Nel suo libro, lei scrive delle lezioni che ha appreso dal suo passato. Può spiegare come il passato ha influenzato la sua percezione di Israele e Palestina?

HM: Non sono mai stato un sionista. Dopo la guerra, gli ebrei sionisti parlavano del miracolo di avere ”il nostro paese”. Da ateo convinto ho pensato, se questo è un miracolo di Dio, avrei voluto che avesse compiuto il più piccolo miracolo che si possa immaginare, creando lo stato 15 anni prima. Così i  miei genitori non sarebbero morti.

Posso scrivere una lista infinita di analogie tra la Germania nazista e Israele. L’acquisizione di terreni e di proprietà, il negare l’accesso all’istruzione e restringere la possibilità di guadagnarsi da vivere e distruggere la loro speranza, il tutto con lo scopo di cacciare la gente dalla propria terra. E quello che io personalmente trovo più sconvolgente: sporcarsi le mani uccidendo le persone. Ciò sta creando situazioni in cui le persone iniziano a uccidersi a vicenda. Quindi la distinzione tra vittime e colpevoli diventa debole. Seminando discordia in una situazione dove non c’è unità, ampliando il divario tra i popoli - come Israele sta facendo a Gaza.

AN: Nel suo libro lei scrive del ruolo degli ebrei nel movimento per la pace dentro e fuori Israele, e i refusenik dell’esercito israeliano. Come valuta il  loro contributo?

HM: Certo è positivo che parte della popolazione ebrea di Israele cerchi di vedere i palestinesi come esseri umani e come loro pari. Tuttavia, mi turba un po’  il numero che protesta ed è veramente anti-sionista. Siamo arrivati ad ottenere quello che è successo nella Germania di Hitler. Se si esprimeva un minimo accenno di critica all’epoca, si finiva nel campo di concentramento di Dachau. Se si esprimeva una critica, eri morto. Gli ebrei in Israele hanno diritti democratici. Possono protestare per le strade, ma non lo fanno.

AN: Può commentare la notizia che i ministri israeliani hanno approvato un progetto di legge che vieta la commemorazione della Nakba, o l’esproprio della Palestina storica? La legge propone pene fino a tre anni di carcere.

HM: E’ così razzista, così terribile. Sono a corto di parole. E’ l’espressione di quello che già sappiamo. [L'organizzazione israeliana commemorazione della Nakba] Zochrot è stata fondata per contrastare gli sforzi di Israele di spazzare via i segni che ricordano la vita palestinese. Per proibire ai palestinesi di commemorare pubblicamente la Nakba. Non possono agire in un modo più nazi-fascista. Forse aiuterà a svegliare il mondo.

AN: Quali sono i suoi progetti per il futuro?

HM: [Ride] Sai quanti anni ho? Ho quasi 85 anni. Dico sempre cinicamente e con autoironia che ho una scelta: o sono sempre stanco perché voglio fare così tanto, o mi siedo in attesa del tempo di morire. Beh, ho intenzione di essere stanco, perché ho ancora tanto da dire.

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