Fonte: Rebelion
http://comune-info.net
9 luglio 2014

Se i Palestinesi fossero umani
di Santiago Alba Rico
Traduzione di Islamshia

Riconoscere ai Palestinesi un “desiderio di vendetta” significherebbe ammetterne l’umanità. Israele non può farlo. La sua reazione all’aggressione nemica può invece essere “sproporzionata” proprio perché umana. Non si tratta solo di razzismo ma di calcolo politico: aprire il conflitto alla categoria della storia vuol dire mettere in discussione l’indipendenza e il carattere “ebraico” di uno Stato che, per definizione, è autogeno, s’è generato da sé. Ogni attacco palestinese è pertanto sempre il primo, apre tutte le risposte e si basa sul male, sull’antisemitismo dei suoi autori. Ammettere responsabilità precedenti, iniziali, potrebbe far diventare un’indagine di polizia un’indagine storica molto pericolosa. La maggior parte dei giornalisti e dei semplici cittadini occidentali considera normale che gli Israeliani abbiano un nome, un volto, dei sentimenti: sono “dei nostri”, sono esseri umani. I Palestinesi non devono averli, è quel che Israele più teme. Dovremmo far brillare al sole l’umanità dei Palestinesi, per senso della decenza ed empatia ma anche per precise ragioni politiche. Come forse aveva intuito Vittorio Arrigoni.

Dopo il sequestro e l’assassinio di Mohamed Abu Khdeir, palestinese di 16 anni, la polizia israeliana – ci dicono i giornali – “indaga per scoprire se si tratta di una vendetta di estremisti per l’assassinio di tre adolescenti israeliani” avvenuto pochi giorni prima. Sembra ragionevole indagare le ragioni di un omicidio e arrestare i colpevoli, ma questa stessa “indagine” rivela l’anomalia strutturale sulla quale si fondano le pratiche di polizia in Israele.Quando circa due settimane fa tre adolescenti israeliani sono stati sequestrati e poi assassinati, né la polizia né il governo israeliano si sono presi la briga di indagare se non si trattasse forse di un attacco di vendetta per l’occupazione, la demolizione delle case, le umiliazioni, le torture, gli arresti di massa e i bombardamenti. Il governo israeliano ha accusato immediatamente Hamas, nonostante il rifiuto da parte del movimento palestinese di ogni responsabilità sull’accaduto, ed ha scatenato un’ordinaria – diciamo – operazione di polizia nella quale l’esercito di occupazione ha incarcerato 420 palestinesi, perquisito più di 2000 case e ucciso cinque persone, tre delle quali adolescenti.

Né il governo israeliano né i governi europei né la maggior parte dei nostri giornali ritengono che questa “operazione militare” possa giustificare una risposta “legittima”; peggio ancora: neanche considereranno che questa “operazione” possa provocare a sua volta una vendetta barbarica. L’idea della vendetta – come quella che hanno commesso questi “estremisti” israeliani contro l’adolescente Mohamed Abu Khdeir – implica l’ipotesi che sia stato vittima di un risentimento o un’ingiustizia precedente; e se la reazione può considerarsi irrazionale e perfino criminale, presuppone in qualsiasi caso un dolore immenso e una sete di giustizia negata. Anche la “vendetta barbarica” è riservata, per tanto, agli israeliani, sensibili al dolore e capaci di distinguere tra il bene e il male ed è per questo che a volte commettono un piccolo male accecati dalla rabbia, dalla sofferenza e dal – diciamo – “eccesso di bene”. Non che i palestinesi non possono difendersi legittimamente da un’occupazione illegale; è che non sono ancora sufficientemente umani per vendicarsi. Vendicarsi di cosa? Questo supporrebbe l’ammettere atti precedenti, e responsabilità iniziali, e allora l’”indagine di polizia” diventerebbe un’indagine storica molto pericolosa per l’esistenza stessa di Israele.

In breve, i Palestinesi né si difendono né si vendicano. Ogni attacco palestinese è sempre il primo, quello che apre tutte le risposte, e si basa soltanto nel male radicale dei suoi autori – antisemitismo o semplice nichilismo tautologico. Riconoscere nei palestinesi un “desiderio di vendetta” equivarrebbe a introdurre la storia in Israele, che è per definizione autogena ed eterna. Ma negare ai palestinesi anche il più irrazionale e perfino criminale “desiderio di vendetta” implica negargli anche la più elementare umanità. Al contrario di quanto si afferma spesso, negare l’umanità dei palestinesi non è razzismo, o non è solo razzismo. E’ un imperativo tecnico-politico: riconoscere la loro umanità obbligherebbe gli israeliani a mettere in discussione la propria e a mettere in discussione anche, alla radice, la fondazione e storia del loro Stato.

I palestinesi non possono essere nemmeno “vendicativi”. Sono semplicemente il male metafisico e animale: la negazione radicale, come le cellule cancerogene (metafora frequentemente utilizzata dai sionisti). La disumanità palestinese è scritta, come il carattere “ebraico” dello Stato, nella dichiarazione di indipendenza di Israele. Non è possibile rinunciare ad una cosa senza rinunciare all’altra.

Anche ciò che eufemisticamente a volte chiamiamo risposta “sproporzionata” israeliana costituisce parte di questa routine costituente. Questa “sproporzione” serve, ovviamente, per nascondere l’occupazione. L’idea stessa di “sproporzione”, come quella di “vendetta”, presuppone un’azione aggressiva anteriore, sempre precedente, quella del nemico, alla quale si risponde. Ma allo stesso tempo la “sproporzione”, come ho scritto altre volte, si giustifica da sé, è “chiaramente ovvia” e appare tanto più legittima quanti più mezzi utilizza e più vittime miete. Tale è la “sproporzione” militare che essa stessa evidenzia, con le sue bombe a grappolo e le sue nubi di fumo, una sproporzione morale o ontologica: ciò che separa la fiera sete di giustizia o, almeno, di vendetta, propria degli israeliani, il cui male rimane così mantenuto all’interno dei confini dell’umano, e la disumanità inspiegabile, gratuita e sciatta dei palestinesi.

Dimenticata la “sproporzione” originale dell’occupazione, accettata da tutti la “sproporzione” militare come un segno dell’umanità, tal volta eccessiva, degli israeliani e della disumanità dei palestinesi, ai quali non si riconosce sufficiente dolore umano per poter desiderare di vendicarsi, non c’è nulla di strano se abbiamo visto e letto in tutti i giornali le fotografie e i nomi dei ragazzi israeliani assassinati e siamo dovuti andare a cercare faticosamente l’immagine e il nome di Mohamed Abu Khdeir.

Sono sicuro che fino ad alcuni anni fa questa “sproporzione” era il risultato di espresse indicazioni e manipolazioni coscienti. Oggi, probabilmente, non ce n’è più bisogno e questo testimonia la vittoria simbolica di Israele. Oggi, probabilmente, la maggior parte degli occidentali, giornalisti, analisti e semplici cittadini, proprio perchè comprendono il concetto di giustizia e lo difendono, considerano normale che gli israeliani abbiano un nome, un volto e dei sentimenti – poiché sono “dei nostri”, vale a dire esseri umani – mentre i palestinesi non possono averli, neanche a 16 anni, perché la dichiarazione di indipendenza dello Stato ebraico di Israele – e le sue “sproporzioni” quotidiane – escludono questa possibilità. La madre, il padre, gli zii, i fratelli di Mohamed non si vendicheranno: sono stati esclusi, e con essi tutti i loro connazionali, dall’umanità.

La condizione stessa della liberazione della Palestina – in una versione o in un’altra, anche facendo concessioni in termini di giustizia storica – è quella della ri-umanizzazione mediatica dei palestinesi. Poiché sono responsabili della loro disumanizzazione, bisogna esigere dai mezzi di comunicazione occidentali di contribuire alla loro ri-umanizzazione. Soltanto quando i palestinesi hanno un nome e volto e la morte di uno dei loro figli ci risulta tanto inaccettabile quanto quella di un israeliano (che dico: basterebbe che la morte di dieci, cento palestinesi ci apparisse inaccettabile quanto quella di un solo israeliano), soltanto quando ci voltiamo e vediamo il volto bello e pulito di Mohamed identico a quello di qualsiasi spagnolo (o italiano, n.d.t.) della sua stessa età, avremo compiuto qualche progresso verso una soluzione della “questione palestinese”. Perché allora inizieremo a comprendere che il vero problema che bisogna risolvere è in realtà la “questione israeliana”. Questo è quello che Israele più teme: l’umanità dei palestinesi. Questo è ciò che per il più elementare senso di decenza ed empatia umana e il più responsabile dei pragmatismi politici, dobbiamo fare brillare sotto il sole.

 


Titolo originale Inhumanos Palestinos

Santiago Alba Rico è uno scrittore spagnolo che vive in Tunisia da quoattordici anni. Ha pubblicato numerosi libri di filosofia, antropologia e politica

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