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24 luglio 2014

Gaza, parla Gideon Levy: «Due popoli che non si conoscono più. E Israele scivola a destra»
di Alberto Mucci

L'editorialista di "Haaretz": «A Gaza è in corso un'intifada. Netanyahu vuole tornare allo status quo, lasciando Hamas isolata»

Editorialista del quotidiano israeliano Haaretz e tra i più noti commentatori del conflitto palestinese, Gideon Levy è una figura controversa in Israele come all’estero. Il giornalista non ha mai fatto mancare le critiche al suo governo, motivo per cui è stato spesso bersaglio di aspre polemiche, oltre a essere stato più volte accusato di essere un sostenitore di Hamas, il gruppo radicale islamista che controlla la Striscia di Gaza.

Alcuni critici del primo ministro israeliano hanno avuto l’impressione che Benjamin Netanyahu abbia colto al volo l’occasione di un conflitto aperto con Hamas. È così?

Non esattamente, o meglio: la questione è più complessa. Netanyahu non voleva il conflitto, ma non ha fatto nulla per evitarlo. Mi spiego: le perquisizione sistematiche sulla popolazione palestinese dopo l’uccisione dei tre adolescenti israeliani, l’accusa diretta ad Hamas nonostante il gruppo abbia negato fin dall’inizio, l’arresto di 500 attivisti in Cisgiordania senza alcuna apparente ragione, il blocco degli stipendi di 40 mila dipendenti pubblici della Striscia (pagati dal Qatar, ndr), la politica degli insediamenti portata avanti senza interruzione alcuna.

Come poteva non immaginare di causare una reazione?

Arroganza, arroganza e ancora arroganza. Il solito atteggiamento dei governi israeliani e in particolare di Netanyahu: il credere di poter fare tutto senza doverne rispondere.

Cosa vuole Netanyahu?

Ritornare allo status quo precedente l’inizio dei bombardamenti. In altre parole: una relativa calma nei territori; Abu Mazen, il presidente dell’Autorità palestinese, che fa quasi tutto quello che gli viene detto; il relativo isolamento politico di Hamas e di Gaza; la continuazione indisturbata della politica degli insediamenti.

Netanyahu vuole la pace?

No, assolutamente no. Pace significa dover rimpatriare gli oltre cinquecentomila coloni che oggi abitano in territorio palestinese oltre i confini del ‘67. Sarebbe un suicidio politico e Netanyahu se ne tiene ben alla larga.

In un’intervista ad Haaretz del 2004, Dov Weissglass, “eminenza grigia” di Ariel Sharon, descriveva il ritiro di Israele dalla Striscia come una strategia volta a bloccare il processo di pace. È d’accordo?

Non proprio, perché reputo Gaza un territorio ancora occupato. Detto meglio: ci sono due metodi di mantenere il controllo su un territorio. Il primo è l’occupazione diretta, il secondo l’occupazione indiretta. Al momento su Gaza vige la seconda. C’è il blocco dei confini, dello spazio navale, dell’entrata delle merci, la dipendenza finanziaria e via così, l’elenco potrebbe continuare.

Ogni anno i sondaggi mostrano come gli israeliani si stanno spostando sempre più verso destra. La politica del primo ministro è un riflesso di questi sviluppi?

Non c’è dubbio. Sono circa quindici anni che il paese si sposta a destra. Un processo cominciato durante la seconda intifada (2000-2005). Basta pensare che se prima Israele perseguiva una politica, benché forzata, di integrazione tra palestinesi e israeliani, dopo l’intifada ha optato per una completa separazione tra i due popoli. Il risultato? Oggi ci sono israeliani che non hanno mai conosciuto o parlato con palestinesi e viceversa.

C’è il rischio di una nuova intifada?

Nel senso classico del termine forse no, ma quella in atto nella Striscia di Gaza è a suo modo un’intifada. Nulla di più, nulla di meno.

L’accordo di governo tra Fatah e Hamas reggerà dopo il conflitto?

Non posso darti una risposta precisa. L’unica cosa che posso dire al momento è che Hamas esce rafforzata dalla guerra in atto grazie all’immagine di movimento resistente, mentre Fatah appare sempre più come un partito succube della volontà di Israele.

“Margine protettivo” sarà l’ultima operazione militare?

No, perché alla fine del conflitto nulla sarà risolto e tutto sarà come prima. Non a caso le guerre con Hamas sono da anni cicliche: nel 2009 “Piombo fuso”, nel 2012 “Pilastro di difesa” e adesso “Margine protettivo”. Per la prossima bisognerà soltanto aspettare qualche anno.

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