La Voce della Russia
7 luglio 2014, 20:13

L’Iraq diventa focolaio di instabilità globale
di Serghei Duz

Lo stato dell’Iraq vive i suoi ultimi giorni. Secondo l’opinione degli esperti, le scintille della guerra civile in corso in questo paese possono accendere un conflitto mondiale.

L’Iraq si sta disgregando. Tale è la realtà che molti tuttavia non vogliono vedere. Lo ha dichiarato giorni fa in un’intervista al quotodiano tedesco Welt am Sanntag Masud Barzani, leader del Kurdistan iracheno. Non è il primo politico che ritiene inevitabile la disintegrazione dello stato. Ma in questo caso, secondo le parole del leader curdo, le posizioni degli islamisti solo si rafforzano. Se Baghdad non avesse ignorato i problemi esistenti, la situazione sarebbe potuta essere migliore. In particolare, al premier Nouri al-Maliki era necessario sin dall’inizio formare un governo multiconfessionale di transizione in cui fossero rappresentati diversi popoli. Ma ora il tempo è perso. L’Iraq è di fatto già diviso. Non stupisce quindi che i curdi iracheni siano pronti a tenere il referendeum di indipendenza. Sono infatti convinti del successo visto che la situazione volge a loro favore. Adesso è il momento più propizio per dichiarare la sovranità, dice Aždar Kurtov, esperto dell’Istitito russo per le ricerche strategiche:

L’attuale situazione nel Medio Oriente, il tentativo precipitoso di destabilizzare l’Iraq, la già proclamata creazione del Califfato islamico nel territorio dell’Iraq permettono ai curdi di avanzare impetuosamente verso la proclamazione della propria indipendenza. Per molti anni di seguito i dirigenti del Kurdistan iracheno hanno dichiarato la possibiità di indire il referendum di indipendenza. Le loro formazioni armate hanno preso la città di Kirkuk situata al confine della zona curda e di quella araba dell’Iraq. I curdi hanno sempre considerato Kurkuk loro città. Questa zona è ricca di petrolio, per cui ha senso combattere tenacemente per essa. Non solo, ma il governo curdo ad Arbil, che conduce una politica internazionale autonoma, diversa da quella di Baghdad, ha stipulato accordi con la Turchia per la fornitura di petrolio. Restano da fare solo alcuni passi formali insignificanti, proclamare l’indipendenza, adottare la propria costituzione.

Barzani, leader del Kurdistan iracheno, è convinto che negli ultimi 10 anni i rapporti della regione con la Turchia siano sostanzialmente migliorati e adesso si trovino ad un livello molto buono. Barzani si pronuncia per il processo pacifico. Tuttavia, se i curdi turchi, dopo quegli iracheni, chiederanno la sovranità, Ankara, per conservare il controllo della situazione, dovrà rinunciare alle trattative a favore dei metodi militari. Il politologo Stanislav Tarasov, esperto dell’Istituto internazionale di studi sugli stati moderni, dice:

L’attuale regime governante non riuscirà a mantenere il potere su tutto il territorio della Turchia se non realizzerà riforme amministrative e politiche molto serie. È del tutto probabile che per ragioni tattiche i curdi stringeranno l’alleanza con Ankara e cominceranno a formulare una nuova concezione del futuro dei curdi turchi, anziché esortare subito i connazionali al separatismo. Sarebbe una mossa tattica. Ma in futuro, con tali sviluppi della situazione, con tale atteggiamento al problema da parte dell’Occidente, degli USA, dei loro partner della NATO, questa tendenza diventerà distruttiva per la Turchia. Adesso all’ordine del giorno è la questione della disgregazione di questo stato o della formazione di uno stato di nuovo tipo, basato su principi federativi. Ciò si chiama “sprigionare il diavolo”. Anche gli alaviti avanzano le loro rivendicazioni, non per caso si è inasprita la questione armena.

Mentre i curdi promuovono l’idea dell’indipendenza, gli islamisti creano nel territorio dell’Iraq un proprio quasi stato. Intendono rilasciare passaporti del “Califfato islamico” ma per il momento ripuliscono il territorio controllato dalle relique religiose estranee. Così, nel territorio iracheno viene creato un altro caposaldo del “jihad globale”. In questa maniera Washington paga per l’appoggio fornito agli islamisti radicali in Siria e in altri paesi dell’Africa e del Medio Oriente dove in seguito alle rivoluzioni provocate dall’esterno sono sorti focolai di tensione. Fondendosi uno con l’altro questi focolai minacciano di minare la stabilità non solo su scala regionale ma anche su quella mondiale. In Iraq tutta la geopolitica americana è crollata come un castello di carte. Quale che possa essere la fine del confronto civile nel Medio Oriente, è chiaro che la regione stia precipitando nel caos e diventi il fronte di un conflitto mondiale.

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