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01 settembre 2014

Ci vorranno 20 anni e 4.500 milioni di euro per ricostruire Gaza
di Marina Zenobio

Oxfam e Shelter Cluster: i bombardamenti israeliani sulla Striscia hanno causato la peggior distruzione di cui si abbia memoria negli ultimi 20 anni, gli stessi che ci vorranno per ricostruire.

L’Onu ha avvertito che se gli aiuti e i materiali da costruzione non entreranno a ritmo serrato, Gaza non sarà ricostruita prima di 10-15 anni. Ancora più pessimiste le ong Oxfam e la norvegese Shelter Cluster, secondo le quali la ricostruzione di Gaza durerà 20 anni e costerà 4.500 milioni di dollari.

Le associazioni umanitarie ribadiscono che in 50 giorni di attacchi da parte di esercito e aviazione militare israeliana sulla Striscia, sono stati uccisi 2143 palestinesi, in gran parte civili, e hanno causato una delle peggiori distruzioni di cui si abbia memoria negli ultimi vent’anni.

Oxfam e Shelter Cluster fanno sapere che le stime includono i costi della ricostruzione di 200 scuole, 15 ospedali e 17.000 case, dell’unica centrale elettrica dell’enclave e di infrastrutture come le strade, tutto distrutto durante i bombardamenti israeliani.

Ai costi iniziali si sommano i quasi 300 milioni di euro richiesti dalle Nazioni Unite per alimenti, acqua potabile, nuove scuole Unrwa e, sopratuttto, alloggi per oltre 100.000 mila persone che in questo stesso momento sono senza casa a Gaza.

Oxfam Intermòn è intervenuta anche riguardo il recupero dell’economia di Gaza, chiedendo a Israele di togliere “in forma permanente” le restrizioni. Il blocco ha impedito ai commercianti gazawi di vendere i propri prodotti fuori dalla Striscia e le esportazioni rappresentano solo il 2 per cento della situazione precedente al 2007.

Il portavoce di Oxfam in Palestina, Davide Viñas, teme che le ostilità “potrebbero riprendere se non si pone fine al blocco. L’impossibilità di commerciare o muoversi liberamente, sta portando la popolazione gazawi ad una condizione di estrema povertà”. E’ pertanto fondamentale che si riaprano tutti i passaggi di frontiere per garantire la circolazione non solo in entrata di aiuti e materiali di ricostruzione, ma anche in uscita di persone e beni.

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