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lug 24 2014

Il silenzio è più inquietante delle bombe
di Danny Gold

La vita di un giornalista a Gaza durante gli attacchi.

Non è sicuro muoversi a Gaza di notte. Così ogni sera ci ritiriamo nel nostro ufficio al sedicesimo piano e corriamo di finestra in finestra, da nord a est a sud, per seguire gli attacchi. Al mattino andiamo a vedere le zone colpite. Poi ci dirigiamo all'ospedale per vedere morti e feriti.

Se siamo costretti a spostarci di notte, cerchiamo di limitarci ai momenti immediatamente precedenti o successivi a suhur e iftar, i pasti al mattino presto e alla sera del mese di Ramadan. Quelli sono i momenti più tranquilli, e quelli in cui la maggior parte delle persone esce per strada. Se quando scende la notte siamo ancora in giro, non ci muoviamo fino al mattino. Spostarsi da una parte all'altra di un quartiere nel corso della notte richiede un dibattito di un quarto d'ora. Se decidiamo di farlo, accendiamo le quattro frecce e guidiamo lentamente. 

Una delle prime sere ho chiesto alla nostra guida, Ma è sicuro qui? Gli facciamo la stessa domanda man mano che passano i giorni. Dà sempre la stessa risposta. “A Gaza nessun posto è sicuro.” Poi ride. 

* * *

Ci sono ore di calma, anche se il brusio dei droni è sempre presente. Il silenzio è più inquietante delle bombe. Impariamo a distinguere gli attacchi via mare da quelli dei droni, degli F-16 e dei carrarmati. Eppure a volte non riusciamo a capire se è un'incursione, o solo un boom sonico, o roba inesplosa. A volte non riusciamo a vedere l'attacco. Ma lo sentiamo sempre.

La prima notte del nostro primo viaggio a Gaza, due settimane fa, siamo andati a letto alle 4.30 di mattina. Alle 6 sono stato svegliato da due forti esplosioni. Non c'è molto da fare se non nascondersi dietro il letto. Dopo qualche minuto sono andato alla finestra per dare un'occhiata. Durante gli attacchi mi ostino ad andare alle finestre. La guida deve continuare a ripetermi di stare indietro.

Poi una notte mi trova a fumare una sigaretta sulla scala antincendio, al sedicesimo piano. “Nel buio la luce rossa della sigaretta può sembrare un cecchino, specialmente qui sopra,” dice.

Ho smesso di fumare sigarette sulle scale antincendio e di fronte alle finestre. 

Al mattino e nel primo pomeriggio andiamo in giro e ci fermiamo a vedere edifici e case distrutte. Forse ci tenevano dei razzi o è da lì che li hanno sparati. Forse non ci tenevano nessun razzo, ne è da lì che sparavano. Chiediamo alle persone nei dintorni perché certi edifici siano stati colpiti, ma raramente qualcuno ci dà una risposta. 

A volte quando sentiamo un attacco riusciamo ad arrivare in tempo per vedere i corpi che vengono estratti dalle macerie. Poi andiamo allo Shifa a vedere i morti e i mutilati che arrivano. Fin da prima che iniziassero le operazioni via terra ci dicono che è peggio che nel 2012. Dicono sia perché il confine con l'Egitto adesso è chiuso, quindi non arriva nulla—niente cibo, né medicine, né altri beni. Maledicono il presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi.

A parte un portavoce che ho intervistato all'ospedale, Hamas è una presenza invisibile. Si nascondono tutti, stanno nei tunnel o sono impegnati in operazioni militari in quartieri come Shujaiya. I giornalisti locali dicono che dalla gente non riceveremo mai una risposta onesta su Hamas; Hamas è temuta. Ci dicono che prima di quest'ultimo conflitto la gente era stufa di Hamas. Ora sembra non sia più così.

Dopo un po' riusciamo ad abituarci alle esplosioni costanti. Ma a volte sbatte una porta e io salto su. 

Anche le battute assumono toni cupi. Due settimane fa un attacco ha ucciso un uomo in un parco, il parco Barcelona. Alcuni giornalisti ci dicono che credono che il pilota fosse un fan del Real Madrid. 

La seconda volta che siamo entrati a Gaza mi sono imbattuto in una delle persone che avevo conosciuto. Mi dice che quattro giorni prima la figlia piccola stava guardando un reportage da Tel Aviv. Alla tv facevano vedere la gente in spiaggia, e lei gli ha detto, “voglio andarci.” Lui le ha risposto che non potevano, ma lei voleva sapere il perché.

“Cosa dovrei dirle?” mi chiede. “Non c'è possibilità di pace! Io sono per la pace, voglio parlare di pace, ma gli israeliani non ci stanno dando neanche l'un percento di possibilità di parlare di pace. Sto cercando con tutto me stesso di non odiare gli israeliani.”

Qualche giorno dopo mi dice, “[La gente di Gaza] ha perso la speranza. Dategli qualche speranza, cambierà tutto. Non hanno cinema, non hanno giardini pubblici, non hanno luoghi di ritrovo per i bambini, non hanno bar—non hanno nulla. Tutto quello che hanno è Gaza.”

Gli ho chiesto, non è anche colpa di Hamas?

“Hamas sfrutta la situazione, capisci?” risponde. “Usa la situazione per ottenere consensi. Quando sono triste vorrei andare al bar. Ma non ci sono bar, così tutti vanno in moschea!”

* * *

Andiamo alla Salam Tower la mattina dopo che il complesso residenziale è stato colpito. Almeno 11 persone sono state uccise; l'edificio è parzialmente crollato. Quando arriviamo, i soccorritori stanno ancora cercando di tirare fuori un corpo dalle macerie. 

Sul luogo di un altro attacco, un uomo mette qualcosa in una borsa di plastica. All'inizio non capisco cosa sia; sembra una parrucca. Quando guardo meglio, capisco che non lo è.

Siamo in un complesso di appartamenti con negozi al piano terra, e le macerie fumano ancora. Non ci sono vittime, solo feriti. Hanno distrutto 24 appartamenti. Incontro un uomo di mezza età che si chiama Muhammad e parla bene inglese. Mi dice che è di Shujaiya, il quartiere raso al suolo in una delle giornate più sanguinose dall'inizio delle operazioni su Gaza.

Ha portato la sua famiglia da Shujaiya in questo complesso, vicino al porto e agli hotel che ospitano i giornalisti stranieri, perché credeva che sarebbe stato al sicuro. Quando gli chiedo dove andranno, mi dice che lui e la sua famiglia non hanno nessun posto se non la strada. Poi comincia a piangere.

Mentre siamo lì, l'Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l'Occupazione (UNRWA) rilascia un comunicato dicendo che una partita di razzi di Hamas era stata immagazzinata in una scuola abbandonata. È il secondo comunicato del genere che trasmettono nel giro di una settimana. 

Quando non c'è niente altro da coprire e non è sicuro arrischiarsi oltre, andiamo all'ospedale. È sempre affollato, con persone che aspettano le ambulanze o che cercano semplicemente un luogo sicuro. Alcuni sfollati hanno messo in piedi un negozietto nel cortile. Decine di giornalisti si arrabattano per prendere posizione e fotografare le vittime che vengono portate dentro.

“Oh, vengono da quell'edificio? L'attacco che abbiamo visto un'ora fa?”

All'obitorio dello Shifa, i corpi sono impilati uno sopra l'altro nei congelatori. Si assiste a scene inenarrabili di persone che cercano di identificare i loro cari, aprendo i congelatori e tirando indietro la copertura in plastica. Quando riconoscono qualcuno comincia il lamento. Gli anziani producono suoni che non avevo mai sentito e che non voglio sentire mai più.

Nell'edificio del nostro ufficio la corrente salta ogni notte. Abbiamo un generatore per il nostro piano, ma quando l'ascensore smette di funzionare dobbiamo farci 16 piani di scale. Intorno all'ottavo o nono ci sono alcune famiglie che vivono nel corridoio, e cerchiamo di non fare troppo rumore perché i bambini si addormentano presto sui tappetini stesi per terra. Ci è stato detto che un loro parente ha un ufficio lì. 

Qualche volta quando siamo fuori da un edificio che è stato recentemente colpito da un attacco israeliano, vediamo mezza dozzina di razzi sfrecciare nel cielo verso Israele. È la rappresaglia per l'attacco—o sarà forse il prossimo attacco ad essere rappresaglia rispetto a quei razzi? Difficile a dirsi.

Tornati al 16esimo piano, fumiamo sigarette—lontani dalle finestre oscurate—e osserviamo la notte accendersi di bagliori. A volte, nei  i momenti di quiete, guardiamo la televisione. Sui canali palestinesi, i leader di Hamas rivendicano importanti vittorie strategiche e dicono che non si arrenderanno mai. Sui canali israeliani, i leader israeliani rivendicano importanti vittorie strategiche e dicono che non si arrenderanno mai.

La mattina dopo andremo a vedere altri edifici distrutti. Poi andremo all'ospedale, e sentiremo altre storie di nuovi cadaveri. 

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