Now Lebanon
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18 luglio 2014

Gaza come Aleppo, Aleppo come Gaza
di Ziad Majed

Da giorni la morte cade copiosa dagli aerei sulla Striscia di Gaza, come è successo nel 2012 e nel 2008 e proprio come è caduta e continua a cadere da tre anni su Aleppo, sulla Ghuta, sul campo di Yarmuk, su Daraa, Homs, Saraqeb e sulle altre città e regioni siriane.

A uccidere nella Striscia di Gaza è l’occupazione israeliana che viola la convenzione di Ginevra e periodicamente approfitta di eventi transitori per oscurare una sola verità: il perdurare della sua occupazione della Striscia, da cui dal 2005 ha invece proclamato a parole il ritiro.

Perché dominare gli accessi, imporre un embargo e controllare lo spazio aereo e marino si definisce occupazione (con misure di sicurezza e amministrative diverse), e perché nel diritto internazionale non si può passare da uno stato di “occupazione” a un’altra condizione senza un accordo politico o diplomatico tra le parti coinvolte e senza la cessazione di tutte le operazioni militari dell’occupazione, che sono naturalmente numerose e non sono terminate.

A uccidere in Siria, invece, è l’occupazione asadiana che viola a sua volta la convenzione di Ginevra e dal 1970 tiene sotto scacco lo Stato e la società, e resiste a ogni tentativo per liberarli, trasformando il territorio siriano al di fuori del proprio controllo dall’inizio della rivoluzione nel 2011 in terra bruciata dove si seppelliscono migliaia di cittadini.

Ci troviamo dunque di fronte a due scenari, quello siriano e quello palestinese, nei quali cambiano gli aerei da guerra e dove zone abitate da civili vengono bombardate con missili o con barili esplosivi, con il pretesto che vi si nascondono “terroristi”. Così si distruggono le forme di vita e ogni giorno muoiono decine di persone.

In entrambi i casi la comunità internazionale sembra incapace di mettere immediatamente fine al massacro, sebbene si assista a un’attività e un impegno diplomatici maggiori nel caso palestinese, dovuti alla sua antecedenza temporale, alle esperienze lunghe e amare della Palestina, alle decisioni delle Nazioni Unite che la riguardano, tante delle quali attendono ancora di essere messe in atto.

Ma ci troviamo anche di fronte a due scenari, quello palestinese e quello siriano, nei quali si annullano le differenze tra la sofferenza dei bambini, delle donne e degli uomini, dove le vittime civili si assomigliano tra loro a prescindere dai numeri (perché la macchina di morte asadiana detiene “ancora” il primato). Quel che cambia è tuttavia il livello di solidarietà umana nei confronti delle due situazioni, perché nel caso siriano rimane circoscritto, mentre in quello palestinese raggiunge un grado accettabile.

Non mi riferisco qui alla solidarietà dell’opinione pubblica internazionale e dei Paesi arabi, perché si possono indagare a fondo le motivazioni del suo tentennamento nei confronti della Siria e del recente miglioramento nei confronti della Palestina. E non mi riferisco neppure a chi non ha manifestato una qualche difesa del regime di Asad, non ha accampato giustificazioni per i suoi crimini, non ha fatto ricorso ai complotti o ai timori, o a chi mette tutti sullo stesso piano o rivendica una scarsa conoscenza degli affari siriani così da potersi sottrarre a una presa di posizione politica e morale precisa. Questo tipo di persone probabilmente ha priorità e opzioni che non comprendono la Siria.

Mi riferisco invece qui a tutti gli attivisti delle reti di solidarietà della società civile, ai politici, agli scrittori e agli artisti che da anni sono rimasti in completo silenzio: il fatto che si siano mossi oggi ci ha ricordato che sono ancora in vita, e che si commuovono di fronte ai bambini uccisi dai bombardamenti aerei.

Solo la codardia può spiegare le loro posizioni. Solo la paura che fa di loro dei sostenitori dell’umiliazione. Perché sanno bene che in Siria è in corso un massacro e le divergenze a riguardo sono nette, ma temono di esprimere un’opinione o un’inclinazione, in attesa che i tratti della figura del vincitore si facciano più chiari così da allinearsi al suo fianco.

A beneficio di costoro in particolare, incapaci di commuoversi di fronte al cadavere di un bambino ad Aleppo e che si sciolgono invece in lacrime per un bambino come lui a Gaza, è utile mischiare le fotografie, così da fargli credere che le immagini di morte ad Aleppo provengano da Gaza e che gli aerei assassini di Asad siano israeliani.

Forse allora dopo aver versato lacrime e condannato il crimine, si lascerebbero coinvolgere e gli sarebbe impossibile tornare a tacere. Se dovesse succedere, le vittime non li rimprovereranno e non biasimeranno noi e il nostro sotterfugio. Perché le vittime non sono in competizione tra loro. Gli unici a fare a gara sono quelli che lanciano barili bomba e missili. E chi li difende e rimane in silenzio di fronte a loro. Qui o lì.

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